La morte di Stato della ventitreenne belga è il segno più eloquente di come a trionfare oggi sia l'odio per il corpo, da eliminare se in conflitto con la psiche
L’uccisione della 23enne Shanti De Corte da
parte dello Stato belga è uno dei segni più eloquenti del ritorno trionfante
dell’odio gnostico per il corpo. Medici e giuristi della Commissione federale
di valutazione e di controllo dell’eutanasia non hanno trovato nulla di
riprovevole nell’approvare la richiesta di sopprimere una persona dotata di un
corpo perfettamente sano e integro, senza segni di malattie fisiologiche.
Non solo l’eutanasia. Il nemico da battere è il corpo
L’idea del primato radicale della
coscienza sul corpo, ridotto a mero supporto di essa, insignificante e privo di
un linguaggio di cui la mente dovrebbe mettersi in ascolto, è ciò che tiene
insieme una serie di fenomeni contemporanei che comprendono la progressiva imposizione per legge dell’ideologia
genderista nella vita sociale, la glorificazione dell’aborto su richiesta
come diritto, la progressione geometrica con cui nei paesi anglosassoni vengono
effettuate operazioni di cambiamento di sesso anche su minori, l’idealizzazione
della fluidità sessuale e del transgenderismo, la concessione dell’eutanasia
per sofferenze esclusivamente psichiche, i progetti transumanistici che mirano
a trasferire la mente umana su supporti materiali diversi e più duraturi del
corpo.
In tutti questi casi, il nemico da
battere e sottomettere è il corpo, con la sua vitalità insopprimibile che sfida
volontà e progetti, malattie dell’anima e fantasie edonistiche, con la sua
fragilità e peribilità che rimandano la coscienza all’ineluttabilità della
morte. Il corpo che sorprende con gravidanze inattese o indesiderate, con
un’identità sessuale che può essere sentita come un peso, con la persistenza
della sua bellezza e della sua esuberanza anche quando l’anima sprofonda nel
pozzo oscuro della depressione, con la sua decadenza inarrestabile che
contrasta il desiderio umano di fermare il tempo in un’eterna giovinezza.
L’odio per il corpo nel fanatismo degli
abortisti
L’odio per il corpo è palese nel
fanatismo degli abortisti che riducono il dramma della vita che vorrebbe
nascere anche se la volontà della gestante non è favorevole a una questione di
“diritti civili”, alla licenza illimitata di sopprimere quella forza,
piccolissima eppure implacabile, che preme da dentro per venire alla luce.
Trascorsi sono i tempi di un intellettuale come Pier Paolo Pasolini, che con
tormento si diceva favorevole alla legalizzazione dell’aborto ma non come
diritto, e senza che ciò implicasse la cancellazione del senso di colpa, perché
«Io so che in nessun altro fenomeno dell’esistenza c’è un altrettanto
furibonda, totale, essenziale volontà di vita che nel feto. La sua ansia di
attuare la propria potenzialità, ripercorrendo fulmineamente la storia del
genere umano, ha qualcosa di irresistibile e perciò di assoluto e di gioioso» (Scritti
corsari, edizione Garzanti 2015, p. 111).
L’odio del corpo nell’ideologia gender
L’odio del corpo si dispiega in tutta la
sua intensità nell’ideologia genderista,
che a proposito della realtà sessuata dell’essere umano parla di “sesso
assegnato alla nascita” come se la stessa realtà biologica altro non fosse che
un costrutto sociale. La teoria del genere non si limita a rimettere in
discussione la differenza sessuale: obietta alla stessa esistenza dei corpi
come tali nell’opera della sua più importante ideologa, Judith Butler.
Scrive Jean-François Braunstein in La
religion woke (Grasset, 2022, p. 112): «Butler va ancora più in là dei
suoi predecessori: non è più soltanto l’esistenza del sesso che è messa in
discussione, ma anche l’esistenza del corpo. Per lei il corpo non è dotato di
realtà oggettiva. Costei rifiuta che le si ponga la domanda circa la
“materialità del corpo” perché sarebbe, curiosamente, far prova di
“condiscendenza” nei suoi confronti. Per Butler il corpo non è altro che
discorsi e rapporti di potere (…): lo “schema del corpo” sarebbe il risultato
di “una certa concezione storicamente contingente dei poteri e dei discorsi”».
Se c’è conflitto tra mente e corpo, sia
assassinato il corpo
Con Shanti De Corte si è usata la stessa
logica che viene applicata nell’ambito della disforia di genere (terminologia
che sta per essere abolita per volontà dei genderisti) quando le persone che si
sentono a disagio col proprio corpo sessuato vengono sottoposte a interventi
chirurgici che consistono prima di tutto in mutilazioni di organi sani: la
psiche ha la precedenza assoluta sul corpo, perciò in caso di conflitto fra ciò
che la psiche prova, e ciò che il corpo manifesta, a prevalere deve essere la
determinazione della psiche.L'IDEOLOGIA GNOSTICA
Se la mente della persona depressa
manifesta la volontà di farla finita con la vita, dopo qualche tentativo di
riconciliare le due entità, in caso di perduranza del conflitto il corpo sarà
assassinato; se la mente della persona con disforia di genere rigetta il sesso
del corpo in cui è incarnata, non si cercherà di accompagnare la mente a
riconoscere il suo corpo, ma si interverrà sul corpo per adattarlo a quello che
la mente sente e vuole (il corpo sarà definito come una “trappola” in cui
l’identità di genere si sente “intrappolata”).
La psiche di chi soffre di disforia di genere
Mentre nel caso dei disturbi psichici
ancora si cerca di distogliere i sofferenti dai loro progetti suicidari, nel
caso delle persone con disforia di genere i tentativi di intervenire sulla
psiche piuttosto che sul corpo con amputazioni vengono sempre più facilmente
qualificati come delitti di “transfobia”, e i terapeuti che battono queste
strade rischiano ogni giorno di più di essere espulsi dai loro ordini
professionali e di essere incriminati penalmente.
Da tempo è iniziato il progetto che
porterà la disforia di genere a non essere più considerata una patologia, ma
un’identità. E le identità si rispettano, ad esse si riconoscono i diritti che
esse rivendicano. I sofferenti psichici aspiranti al suicidio si trovano sulla
stessa china: è iniziato il processo per cui la dimensione patologica della
loro sofferenza verrà sempre più messa fra parentesi, e la loro condizione sarà
elevata al livello di identità, meritevole dunque di essere assecondata nelle
sue richieste.
Eutanasia e trans. Il corpo distinto dall’io
Il collegamento fra le tendenze attuali
e l’antica utopia/eresia gnostica è intuitivo, e non lo colgono solo i
cristiani raziocinanti.
Scrive Bruno Chaouat nel suo L’homme trans. Variations sur un préfixe:
«Ritroviamo nel soggetto trans- (nel senso di transgender ma anche di
transumano) questa esperienza di un corpo distinto dall’io, e che bisogna
negare e superare, o sostituire. Il fastidio del corpo riflette così la geenna
del mondo».
San Paolo e tutti i padri della Chiesa sono consapevoli della debolezza della carne, ma questa è cosa diversa dalla posizione degli gnostici e dei marcionisti (in Marcione ci sono contenuti gnostici) che condannano la carne e la materia in genere come impure, “sbagliate”, perciò inadatte ad accogliere un dio che si fa uomo, come Gesù Cristo.
Oggi a difendere il corpo dagli spiritualismi
che vogliono eliminarlo (culturalmente e per via tecnologica)
c’è in prima fila la Chiesa, fino a ieri accusata di reprimere la carnalità
umana. Nella teologia del corpo di Giovanni Paolo II si trovano espressioni
profondissime sul corretto rapporto fra mente e corporeità, fra volontà umana e
rivelazione attraverso la carne di cui siamo fatti. Filosofia e teologia
convergono quando il papa polacco parla della realtà sacramentale del matrimonio:
«I corpi degli sposi parleranno “per” e “da parte” di ciascuno di loro, parleranno nel nome e con l’autorità della persona. Dato che al linguaggio corrisponde un complesso di significati, i coniugi sono chiamati a diventare gli autori di tali significati del “linguaggio del corpo”. (…) Se l’essere umano – maschio e femmina – nel matrimonio conferisce al suo comportamento un significato conforme alla verità fondamentale del linguaggio del corpo, allora anche lui stesso “è nella verità”» (Compendio della teologia del corpo, a cura di Yves Semen, Ares 2017, pp. 122-23).
Sì, c’è una componente culturale,
volontaria, che è implicata nella definizione della sessualità umana, ma non è
quella che dice Judith Butler: è quella che dice Karol Wojtyla. Forse avrebbe
potuto conoscerla, un giorno, anche Shanti De Corte; se pietosi carnefici non
avessero messo fine alla sua vita.
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