LEONARDO LUGARESI
Vedo che oggi tutti parlano tranquillamente di “diritto
all’aborto”, dando per scontato che esista, sia che lo facciano per accusare il
nuovo governo di minacciarlo, sia che si sbraccino per assicurare, al
contrario, che nessuno lo toccherà. In realtà, tale presunto diritto in Italia
non è sancito da alcuna alcuna legge, neanche dalla legge 194 del 1978, quella
che “la legge sull’aborto non si tocca!”. Anche senza toccarla, basta leggerla.
E ragionare, se ancora si riesce a farlo.
Quando l’ordinamento giuridico riconosce e garantisce un diritto, lo fa sempre a protezione e promozione di
un bene, mai di un male. Esiste
il diritto alla vita, ma non esiste il diritto alla morte.
La morte è l’esito di un processo naturale o di una forza maggiore oppure,
quando è voluta, è il risultato di una azione che l’uomo in certi casi ha la
possibilità di compiere, ma non è mai un diritto. Anche i più sfegatati
sostenitori della legalizzazione dell’eutanasia, del suicidio assistito o
perfino dell’omicidio del consenziente, sostengono le loro posizioni in nome di
un diritto alla libertà di scelta, non di un diritto alla
morte. (Non entro qui nel merito se abbiano ragione o, come io credo, abbiano
torto: è un altro discorso che non possiamo fare ora). Allo stesso modo, esiste
il cosiddetto diritto alla salute (che
sarebbe più appropriato chiamare diritto alla cura),
perché la salute è un bene; non esiste il diritto alla malattia. Il diritto
(per altro sottoposto a limiti) di rifiutare le cure, sancito dall’art. 32
comma 2 Cost., è un diritto alla libertà di
determinazione sul corpo, non un diritto alla malattia. Esiste
il diritto all’istruzione (che ex art. 34 comma 2
Cost. si configura come diritto-dovere, stante l’obbligatorietà dell’istruzione
inferiore), ma non esiste alcun diritto all’ignoranza: restare ignoranti è una
mera facoltà, non un diritto, perché l’ignoranza non è un bene. E così via.
Dunque, per poter parlare di diritto all’aborto, bisognerebbe necessariamente postulare che l’aborto – che è, incontrovertibilmente, l’uccisione di un essere umano – sia un bene, il che ci farebbe piombare a capofitto in una concezione nazionalsocialista del diritto in cui vi sono esseri umani che è bene sopprimere. L’unica alternativa è allora quella di sostenere che sotto tale etichetta si intende in realtà difendere e promuovere un’altra cosa, cioè di nuovo un diritto alla libertà di scelta, in questo caso un diritto della donna alla libera determinazione sul proprio corpo. Questo, di per sé, può senz’altro essere considerato un bene meritevole di tutela. Se però ci si mette su questa strada, che è l’unica decentemente percorribile, bisogna necessariamente affrontare il problema di come tale diritto possa mai comporsi con il diritto alla vita del concepito, il quale è, senza alcun possibile dubbio, un individuo appartenente alla specie umana. L’aborto, infatti, come tutti sanno (anche se fanno finta di non saperlo) non è un atto che riguarda esclusivamente la donna; non è un trattamento del suo corpo e basta: l’aborto è la soppressione di un individuo appartenente alla specie umana. Ora, poiché il diritto alla vita è, senza alcun possibile dubbio, preminente in quanto previo a tutti gli altri, risulta concettualmente molto difficile sostenere che altri diritti – al di fuori di quello alla vita della madre che è parimenti preminente – possano prevalere sul diritto alla vita del concepito senza implicare ipso facto la conseguenza che allora alcuni esseri umani hanno meno diritto alla vita degli altri dato che devono morire per garantire ad altri la salute, il benessere, la libertà eccetera. Una volta ammesso tale principio discriminatorio, quando ci si pone la domanda immediatamente successiva, assolutamente inevitabile, cioè quali individui debbano trovarsi in questa condizione di deminutio capitis, si vedrà che l’unica risposta possibile è: i più deboli. Risposta che ci precipita nuovamente nella barbarie di quel diritto che sopra abbiamo chiamato nazista.
La legge 194 del 1978 è certamente una cattiva legge perché non
affronta questo problema cruciale, e a causa dell’ipocrisia che la caratterizza
e della malafede con cui è stata applicata ha molto contribuito alla diffusione
e al consolidamento di una mentalità abortista nel nostro paese ma a)
nell’intenzione dichiarata e b) nella sua formulazione testuale è tutto fuorché
una legge che sancisca il diritto all’aborto. Chi c’era quando fu varata e
ricorda l’intenso dibattito che preparò e accompagnò la sua approvazione, può
testimoniare che non fu mai presentata come un “legge per l’aborto”; si sostenne, al contrario, che era
necessaria “contro la piaga dell’aborto clandestino” (il
milione di aborti all’anno di cui parlavano, mentendo, i radicali!). Nessuno
mai sostenne, allora, che l’aborto fosse un bene; anzi, si sottolineava quale
tragedia fosse per le donne che “lo subivano” e si rivendicava perciò la
necessità di ridurne il più possibile l’impatto attraverso l’uscita dalla
clandestinità e la “socializzazione” tramite un percorso di presa in carico di
quel dramma personale da parte dell’istituzione.
Tutto questo è stato rimosso, sepolto sotto una pesante cortina
di dimenticanza e di doloso travisamento. Però il testo della legge è ancora
lì, a disposizione di chiunque lo voglia leggere. E parla chiaro, pur nella
disonestà di fondo che sopra ho denunciato. Vediamone alcuni articoli: oggi il
primo e la prossima volta gli altri.
LEGGE 22 MAGGIO 1978 n. 194: NORME PER LA TUTELA SOCIALE DELLA
MATERNITA’ E SULL’INTERRUZIONE VOLONTARIA DELLA GRAVIDANZA
Articolo
1
Lo Stato garantisce il diritto alla
procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della
maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. [Commento:
la legge si occupa primariamente del diritto alla procreazione e
della tutela della vita umana si dal suo inizio, anche se
poi, disonestamente, non determina la natura e la portata di questa tutela.
Queste finalità escludono di per se stesse
l’esistenza di un diritto all’aborto].
L’interruzione volontaria della gravidanza, di
cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. [Commento:
una donna che abortisce per affermare il suo diritto alla libertà di rifiutare
una gravidanza agisce contro la
legge. Altro che “la legge 194 non si tocca!”. Sono più di quarant’anni che la
si tocca e la si stravolge, stando almeno alla sua formulazione letterale.]
Lo Stato, le regioni e gli enti locali,
nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i
servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo
aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.
[Commento: tutta l’operazione di traslazione dell’aborto dal privato /
clandestino al pubblico – che è l’asse portante e il senso etico-politico della
legge – viene solennemente (e ipocritamente) finalizzata all’obiettivo di
ridurre il più possibile il fenomeno dell’aborto, inequivocabilmente
qualificato come un disvalore].
Di quale diritto all’aborto si sta parlando? [Continua]
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