Incredibile ma vero. Proprio ora che ha perso in pochi decenni una buona metà dei suoi effettivi, la Compagnia di Gesù è assurta ai vertici di comando della Chiesa cattolica come mai in passato.
Di Francesco si sa. È il
primo papa gesuita della storia: lui che pure aveva più avversari che amici
dentro la Compagnia e si guardava bene dal mettere piede nella sua curia
generalizia, tutte le volte che da cardinale veniva a Roma.
Ma la novità è che in
quest’ultima fase del suo pontificato – declinante per età ma non per ambizioni
– Francesco si è dotato di una agguerrita squadra d’attacco, tutta sua e tutta
fatta di gesuiti.
Francesco e il Card. Jean-Claude Hollerich |
Per l’oggi il compito
assegnatogli da Francesco è di pilotare, come relatore generale, il sinodo mondiale che
ha preso il via nel 2021 e che durerà almeno fino al 2024 ma nella mente del
papa anche oltre, con il compito di rimodellare la Chiesa all’insegna, appunto,
di una “sinodalità” permanente.
Mentre per il domani non è
un mistero che Hollerich sia anche il candidato “in pectore” di Francesco per
la sua successione, sulla quale il sinodo in corso avrà un
peso determinante, obbligando di fatto il futuro papa – chiunque sarà – a
prenderlo in consegna e a continuarne il “processo”, un po’ come toccò a Paolo
VI con il Concilio Vaticano II ereditato da Giovanni XXIII.
Di questo sinodo mondiale
la prova generale è quella in corso in Germania, che sta già contagiando altre Chiese nazionali senza che
Francesco vi opponga alcun freno efficace, con l’immancabile litania di riforme
alla moda, che vanno dai preti sposati alle donne prete, dalla nuova morale
sessuale ed omosessuale alla democratizzazione del governo della Chiesa.
Impossibile non ricordare
che alcune di queste erano le riforme che un altro grande gesuita, il cardinale Carlo Maria Martini (1927-2012), aveva incluso
nell’agenda della Chiesa futura, in un suo memorabile intervento del 1999. Di
Martini si sa che aveva un giudizio negativo di Bergoglio, ma i sostenitori
dell’attuale pontificato hanno buon gioco a fare di lui il “profeta” delle
riforme a cui Francesco starebbe finalmente aprendo la strada e delle quali
Hollerich si è già dichiarato più volte a favore.
“L’Osservatore Romano” ha
pubblicato lo scorso 24 ottobre un’intervista programmatica a tutto campo con
questo colto cardinale gesuita con alle spalle ventisette anni di missione in
Giappone. E in essa egli ha ancora una volta auspicato “un cambiamento di
paradigma” nella pastorale e nella dottrina della Chiesa in materia di
omosessualità, perché anche gli omosessuali “sono frutto della creazione” e
quindi non sono “mele guaste” ma “cosa buona”. Certo, non c’è spazio – ha
aggiunto il cardinale – per un matrimonio sacramentale tra persone dello stesso
sesso, perché lì manca il fine procreativo che caratterizza un matrimonio, “ma
questo non vuol dire che la loro unione affettiva non abbia nessun valore”.
E al direttore de
“L’Osservatore Romano” che gli faceva notare che i vescovi del Belgio si sono
pronunciati a favore della benedizione delle unioni omosessuali, Hollerich ha
risposto: “Francamente la questione non mi sembra decisiva. Se rimaniamo
all’etimologia di ‘bene-dire’, pensate che Dio possa mai ‘dire-male’ di due
persone che si vogliono bene?”.
(...)
Ma oltre a Hollerich, vi
sono altri due gesuiti che Francesco ha fatto recentemente cardinali e ha messo
in squadra in ruoli importanti.
Il primo è il canadese
Michael Czerny, per molti anni più concorrente che collaboratore del cardinale
ghanese Peter K. A. Turkson prima nel pontificio consiglio della giustizia e
della pace e poi nel dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale,
di cui ora è diventato prefetto. Czerny è stato anche segretario speciale del
sinodo per l’Amazzonia. Dalla difesa della natura ai migranti, ai “movimenti
popolari”, è il cardinale di cui Bergoglio si avvale in questi campi da lui
prediletti.
Il secondo è l’italiano
Gianfranco Ghirlanda, già rettore della Pontificia Università Gregoriana e
navigato esperto in diritto canonico. Tra i suoi compiti c’è quello di tradurre
in disposizioni giuridiche gli atti d’imperio che Francesco compie col piglio
d’un monarca assoluto. È di Ghirlanda, ad esempio, la sbrigativa chiusura
dell’annosa disputa teologica tra poteri di ordine, cioè
derivanti dall’ordinazione episcopale, e poteri di giurisdizione, cioè
conferiti da un’autorità superiore, optando per i secondi al fine di collocare
anche dei laici, uomini o donne, a capo della curia vaticana, col semplice
mandato del papa. E sono sempre di Ghirlanda, nel suo ruolo di “factotum”
giuridico al servizio di Francesco, l’azzeramento e la rifondazione imposti dal
papa all’Ordine di Malta.
Ma non è tutto. Anche tra
i gesuiti non cardinali ve ne sono alcuni che il papa ha collocato in ruoli
chiave, a suo servizio.
Nella segreteria generale
del sinodo dei vescovi c’è un consultore che di fatto è il collaboratore più
stretto del cardinale Hollerich. È padre Giacomo Costa, già direttore della
rivista “Aggiornamenti Sociali” dei gesuiti di Milano e vicepresidente della
Fondazione Carlo Maria Martini.
Per non dire di padre
Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica” e vicinissimo a Francesco
fin dalla sua elezione a papa, anche lui molto attivo e pressante nel
promuovere il sinodo mondiale sulla sinodalità e in particolare nel coinvolgere
nell’avventura – con l’aiuto importante del suo predecessore a “La Civiltà
Cattolica” Bartolomeo Sorge (1929-2020) – la conferenza
episcopale italiana, inizialmente molto diffidente.
E poi c’è il capitolo
delle finanze vaticane, dove Francesco ha nominato il
gesuita spagnolo Juan Antonio Guerrero Alves prefetto della segreteria per
l’economia, l’ufficio che sovrintende all’intero settore.
Inoltre, da un paio d’anni
c’è un gesuita anche alla Basilica di San Pietro, a fianco del cardinale
arciprete Mauro Gambetti, vicario generale del papa per la Città del Vaticano.
È Francesco Occhetta, segretario generale della Fondazione “Fratelli tutti” e
fino al 2020 notista politico per “La Civiltà Cattolica”.
E c’è un gesuita anche tra
i vescovi ausiliari della diocesi di Roma di cui è vescovo il papa: Daniele
Libanori, al quale è affidata la cura pastorale del centro della città.
Col papa i nomi elencati
fanno nove. E con Sorge e il “profeta” Martini undici, naturalmente senza
mettere nel conto il cardinale Ladaria. Una squadra così, tutta di gesuiti, mai
s’era vista al comando della Chiesa.
.
Nessun commento:
Posta un commento