Tunisia e Libia, riforma della giustizia e utero in affitto, inverno demografico e programmi del governo Meloni. È iniziata con Alfredo Mantovano la festa di Tempi a Caorle, che ha parlato di “Politica alla prova”.
Intervistato da Emanuele Boffi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri è stato il protagonista del primo appuntamento di “Chiamare le cose con il loro nome”, seconda edizione del Premio Luigi Amicone nella cittadina veneta. Qui sopra il video integrale dell’incontro, di seguito alcuni appunti dalle sue dichiarazioni.
Mantovano:
«Perché Meloni è nel mirino»
Davanti a un pubblico numeroso e
attento, Mantovano ha parlato delle sfide e delle responsabilità di questi
primi mesi a Palazzo Chigi: «Per la prima volta dopo anni c’è un governo
sostenuto da una maggioranza chiara, intenzionato a rispettare gli impegni
assunti in campagna elettorale. Dovrebbe essere la regola, ma gli ultimi undici
anni hanno dimostrato che questa regola non è stata rispettata, avendo avuto
governi non espressione di una manifestazione di voto».
Questa cosa non piace, ha spiegato Mantovano: «C’è un “partito” anti-italiano, che non si presenta alle elezioni, un raggruppamento trasversale con una precisa visione della storia, che pensa che l’Italia sia un paese sbagliato», un “partito” che si riconosce nel “Manifesto di Ventotene”, un documento troppo citato e troppo poco letto, in cui gli autori, Spinelli e Rossi, dicono chiaramente che il popolo non sa con precisione cosa volere e cosa fare: «Il popolo non è in grado di operare le sue scelte, se lo fa è pericoloso e va riorientato, persino il colore dei fiori da piantare nel giardino qui fuori deve essere deciso a Bruxelles – è questa la logica del Pnrr: se non fai come dico io ti tolgo i fondi».
Per questo «il governo Meloni è pericoloso, perché rompe
questa logica. Il paradosso è che siamo accusati di deriva autoritaria quando
governiamo in forza dei voti. Silvio Berlusconi è stato il bersaglio
numero uno di questo partito fino a che ha governato. Oggi Meloni è nel mirino per lo stesso peccato
originale: non essere in sintonia con questi presupposti ideologici».
Il peso
internazionale del governo Meloni
Toccando il tema della politica estera,
e del Piano Mattei proposto dall’esecutivo Meloni, Mantovano ha spiegato che
«chi ha responsabilità di governo non ha più il diritto di lamentarsi e ha il
dovere di affrontare problemi. E i problemi sono enormi, penso alla crisi dei migranti, e possono essere affrontati
con la solidarietà internazionale». È il caso della Libia, in crisi a causa delle scelte che l’amministrazione Obama e
la Francia di Sarkozy hanno fatto nel 2011 imponendole a tutto l’Occidente. È
il caso anche della Tunisia, «la cui
crisi è economica e finanziaria. Le difficoltà di questi due paesi sono
inserite in un contesto in cui la solidarietà occidentale lascia a desiderare.
Tra un mese il governo tunisino non avrà più soldi per pagare i dipendenti
pubblici, polizia compresa: dunque i migranti partiranno da porti gestiti
soltanto dalla criminalità».
Il piano
congelato del Fmi per la Tunisia e quello dell’Italia
Mantovano ha parlato del cortocircuito
per cui il Fmi ha pronto un piano da quasi due miliardi di dollari per la
Tunisia, «ma lo ha congelato fino a che Tunisi non dimostrerà il rispetto dei
diritti. Ma senza le risorse del prestito i diritti saranno ancora meno
rispettati. È un circolo da spezzare, perché è ideologico, non tiene conto che
Tunisia non è il Canton Ticino, e che l’interlocutore non ha esattamente il
profilo della superiora delle suore marcelline». Il sottosegretario ha fatto notare il nuovo e maggior peso che l’Italia,
con Meloni al governo, sta assumendo sul piano internazionale.
L’esempio più recente è proprio quello
del viaggio della premier in Tunisia che ha preceduto la visita ufficiale con
Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, e Mark Rutte, primo
ministro olandese. Con quel viaggio, e con il piano proposto, Meloni è riuscita a favorire un clima
migliore tra il presidente tunisino Kais Saied e i leader europei. «A luglio»,
ha annunciato Mantovano, «organizzaremo a Roma una conferenza internazionale
per parlare di progetti di sviluppo nell’area sud del Mediterraneo e in nord
Africa, con i paesi del Golfo disponibili a fare la loro parte». Questo perché
«i traffici di esseri umani non si frenano con i poliziotti sulla spiagge, ma
con una strategia d’insieme».
Giustizia,
«il governo non si fa ricattare dai magistrati»
Il Consiglio dei ministri ha approvato
all’unanimità la proposta di riforma della giustizia del ministro Nordio. «Una riforma della giustizia in senso
garantista va costruita gradualmente, questo ddl è un primo decisivo segnale
per ribadire che la politica decide, fa le sue scelte senza mettersi al
tavolino e attendere la dettatura da parte delle correnti della magistratura
associata, pondera e sceglie senza condizionamenti. Quando si è insediata alla
presidenza del Consiglio Giorgia Meloni ha detto «non sono ricattabile»: questo governo non è ricattabile, a partire
dalla giustizia. A leggere certi giornali sembra che abbiamo smantellato
tutti presidi della legalità».
«Quando sono entrato in magistratura i
reati contro la pubblica amministrazione erano quattro», ha ricordato
Mantovano, spiegando che negli anni sono poi aumentati così tanto che oggi il
principale impegno della Cassazione è stabilire la linea di confine tra
fattispecie di reato così numerose che si sovrappongono. «Tutti i sindaci», ha commentato
l’ex magistrato oggi al governo parlando dell’abolizione dell’abuso d’uffico,
«inclusi quelli del Pd, hanno salutato con un “finalmente” il varo di una
norma» che abolisce un reato per cui quasi nessuno degli indagati viene
condannato.
«Giusto combattere
la battaglia contro l’utero in affitto»
Il Parlamento sta votando una legge per
rendere l’utero in affitto un reato universale. Ma non è una battaglia ormai
superata, ha chiesto il direttore di Tempi, Emanuele Boffi, a Mantovano? «Sta
scomparendo l’identità della donna, ed è una tragedia». Con la pratica dell’utero in affitto «siamo
alla linea di confine, siamo consapevoli che questa è una battaglia che non può
essere combattuta solo con una norma penale, ma è una modifica normativa che dà
il segno di un cambio di passo». Il divieto di utero in affitto in
Italia è sancito con una legge che ha vent’anni, ma che è stata aggirata
andando in nazioni dove la pratica è permessa e tornando in Italia per farsi
riconoscere il figlio così “prodotto” grazie a sindaci «che dicono che va tutto
bene. Noi vogliamo che se un italiano ha questa condotta all’estero valga come
se fosse fatta qui».
La battaglia non è superata, non è
troppo tardi combatterla e «va fatta sul piano culturale, descrivendo cosa è
una pratica di utero in affitto, raccontando quante donne vedono il proprio
corpo devastato, umiliato. Il Parlamento sta facendo la sua parte, attorno a
questa proposta c’è un consenso più ampio della maggioranza, ma sappiamo che da
sola non risolve. Sarà l’occasione per discussione mediatica, stiamo pronti. Non è una faccenda da preti, non c’entra la
fede, c’entrano la donna, l’uomo, il dato antropologico. È una battaglia
laica che va fatta coinvolgendo più energie possibili, cercando coesione, solo
così si può partire alla riscossa per ricostruire i fondamentali di una sana
antropologia. Se la perdiamo sarà tutto più complicato».
La sfida
dell’inverno demografico spiegata da Mantovano
Non poteva mancare un affondo sulla
sfida più importante che l’Italia deve affrontare, l’inverno demografico. Il
governo, ha ricordato Mantovano, si è dato l’orizzonte temporale dei cinque
anni, «nella legge di bilancio abbiamo messo quello che si poteva, ma stiamo
pensando a misure con carattere di stabilità. Anche questa comunque è una battaglia
culturale. Il successo di un popolo ci sarà quando la curva demografica
riprenderà a crescere. Perché succeda dobbiamo tornare al ratzingeriano “vivere
come se Dio esistesse”, guardare alla tradizione e trarne spunto. È una sfida
che riguarda tutti noi, non solo il governo o le maggioranze. Mettere al mondo
un figlio è l’atto di speranza più grande che si possa fare, fuori dalla
retorica e da ogni predica».
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