martedì 6 giugno 2023

CLAUDIO RISE’: PIU’ FAMIGLIA CONTRO LA VIOLENZA IN FAMIGLIA

Francesco Borgonovo intervista Claudio Risè

Claudio Risè
Come sempre al centro della discussione è finita la natura stessa del maschio. Alessandro Impagnatiello, barista milanese, uccide a coltellate la compagna Giulia intenzionata a lasciarlo, e il figlio di sette mesi che porta in grembo. Poi infierisce sul cadavere nel tentativo di farlo scomparire. Con allucinante freddezza, nel mentre, invia messaggi piagnucolosi al cellulare della vittima, ovviamente sapendo che quel telefono è spento (ha confessato di averlo gettato in un tombino in zona Comasina a Milano).

Impagnatiello finge e mente in maniera seriale. Mentiva alla sua compagna, mentiva alla sua amante, a cui aveva nascosto di essere già impegnato. Ha provato a mentire anche agli inquirenti che lo interrogavano, e a quanto risulta ha tentato di costruirsi una sorta di alibi mandando appunto messaggi di finta disperazione alla donna che aveva da poco massacrato. Torna, scriveva: chiedeva un segno, affettava sofferenza nella speranza di farla franca. La sua stessa madre lo ha definito «un mostro», e i media lo hanno trasformato nell’emblema della violenza che gli uomini regolarmente esercitano sulle donne. Tutto il problema sta lì, dicono editorialiste e intellettuali: nella brutalità connaturata al maschio. Il quale, di conseguenza, va rieducato o comunque controllato per essere messo in condizione di non nuocere. Questa tesi viene ripetuta ogni volta che accadono fatti di sangue anche meno feroci. È comoda, ma non funziona.

Se fosse vera, il problema sarebbe stato da tempo ridimensionato, perché tutto si può dire tranne che manchino le iniziative di sensibilizzazione sul femminicidio e la violenza. Eppure, con tutta evidenza, la questione è ben lontana dall’essere risolta. Forse perché si sbaglia prospettiva e non si colgono i veri fattori scatenanti della furia assassina.

Da tempo Claudio Risè indica una via per il cambiamento. «I maschi (come le femmine) vanno educati a condurre la propria vita, altrimenti possono uccidere», ci dice. «Il problema è che il primo atto dell’educazione (come ha dimostrato tutta la psicoanalisi infantile da Melanie Klein a John Bowlby) deve essere l’accoglienza profonda, fisica e affettiva, da parte della madre e del padre. E questa, oggi, spesso è carente o manca del tutto, producendo nuova incapacità di accogliere i figli e aggressività verso di loro. Uno dei principali motivi della caduta della natalità in Italia è proprio la crisi dell’ac coglienza profonda verso i figli, e dell’aggressività e depressione che ciò genera in loro. L’equilibrio dei figli poggia sul dono dell’accoglienza ricevuta dai genitori».

Proviamo a esaminare un p o’più in profondità la orribile storia di Senago. Che uomo è Alessandro Impagnatiello secondo te?

«Appunto un uomo incapace di accogliere i figli, come quello che uccide nella pancia di Giulia. È un uomo pieno di aggressività verso le donne che amano i figli più di quanto amino i padri».

Ma che cosa trasforma un tipo del genere da uomo aggressivo in un assassino tanto spietato? Parliamo di uno che ha addirittura la freddezza di mandare messaggi accorati sul telefono della donna che sa di aver ucciso per depistare le indagini.

«Il suo profondo bisogno di amore, insoddisfatto fin dalla primissima infanzia, nella mancanza di quella base sicura, materna, che consente una vita equilibrata. Ciò che non ha avuto all’inizio dell’esidtenza , lo rende un confuso e pericoloso rapinatore di affetti scomposti».

Fino a due giorni prima del delitto, Impagnatiello mandava messaggi alla ragazza sostenendo di voler proseguire la relazione. Lei era determinata a lasciarlo e lui le diceva: «Ma che madre sei? Vuoi fare nascere il bambino con due genitori già separati?». Che cosa dobbiamo leggere in questa richiesta?

«La sua scissione profonda tra il bambino che è stato, bisognoso di una piena accoglienza in una famiglia unita, e il libertino perso al servizio di una società confusa e smarrita, in una recitazione di finti successi e piaceri, privi di ogni calore umano. Da qui la confusione, e l’aggressività omicida. Ciò però riflette un più ampio fenomeno sociale».

Questo è un punto fondamentale. Anche leggendo gli ultimi messaggi dell’omicida mi sono fatto questa idea: a me sembra che Impagnatiello non sia il «maschio violento emblema del patriarcato». Al contrario mi pare uno incapace di diventare adulto - una sorta di bambino cattivo - che non riesce a sopportare le responsabilità. Uno che ha bisogno delle donne, e quando queste lo lasciano o lo mettono di fronte alle sue mancanze, allora diventa pericoloso. Sbaglio?

«È esattamente così. È il frutto della distruzione di ogni educazione maschile ad assumersi le proprie responsabilità che produce queste personalità. Educare (dal latino) significa nutrire, e il primo nutrimento dopo quello del corpo è quello dell’affettività. Ciò però poggia sempre su un fenomeno ancora precedente, che risale alla primissima infanzia: la mancanza di una piena accoglienza affettiva da parte della figura materna. Che quando poi la tragedia esplode non esita a porsi al centro della scena dichiarando: “Sono io la madre del mostro”. È la verità”.

Spiegami meglio: come interpreti quella dichiarazione?

«In parte è stata un modo per mettersi in mostra. E un modo per scaricare, per dissociarsi da quel figlio maschio che ha compiuto un atto così orribile. Ma allo stesso tempo, inconsciamente, quella madre ha detto il vero. È una sorta di dichiarazione di colpevolezza. E in effetti tanto, tantissimo di quel che accadrà dopo si decide già nel ventre materno».

Mi chiedo: delitti come questo ci sono sempre stati oppure questa vicenda ci mostra una violenza tipica della modernità?

 «La storia umana è anche una storia di violenza, da sempre. Specifico della modernità (e rivelatore della sua profonda stupidità) è però la violenza contro la famiglia, che è anche il luogo dove - come ripeteva papa Ratzinger - si forma la personalità umana, e quindi anche la solidità e salute della società. Una violenza suicida, divenuta sistemica negli anni Settanta, con le generalizzazione di separazioni, divorzi e aborti » .


Da questa orrenda vicenda possiamo ricavare qualche lezione sui rapporti fra maschi e femmine al giorno d’oggi ?

 «È una chiarissima dimostrazione della necessità di cambiare strada, e rafforzare i rapporti famigliari, scoraggiando la moltiplicazione di separazioni, divorzi e aborti e ritrovare una piena e leale intesa tra maschi e femmine, consentendo così ai figli di accogliersi affettuosamente e riprodursi con amore. Un fenomeno che del resto (come ho documentato ne "Il ritorno del padre", edito da San Paolo) si sta generalizzando in tutto l’Occidente più avanzato (tranne ahimé - finora - l’Italia), proprio per la rivolta delle generazioni più giovani contro la suicida legislazione anti famigliare - e fortemente anti paterna - degli anni Settanta».

Ma questo tipo di violenze si possono evitare in qualche modo? Parlavamo di educazione, ebbene come si dovrebbero educare i maschi per evitare il più possibile la violenza? E alle ragazze c’è qualcosa che dobbiamo insegnare?

«La prima necessità, per entrambi, è quella di scendere dal piedistallo di sempre più superba grandeur, assolutamente infondata, su cui l’uomo si è posto dall’Illumismo in poi. Uomo e donna sono creature divine solo se c’è un Dio che li istruisce, altrimenti sono due poveri esseri destinati a rapida estinzione perché (come ha ampiamente illustrato l’antropologia) non hanno neppure la ricchezza e sottigliezza istintuale degli animali. Il rapporto tra uomo e donna se non è animato da uno sguardo trascendente non assicura affatto la continuazione della specie umana. 

Dalla confusione avventuristica e criminale (anche politica) della post modernità si esce - e si vede anche da episodi come questo - curando innanzitutto le proprie manie di grandezza. Una volta usciti dallo sguardo inflazionato del momento storico donne e uomini dovranno poi recuperare un rapporto autentico con la natura e con il corpo, proprio e dell’altro. Senza di questo quasi nulla può funzionare tra gli esseri umani, perché il mondo è occupato dagli oggetti e dalle ideologie: roba che non respira, prodotti cerebrali e scarsamente affettivi che ormai - per fortuna - interessano sempre meno. L’educazione vera e propria non può che arrivare dopo. Prima c’è da riprendersi il corpo, e l’anima».

 

La Verità 5 giugno 2023

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