AUGURI A GIORGIA MELONI
Stralci di un intervento su Tempi di GIANCARLO CESANA
(…)
Il
populismo come ne parlava Eliot
I risultati delle elezioni indicano
alcune possibilità positive, apparentemente sottili ma essenziali per condurre
la battaglia per lo sviluppo di un benessere civile, che non sia solo
sopravvivenza.
Mi permetto di citare un mio articolo su
questo giornale, nel marzo 2019, dedicato al
pensiero di T.S. Eliot, premio Nobel per la Letteratura, molto
amato tra i ciellini soprattutto per i suoi Cori da “La Rocca”,
poema ricco di passione religiosa e sociale.
Eliot, in un suo saggio del 1948, Notes
Towards a Definition of Culture, prende esplicita
posizione a favore del populismo, ma non inteso nel modo
alquanto becero con cui lo si stigmatizza oggi.
Il populismo di Eliot è espressione di una resistenza conservatrice dei valori tradizionali – per esempio a riguardo della vita, della famiglia, dell’educazione, del lavoro, della organizzazione della comunità civile – contro le tendenze livellatrici delle élite intellettuali, i “marxisti culturali” sfornati dalle grandi università anglosassoni. Questi infatti pretendono di essere protagonisti di innovazioni presuntuose falsamente egualitarie, che distruggono il portato della tradizione, senza essere in grado di offrire alla convivenza sociale valori forti come quelli ereditati. Quella di Eliot è profezia del clima odierno della cancel culture, la quale, a causa di errori valutati a prescindere dal momento storico, vuole abbattere figure eminenti del passato e anche fondamentali differenze naturali come il sesso, o sociali come la famiglia.
Basta con gli
stereotipi ideologici “progressisti”, più libertà nel rapporto tra persona e
stato.
La vittoria in queste elezioni del
centrodestra indica che la maggioranza molto probabilmente non la pensa così.
Anzi è stufa degli stereotipi ideologici con cui personaggi illuminati cercano
di emarginare coloro che la pensano diversamente, demonizzandoli come
irrimediabilmente retrivi e violenti in quanto non rispettosi di una libertà
che non deve avere limiti, se non quelli fissati da loro. La campagna elettorale del Pd è stata sostanzialmente di questo tenore,
tutto rivolta contro il pericolo “grandissimo” della “destra” e a favore dei
“nuovi diritti”, in materie che vanno dal sesso alla droga, con già note conseguenze
corrosive della società. Anche il partito di Azione è rimasto a metà, ha
preteso di essere differente dalla astrattezza del Pd, ma è caduto nello stesso
ideologismo.
Per quanto i cattolici siano riferiti
come presenti in tutti i partiti, molti di loro con il proprio voto hanno
contribuito alla vittoria del centrodestra. La loro presenza in politica è
verosimilmente assai meno irrilevante di quello che essi stessi a volte
sembrano pensare.
Si tratta
allora di avere coraggio e responsabilità, utilizzando la nuova situazione
politica come occasione per promuovere con più decisione l’immagine e la
testimonianza di umanità nuova con cui il cristianesimo ha affascinato il mondo
(e soprattutto noi). È vero che la politica non dà la
salvezza, ma un aiuto a stare meglio può darlo.
Altra condizione che la vittoria del
centrodestra può/deve rendere favorevole è un rapporto più libero tra persona e
Stato, inclusa una più diffusa realizzazione del principio di sussidiarietà.
Dico “può/deve” perché la questione non è affatto scontata. Le istanze liberali
dovrebbero essere patrimonio di uno schieramento conservatore, il quale
dovrebbe essere scevro da tentazioni stataliste e collettivizzanti. A parole
sembrerebbe così. Ma la tradizione della destra italiana che, come diceva il
cardinale Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna, è di origine non cristiana ma
risorgimentale, è statalista, almeno più statalista di quanto l’applicazione
del principio di sussidiarietà lascerebbe prevedere. La pari dignità pubblica delle scuole statali e private, per quanto
teoricamente riconosciuta nei programmi elettorali, è in minima parte attuata,
così come un’effettiva libertà di educazione.
Il
consiglio di Machiavelli
Allo stesso modo la convivenza di
iniziative private e di enti pubblici, non è diventata un metodo diffuso di
affrontare i bisogni della popolazione. Solo la Lombardia di Formigoni ha
introdotto massicciamente, anche contro i diktat governativi, buoni scuola,
voucher per l’assistenza, accreditamento per ospedali e laboratori fino a
ridefinire la funzione pubblica come espressione di opere rivolte a tutti a
prescindere dalla origine privata o statale. La politica di Formigoni fa parte della tradizione del centrodestra,
ma al di fuori della Lombardia, che l’ha continuata, ha trovato pochi
imitatori. Ostacolo grande a tale processo è l’egoismo della politica, che
trovandosi a capo per elezione o nomina, di numerosi enti od opere,
difficilmente accetta di cederne la gestione, tanto meno la proprietà.
Ci sarà molto lavoro da fare e da
pensare, perché il nostro è un paese complicato dove cambiare è arduo. Già
Machiavelli diceva: «Non c’è niente di
più difficile da condurre, né più dannoso da gestire dell’iniziare un nuovo
ordine delle cose». Auguri quindi a Meloni e ai suoi collaboratori. Auguri
anche a noi perché sappiamo che coloro che abbiamo votato non sono quelli che
faranno diligentemente quello che vogliamo noi, ma quelli che non ci
impediscono di pensarlo, di dirlo e di farlo.
https://www.tempi.it/che-cosa-si-puo-si-deve-chiedere-al-futuro-governo-di-centrodestra/
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