STEFANO FONTANA
Il cardinale Michael Czerny, gesuita, prefetto del Dicastero pontificio per
lo sviluppo umano integrale, ha pubblicato un articolo nel numero de
“La Civiltà Cattolica” appena uscito dal titolo: “Attualizzare e
rinnovare la Dottrina sociale della Chiesa”.Card. Michael Czerny
Significativo che l’attualizzare venga prima, e faccia
quindi da guida, al rinnovare, come se la lettura dei segni dei tempi partisse
dai tempi e non dai criteri per leggerli. Non sarebbe quindi la Dottrina
sociale a leggere i tempi e a rinnovarli, ma il contrario.
Il cardinale
Czerny ritiene che il pontificato di Francesco abbia ormai delineato il
quadro generale nel quale inserire questo rinnovamento della Dottrina sociale e
si premura quindi di dipingerlo. I suoi
elementi ormai li conosciamo tutti, perché sono costituiti da immagini
ricorrenti, da un repertorio di frasi ad effetto, pur se dallo scarso contenuto
teologico. Il cardinale Czerny semplicemente li riprende e ce li ripropone.
È così che egli parla di “clericalismo”
come origine di ogni abuso nella Chiesa; della inculturazione del cristianesimo che non deve essere un nuovo
colonialismo; della necessità di superare
la distinzione tra Chiesa docente e Chiesa discente; di ascoltare “Il grido della terra e il grido
dei poveri”, di “invertire la piramide”, superando la mentalità autoreferenziale.
Soprattutto
parla della nuova
sinodalità nell’attento rispetto della consueta retorica ufficiale.
Risulta ormai fastidioso contestare questo nuovo
vocabolario ecclesiale, imposto dal conformismo mentre si parla di
valorizzare le differenze e caratterizzato dalla trascuratezza di principio per
le cose molto diverse insegnate dal magistero dei pontefici precedenti [Il
cardinale, per esempio, celebra Aparecida come matrice del nuovo paradigma, ma
senza dire una parola sull’intervento di Benedetto XVI in quella sede che è
opposto alla lettura fattane qui]. Risulta fastidioso perché si tratta della
ripetizione passiva e compiacente di una decina di parole e concetti – sempre
quelli – assunti per assuefazione e con cui oggi si vorrebbe spiegare tutto. Gomez D’Avila scriveva che il comunista
pretende di spiegare tutto con 200 parole. La Chiesa di oggi ne adopera molte
di meno.
Una
espressione nuova mi sembra essere quella della “Chiesa circolare”, che mi sembra presa a prestito dall’economia
circolare oggi di moda. Se ho ben capito il cardinale Czerny, “Chiesa
circolare” vorrebbe dire una
Chiesa che riceve prima di dare, che impara prima di insegnare, che ascolta
prima di parlare. Se così è, si tratta di una nuova formula per dire una
cosa tipica della Chiesa dopo la “svolta antropologica”, ossia la sua pariteticità, se non
subalternità, al mondo. Questo concetto di Chiesa circolare riassume in
sintesi tutte le consuete immagini viste sopra.
Il cardinale
applica questo quadro alla Dottrina
sociale della Chiesa, e cosa capita? La prima conseguenza è che essa non può più essere una “dottrina”. La
“circolarità” tra la vita della Chiesa e la storia, come appunto viene detto,
significa almeno due cose: che la Chiesa non ha una parola totalmente propria e originaria da dire e
che quanto essa dice è sempre parziale, frutto appunto di una incessante
circolarità con le situazioni. Lo storicismo del cardinale Czerny non permette
nessuna dottrina ma, al massimo, qualche esperienza di dialogo e
accompagnamento reciproco senza molte pretese. Il termine “dottrina” indica invece qualcosa d’altro: Leone XIII
aveva elaborato un “corpus dottrinale” valido ancora oggi, perché valido sempre
nei suoi principi fondamentali. Nella visione del cardinale Czerny invece lo
“stile di vita” ha partita vinta sulla dottrina. Non è un cambiamento da poco.
Soprattutto perché questo “stile di vita” è solo un fascio di atteggiamenti.
La
circolarità comporta poi la “conversione pastorale”, come dice lo stesso
Czerny, e quindi il
primato della prassi, della attività sulla passività, della “actuosa
participatio” sulla contemplazione e sul mistero, cosa che nessun
documento sociale ha mai detto. Ho trovato piuttosto inquietante questa frase
del nostro cardinale: “Superare un modello di Chiesa unicamente incentrato
sull’azione sacramentale richiede lo sforzo di promuovere un’azione pastorale
che assuma le sfide poste dalla storia”. Ma a questo punto tutta la storia
diventa “sacramento” e si ridimensiona – fino a negarla? – l’azione diretta
della grazia anche per la storia.
Czerny
ripropone l’idea che la Dottrina sociale della Chiesa appartenga alla
missione della Chiesa e che non sia un elemento marginale ma essenziale,
però cambia il significato di cosa si intenda per “missione”. Non andrebbe più intesa come “ambito delle applicazioni
pratiche che fa seguito a un corpus di verità dogmatiche, ma
di un’azione che si situa al cuore stesso dell’annuncio evangelico”, con il che
resta da spiegare come si faccia ad “annunciare” se non annunciando verità
dogmatiche che, se non vanno riduttivamente “applicate”, vanno però vissute
nella loro capacità fontale di dire quanto la storia e le situazioni non
possono dire. Altro che circolarità.
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