Luca Doninelli ricorda lo scrittore che è riuscito «a fare la più grande
letteratura degli ultimi cinquant’anni» facendo dell’ascolto della realtà
«poesia mai vista»Cormac MCCarthy
Su Cormac McCarthy, lo scrittore americano, autore de La
strada, morto martedì 13 giugno a 89 anni, sono
state usate – e consumate – molte parole. Tranne quelle che lo scrittore Luca Doninelli trovò
con “precisione che sgomenta” (la stessa di McCarthy) qualche anno fa: «Le
parole di McCarthy sono sempre le parole delle cose, talmente esatte da farci
pensare che le cose siano state poste nell’essere con quelle stesse parole».
Raggiunto da Tempi Doninelli
ricorda oggi la capacità unica di McCarthy di liberare la materia
dall’irrilevanza e fare dell’ascolto della realtà «poesia mai vista. È morto un
autore che ha inventato una scrittura completamente nuova, completamente sua.
Che ha trovato le parole per sfidare in modo unico il vedere, il sentire,
l’ascoltare. Non ne ho mai incontrato uno capace di definire le dimensioni di
un camion sentendo come scala le marce da dietro una curva, quando ancora non è
visibile. Capace di usare una tale quantità, qualità e precisione di parole per
descrivere un paesaggio del West piuttosto che il lavoro di un umile saldatore.
McCarthy era capace di una tensione volta
a sconfiggere continuamente la scontatezza del rapporto con la realtà».
McCarthy,
«arreso al mistero, mai all’opinione»
Nulla era irrilevante per McCarthy,
«arreso al mistero», perché «la realtà o è un mistero o è preconcetto
ideologico, opinione. Come quell’ateo del racconto di Foster Wallace che
discuteva dell’esistenza di Dio con un amico credente in birreria»: non è che
non abbia ragioni per non credere, spiegava l’ateo dicendo di avere avuto a che
fare con quella “roba di Dio e della preghiera” quando, sperduto in una
tormenta tra i ghiacci dell’Alaska invocò il suo aiuto. «Bene, allora adesso
dovrai credere, sei o non sei ancora vivo?» gli chiese l’amico, e l’ateo,
alzando gli occhi al cielo: «Ma no, è successo invece che una coppia di
eschimesi, che passava di lì per caso, mi ha indicato la strada per tornare al
campo».
Cormac McCarthy ha sfidato ogni nostro
ateo in birreria, col suo padre della Strada, ma soprattutto
con il giudice di Meridiano di sangue e lo spietato killer
Anton Chigurh di Non è un paese per vecchi, «perché per testare il
bene, ciò che resta della verità, ciò che l’uomo cerca per tutta la vita,
McCarthy ha bisogno di spingere la negazione di questo bene e questa verità
fino all’estremo male incarnato dal giudice e dal killer. Ha bisogno di
spingere la domanda su cosa salva l’uomo fino alla disumanità. È questa
l’immensità di McCarthy: essere riuscito a fare la più grande letteratura degli
ultimi cinquant’anni, forse anche di più, senza mai abdicare, nemmeno per un
istante, al preconcetto, all’opinione».
Le parole
della realtà contro la koinè
Per Doninelli la radicalità di questa
ricerca è messa alla prova dalla prima all’ultima pagina dei libri del premio
Pulitzer americano, in ogni spargimento di sangue o descrizione del tubo
zincato che scende dal tetto verso un abbeveratoio di pietra, «passa attraverso
una concretezza che ha bisogno di trovare le parole. Oggi gli scrittori non ne
sono capaci, usano parole già usate da tutti e il linguaggio della letteratura
diventa sempre più striminzito, si risolve in una koinè. E non è un
caso che non si parli molto dell’uso che McCarthy ha fatto della lingua,
cercando continuamente di allargare la questione, di schiantare la koinè,
i circoli viziosi, l’uniformità. E questa non era una tecnica: la sua visione
del mondo, il mistero, accendeva di tensione, capacità espressiva e significato
le sue parole».
L’invisibile
che rifuggì la bolla
Per questo Doninelli colloca McCarthy al
fianco di Omero, Tolstoj e tutti gli scrittori che più ha amato come Pasolini,
Testori, Manzoni: «Come loro McCarthy si curava dei miserabili della terra
curando enormemente il lavoro sulla lingua. Questa è la differenza che passa
tra uno scrittore e la media degli scribacchini che si curano invece del
proprio lettore strizzandogli l’occhio al momento giusto. E lo ha fatto
mettendo alla prova l’uomo e quello in cui crede, che è sempre destinato alla
sconfitta: è chiaro che il padre de La strada non riuscirà a
salvare la vita di suo figlio, che moriranno entrambi e che dunque la salvezza
per entrambi non consiste nella loro speranza di salvezza. Questo è un
sottotraccia presente in tutta l’opera di McCarthy».
Lo
scrittore che parlava la lingua della realtà e non quella della «bolla
sistemica fatta di editori, finti critici, blogger, giornalisti culturali,
premi letterari, convegni, festival. Una bolla che McCarthy “l’invisibile”
rifuggì per tutta la vita. Io credo che chiunque voglia fare lo scrittore fino
in fondo prima o poi debba decidere da che parte stare. E prendere la via
d’uscita dalla bolla e dalle sue parole d’ordinanza».
TEMPI
foto Ansa
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