L'Onlus di volontariato internazionale spegne cinquanta candeline. Una storia iniziata con un piccolo progetto a Kiyringye, ex Zaire e che oggi è presente in 39 Paesi. Le testimonianze dei protagonisti vecchi e nuovi. Cronaca dei festeggiamenti
Arturo Alberti FONDATORE DI AVSI |
Ad aprire le testimonianze su una storia lunga mezzo secolo è stato Arturo Alberti, colui che ha iniziato questa storia proprio a Kiringye, insieme ad altre amiche e amici e con sua moglie. E subito anche nell’intervento di Alberti è riecheggiata la presenza di don Luigi Giussani, anche lui nei pressi del suo anniversario di nascita (100 anni però). Racconta infatti Alberti un «inizio gioioso e pieno di significato»: «Ero di Gs dal 1963 e fu naturale accettare quella proposta di andare in Africa. Andai con mia moglie, quando arrivammo a Kiringye era incinta di due mesi e io cominciai subito a fare il medico… Ci accolse Maria Letizia. Dopo un po’ segnalai agli amici in Italia che il “gruppo d’appoggio” non bastava più, ci voleva un’associazione. Così fu fondata da un notaio di Cesena». Una storia semplice fatta di esigenze concrete e di grandi desideri incontrati nel continente nero, che oggi va conservata nella memoria. Dice ancora Alberti: «Occorre fare memoria dei passi della nostra storia. Questo quello che mi ha insegnato don Giussani e che ho portato nel mio lavoro in Avsi».
Una memoria che si rinnova nelle parole di Maria Letizia Vaccari, insegnante di Lettere, che ha passato 12 anni in Africa. «Un giorno un uomo adulto che aveva seguito i gruppi di prima alfabetizzazione per due anni, con gli occhi lucidi per la gioia, è venuto da me da un villaggio vicino a comunicarmi che quella domenica era riuscito a leggere la Bibbia davanti ai fedeli della cappella protestante. Ecco, io sono certa che dopo quell’esperienza, non esiterà a mandare i suoi figli nella più vicina scuola invece di lasciarli a pascolare le capre, come tanti altri genitori…». Storie bellissime, facce bellissime. A Kiringye in quell’inizio insieme ad Arturo e Letizia, c’era anche Ezio Castelli, ingegnere civile, che adesso è a Washington responsabile di AVSI Usa. Castelli ha parlato in francese ha detto fra l’altro: «Un fattore importante nella nostra esperienza è stato mettere la nostra stessa vita e la nostra professionalità in gioco nel contesto dei bisogni della popolazione locale e in relazione alle risorse disponibili».
Filippo Ciantia, detto Pippo, ha portato la sua testimonianza di medico e, parlando in inglese, ha raccontato il ruolo di Avsi nella battaglia contro la dracunculiasi, una parassitosi sottocutanea anche detta GWD, Guinea Word Disease, sconfitta completamente in Uganda nel 2009. Chiara Mezzalira, pediatra, attualmente volontaria in Burundi con Amahoro pro Africa, ha raccontato il suo impegno con AVSI in Nigeria, lungo 16 anni, in cui sono stati avviati «tre centri sanitari in diversi slum e tre scuole». E ha aggiunto: «Le missioni con AVSI sono state la possibilità di rispondere a dei bisogni anche urgenti e drammatici, seguendo il criterio di accompagnare, educare, non sostituirsi». Nelle storie e nei volti di queste persone è emerso il senso di 50 anni. Come quando Luciano Valla, insegnante di Chimica, che ha lavorato per AVSI 30 anni in diversi Paesi africani (Kenya, Uganda, Rwanda, Sud Sudan, Etiopia) e asiatici (Thailandia, Birmania), ha raccontato la storia di John Makoha, agronomo, assunto in Kenya come impagliatore di sedie nel 1990. E poi «ritrovato come mio superiore nel 2012 quando sono ritornato in Uganda».
Lucia Castelli ha parlato del lavoro psicologico con i piccoli colpiti dalla guerra, come i bambini soldato dell’Uganda. Ed ha detto una cosa magnifica sull’educare: «L’educazione è una forma di protezione perché costruisce una relazione positiva fra l’adulto e il bambino». Enrico Novara, ingegnere, ha raccontato dell’America Latina e delle favelas. Alberto Piatti, che è stato segretario generale e poi presidente fino al 2015, ha detto: «In un mondo in cui 10 persone hanno un patrimonio equivalente a 4,3 miliardi persone, in un mondo in cui 650 milioni di persone non hanno alcun accesso all’energia, in cui la fame interessa centinaia di milioni di persone, in cui 2,7 miliardi persone non hanno sistemi di cottura salubri è urgente che ci siamo sempre più persone che credono valga la pena di sacrificarsi per un ideale». Alda Maria Vanoni, fondatrice di Famiglie per l’accoglienza, infine, ha raccontato la sua collaborazione con l’AVSI di oggi anche come Presidente, spiegando la rivoluzione copernicana dell’ultimo statuto in cui esistono 35 enti fondatori che sostengono la Fondazione. Quello che la storia di AVSI ha generato ritorna, per così dire, a diventare fondativo.
È La stessa “morale” che tira in conclusione Patrizia Savi, la presidente attuale, sostenendo che AVSI è divenuta una struttura complessa, senza perdere nulla dell’inizio. «La responsabilità di far sì che AVSI non venga meno al suo approccio originale», ha detto «è affidata a ciascuno di noi, a ciascuno di voi». L’inizio è vero, se vive oggi e l’AVSI di oggi è grande se riesce a non dimenticare l’inizio.
L’incontro potete rivederlo sulla pagina Facebook di AVSI
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