venerdì 14 ottobre 2022

IL POPULISMO DI ELIOT E UN PENSIERO DI MACHIAVELLI

AUGURI A GIORGIA MELONI


Stralci di un intervento su Tempi di GIANCARLO CESANA

(…)

Il populismo come ne parlava Eliot

I risultati delle elezioni indicano alcune possibilità positive, apparentemente sottili ma essenziali per condurre la battaglia per lo sviluppo di un benessere civile, che non sia solo sopravvivenza.

Mi permetto di citare un mio articolo su questo giornale, nel marzo 2019, dedicato al pensiero di T.S. Eliot, premio Nobel per la Letteratura, molto amato tra i ciellini soprattutto per i suoi Cori da “La Rocca”, poema ricco di passione religiosa e sociale.

Eliot, in un suo saggio del 1948, Notes Towards a Definition of Culture, prende esplicita posizione a favore del populismo, ma non inteso nel modo alquanto becero con cui lo si stigmatizza oggi.

Il populismo di Eliot è espressione di una resistenza conservatrice dei valori tradizionali – per esempio a riguardo della vita, della famiglia, dell’educazione, del lavoro, della organizzazione della comunità civile – contro le tendenze livellatrici delle élite intellettuali, i “marxisti culturali” sfornati dalle grandi università anglosassoni. Questi infatti pretendono di essere protagonisti di innovazioni presuntuose falsamente egualitarie, che distruggono il portato della tradizione, senza essere in grado di offrire alla convivenza sociale valori forti come quelli ereditati. Quella di Eliot è profezia del clima odierno della cancel culture, la quale, a causa di errori valutati a prescindere dal momento storico, vuole abbattere figure eminenti del passato e anche fondamentali differenze naturali come il sesso, o sociali come la famiglia.

Basta con gli stereotipi ideologici “progressisti”, più libertà nel rapporto tra persona e stato.

La vittoria in queste elezioni del centrodestra indica che la maggioranza molto probabilmente non la pensa così. Anzi è stufa degli stereotipi ideologici con cui personaggi illuminati cercano di emarginare coloro che la pensano diversamente, demonizzandoli come irrimediabilmente retrivi e violenti in quanto non rispettosi di una libertà che non deve avere limiti, se non quelli fissati da loro. La campagna elettorale del Pd è stata sostanzialmente di questo tenore, tutto rivolta contro il pericolo “grandissimo” della “destra” e a favore dei “nuovi diritti”, in materie che vanno dal sesso alla droga, con già note conseguenze corrosive della società. Anche il partito di Azione è rimasto a metà, ha preteso di essere differente dalla astrattezza del Pd, ma è caduto nello stesso ideologismo.

Per quanto i cattolici siano riferiti come presenti in tutti i partiti, molti di loro con il proprio voto hanno contribuito alla vittoria del centrodestra. La loro presenza in politica è verosimilmente assai meno irrilevante di quello che essi stessi a volte sembrano pensare.

Si tratta allora di avere coraggio e responsabilità, utilizzando la nuova situazione politica come occasione per promuovere con più decisione l’immagine e la testimonianza di umanità nuova con cui il cristianesimo ha affascinato il mondo (e soprattutto noi). È vero che la politica non dà la salvezza, ma un aiuto a stare meglio può darlo.

Altra condizione che la vittoria del centrodestra può/deve rendere favorevole è un rapporto più libero tra persona e Stato, inclusa una più diffusa realizzazione del principio di sussidiarietà. Dico “può/deve” perché la questione non è affatto scontata. Le istanze liberali dovrebbero essere patrimonio di uno schieramento conservatore, il quale dovrebbe essere scevro da tentazioni stataliste e collettivizzanti. A parole sembrerebbe così. Ma la tradizione della destra italiana che, come diceva il cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, è di origine non cristiana ma risorgimentale, è statalista, almeno più statalista di quanto l’applicazione del principio di sussidiarietà lascerebbe prevedere. La pari dignità pubblica delle scuole statali e private, per quanto teoricamente riconosciuta nei programmi elettorali, è in minima parte attuata, così come un’effettiva libertà di educazione.

Il consiglio di Machiavelli

Allo stesso modo la convivenza di iniziative private e di enti pubblici, non è diventata un metodo diffuso di affrontare i bisogni della popolazione. Solo la Lombardia di Formigoni ha introdotto massicciamente, anche contro i diktat governativi, buoni scuola, voucher per l’assistenza, accreditamento per ospedali e laboratori fino a ridefinire la funzione pubblica come espressione di opere rivolte a tutti a prescindere dalla origine privata o statale. La politica di Formigoni fa parte della tradizione del centrodestra, ma al di fuori della Lombardia, che l’ha continuata, ha trovato pochi imitatori. Ostacolo grande a tale processo è l’egoismo della politica, che trovandosi a capo per elezione o nomina, di numerosi enti od opere, difficilmente accetta di cederne la gestione, tanto meno la proprietà.

Ci sarà molto lavoro da fare e da pensare, perché il nostro è un paese complicato dove cambiare è arduo. Già Machiavelli diceva: «Non c’è niente di più difficile da condurre, né più dannoso da gestire dell’iniziare un nuovo ordine delle cose». Auguri quindi a Meloni e ai suoi collaboratori. Auguri anche a noi perché sappiamo che coloro che abbiamo votato non sono quelli che faranno diligentemente quello che vogliamo noi, ma quelli che non ci impediscono di pensarlo, di dirlo e di farlo.

 

https://www.tempi.it/che-cosa-si-puo-si-deve-chiedere-al-futuro-governo-di-centrodestra/

 

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