giovedì 13 ottobre 2022

L'IDEOLOGIA GNOSTICA DIETRO ALL’EUTANASIA DI SHANTI DE CORTE

La morte di Stato della ventitreenne belga è il segno più eloquente di come a trionfare oggi sia l'odio per il corpo, da eliminare se in conflitto con la psiche

 di Rodolfo Casadei

 

L’uccisione della 23enne Shanti De Corte da parte dello Stato belga è uno dei segni più eloquenti del ritorno trionfante dell’odio gnostico per il corpo. Medici e giuristi della Commissione federale di valutazione e di controllo dell’eutanasia non hanno trovato nulla di riprovevole nell’approvare la richiesta di sopprimere una persona dotata di un corpo perfettamente sano e integro, senza segni di malattie fisiologiche.

Non solo l’eutanasia. Il nemico da battere è il corpo


L’idea del primato radicale della coscienza sul corpo, ridotto a mero supporto di essa, insignificante e privo di un linguaggio di cui la mente dovrebbe mettersi in ascolto, è ciò che tiene insieme una serie di fenomeni contemporanei che comprendono la progressiva imposizione per legge dell’ideologia genderista nella vita sociale, la glorificazione dell’aborto su richiesta come diritto, la progressione geometrica con cui nei paesi anglosassoni vengono effettuate operazioni di cambiamento di sesso anche su minori, l’idealizzazione della fluidità sessuale e del transgenderismo, la concessione dell’eutanasia per sofferenze esclusivamente psichiche, i progetti transumanistici che mirano a trasferire la mente umana su supporti materiali diversi e più duraturi del corpo.

In tutti questi casi, il nemico da battere e sottomettere è il corpo, con la sua vitalità insopprimibile che sfida volontà e progetti, malattie dell’anima e fantasie edonistiche, con la sua fragilità e peribilità che rimandano la coscienza all’ineluttabilità della morte. Il corpo che sorprende con gravidanze inattese o indesiderate, con un’identità sessuale che può essere sentita come un peso, con la persistenza della sua bellezza e della sua esuberanza anche quando l’anima sprofonda nel pozzo oscuro della depressione, con la sua decadenza inarrestabile che contrasta il desiderio umano di fermare il tempo in un’eterna giovinezza.

L’odio per il corpo nel fanatismo degli abortisti

L’odio per il corpo è palese nel fanatismo degli abortisti che riducono il dramma della vita che vorrebbe nascere anche se la volontà della gestante non è favorevole a una questione di “diritti civili”, alla licenza illimitata di sopprimere quella forza, piccolissima eppure implacabile, che preme da dentro per venire alla luce. Trascorsi sono i tempi di un intellettuale come Pier Paolo Pasolini, che con tormento si diceva favorevole alla legalizzazione dell’aborto ma non come diritto, e senza che ciò implicasse la cancellazione del senso di colpa, perché «Io so che in nessun altro fenomeno dell’esistenza c’è un altrettanto furibonda, totale, essenziale volontà di vita che nel feto. La sua ansia di attuare la propria potenzialità, ripercorrendo fulmineamente la storia del genere umano, ha qualcosa di irresistibile e perciò di assoluto e di gioioso» (Scritti corsari, edizione Garzanti 2015, p. 111).

L’odio del corpo nell’ideologia gender

L’odio del corpo si dispiega in tutta la sua intensità nell’ideologia genderista, che a proposito della realtà sessuata dell’essere umano parla di “sesso assegnato alla nascita” come se la stessa realtà biologica altro non fosse che un costrutto sociale. La teoria del genere non si limita a rimettere in discussione la differenza sessuale: obietta alla stessa esistenza dei corpi come tali nell’opera della sua più importante ideologa, Judith Butler.

Scrive Jean-François Braunstein in La religion woke (Grasset, 2022, p. 112): «Butler va ancora più in là dei suoi predecessori: non è più soltanto l’esistenza del sesso che è messa in discussione, ma anche l’esistenza del corpo. Per lei il corpo non è dotato di realtà oggettiva. Costei rifiuta che le si ponga la domanda circa la “materialità del corpo” perché sarebbe, curiosamente, far prova di “condiscendenza” nei suoi confronti. Per Butler il corpo non è altro che discorsi e rapporti di potere (…): lo “schema del corpo” sarebbe il risultato di “una certa concezione storicamente contingente dei poteri e dei discorsi”».

Se c’è conflitto tra mente e corpo, sia assassinato il corpo

Con Shanti De Corte si è usata la stessa logica che viene applicata nell’ambito della disforia di genere (terminologia che sta per essere abolita per volontà dei genderisti) quando le persone che si sentono a disagio col proprio corpo sessuato vengono sottoposte a interventi chirurgici che consistono prima di tutto in mutilazioni di organi sani: la psiche ha la precedenza assoluta sul corpo, perciò in caso di conflitto fra ciò che la psiche prova, e ciò che il corpo manifesta, a prevalere deve essere la determinazione della psiche.

L'IDEOLOGIA GNOSTICA

Se la mente della persona depressa manifesta la volontà di farla finita con la vita, dopo qualche tentativo di riconciliare le due entità, in caso di perduranza del conflitto il corpo sarà assassinato; se la mente della persona con disforia di genere rigetta il sesso del corpo in cui è incarnata, non si cercherà di accompagnare la mente a riconoscere il suo corpo, ma si interverrà sul corpo per adattarlo a quello che la mente sente e vuole (il corpo sarà definito come una “trappola” in cui l’identità di genere si sente “intrappolata”).

La psiche di chi soffre di disforia di genere

Mentre nel caso dei disturbi psichici ancora si cerca di distogliere i sofferenti dai loro progetti suicidari, nel caso delle persone con disforia di genere i tentativi di intervenire sulla psiche piuttosto che sul corpo con amputazioni vengono sempre più facilmente qualificati come delitti di “transfobia”, e i terapeuti che battono queste strade rischiano ogni giorno di più di essere espulsi dai loro ordini professionali e di essere incriminati penalmente.

Da tempo è iniziato il progetto che porterà la disforia di genere a non essere più considerata una patologia, ma un’identità. E le identità si rispettano, ad esse si riconoscono i diritti che esse rivendicano. I sofferenti psichici aspiranti al suicidio si trovano sulla stessa china: è iniziato il processo per cui la dimensione patologica della loro sofferenza verrà sempre più messa fra parentesi, e la loro condizione sarà elevata al livello di identità, meritevole dunque di essere assecondata nelle sue richieste.

Eutanasia e trans. Il corpo distinto dall’io

Il collegamento fra le tendenze attuali e l’antica utopia/eresia gnostica è intuitivo, e non lo colgono solo i cristiani raziocinanti.

Scrive Bruno Chaouat nel suo L’homme trans. Variations sur un préfixe: «Ritroviamo nel soggetto trans- (nel senso di transgender ma anche di transumano) questa esperienza di un corpo distinto dall’io, e che bisogna negare e superare, o sostituire. Il fastidio del corpo riflette così la geenna del mondo».

San Paolo e tutti i padri della Chiesa sono consapevoli della debolezza della carne, ma questa è cosa diversa dalla posizione degli gnostici e dei marcionisti (in Marcione ci sono contenuti gnostici) che condannano la carne e la materia in genere come impure, “sbagliate”, perciò inadatte ad accogliere un dio che si fa uomo, come Gesù Cristo.

Oggi a difendere il corpo dagli spiritualismi che vogliono eliminarlo (culturalmente e per via tecnologica) c’è in prima fila la Chiesa, fino a ieri accusata di reprimere la carnalità umana. Nella teologia del corpo di Giovanni Paolo II si trovano espressioni profondissime sul corretto rapporto fra mente e corporeità, fra volontà umana e rivelazione attraverso la carne di cui siamo fatti. Filosofia e teologia convergono quando il papa polacco parla della realtà sacramentale del matrimonio:

«I corpi degli sposi parleranno “per” e “da parte” di ciascuno di loro, parleranno nel nome e con l’autorità della persona. Dato che al linguaggio corrisponde un complesso di significati, i coniugi sono chiamati a diventare gli autori di tali significati del “linguaggio del corpo”. (…) Se l’essere umano – maschio e femmina – nel matrimonio conferisce al suo comportamento un significato conforme alla verità fondamentale del linguaggio del corpo, allora anche lui stesso “è nella verità”» (Compendio della teologia del corpo, a cura di Yves Semen, Ares 2017, pp. 122-23).

Sì, c’è una componente culturale, volontaria, che è implicata nella definizione della sessualità umana, ma non è quella che dice Judith Butler: è quella che dice Karol Wojtyla. Forse avrebbe potuto conoscerla, un giorno, anche Shanti De Corte; se pietosi carnefici non avessero messo fine alla sua vita.

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