La parole con cui Del Noce nel 1976 profetizzò la «collusione qui in Italia tra il laicismo radicale, proprio della borghesia progressista, e il comunismo»
A cura di Fondazione Europa Civiltà
Seconda parte della rassegna
dell’intervento pronunciato da Augusto Del Noce a Rimini nel corso II Convegno
nazionale per insegnanti e operatori della scuola promosso da Comunione e
Liberazione nell’agosto 1976. Tutte le uscite della serie sono reperibili in questa pagina.
Nella parte centrale del suo intervento
al II Convegno nazionale per insegnanti e operatori della scuola promosso da
Comunione e Liberazione Augusto Del Noce formula la sua convinzione che il
marxismo eretico di Antonio Gramsci, nel quale l’immanentismo e la filosofia
della prassi prendono il posto del materialismo storico e del materialismo
dialettico, è destinato a
rafforzare l’egemonia dello spirito borghese anziché a far
trionfare la Rivoluzione socialista. Rilette quasi mezzo secolo dopo, le pagine
di Del Noce appaiono profetiche.
«Per il marxismo
autentico», dice il filosofo cattolico, «la scomparsa della religione è un
risultato che consegue all’avvento della società senza classi e alla fine
dell’oppressione e della miseria. Per Gramsci, invece, è la condizione: la
rivoluzione culturale antecede la rivoluzione economico-sociale […]. Quanto
alla scuola, l’intransigenza di Gramsci sul bando dell’insegnamento religioso è
assoluta. Introdurlo nella scuola primaria vuol dire assegnare il popolo a
quella fase arretrata della storia cui corrisponde la religione; significa
rifiutare di educarlo, volerlo mantenere nella concezione magica del mondo e
della natura».
Il Pci di
Gramsci servo dell’élite radicale
È su queste basi che avviene la
«collusione […] qui in Italia tra il laicismo radicale, proprio della borghesia
progressista, e il comunismo. Al punto che si può parlare di un blocco storico
di alleanze, di cui il comunismo è la forza egemone, e a cui partecipano laici
radicali e cattolici del dissenso». Ma tale egemonia non è destinata a durare.
«È discorso corrente
quello della borghesia che offre la corda con cui il comunismo la impiccherà.
Non ne sono così sicuro. Anzitutto perché ogni addebito si può muovere alla
borghesia tranne quello di non saper fare i suoi interessi». La borghesia
progressista «vuole realizzare entro l’ordine borghese, inteso come predominio
di una classe, […] gli stessi contenuti etico-religiosi del marxismo (la
scomparsa dell’idea di Dio e di ogni traccia di verità eterne, valori assoluti,
eccetera), sostituendo, come sua legittimazione (o come oppio del popolo,
perché qui veramente i due termini si equivalgono), il benessere alla religione
[…]. Vuole, cioè, servirsi dell’occasione del comunismo per realizzare lo
spirito borghese allo stato puro, finalmente libero da ogni compromesso con la
tradizione. Comune con il marxismo ha il programma di laicizzazione di tutta la
vita. Diversamente dal marxismo, pensa che non sia possibile una società senza
classi, e soltanto propone la sostituzione di élite chiuse con élite aperte».
Il Pci gramscizzato è lo strumento di
questo disegno:
«Il partito comunista
diventerebbe così l’esecutore di un programma di modernizzazione, che l’élite
radicale ha disposto. O ancora si può dire: se una certa borghesia nazionalista
pensava alla Chiesa cattolica come instrumentum regni, la nuova borghesia
radicale pensa di trovare questo instrumentum regni nella “religione secolare”
comunista. […] Io penso che la captazione del gramscismo da parte del laicismo
radicale e della borghesia progressiva debba necessariamente avvenire».
Il
fallimento annunciato della rivoluzione
Del Noce insiste nel precisare le
differenze fra il marxismo di Gramsci, intriso di idealismo filosofico, e
quello ufficiale, imperniato sul materialismo storico, e insiste nel
pronosticare un esito funesto (per le aspirazioni rivoluzionarie):
«L’idea rivoluzionaria
è connessa nel marxismo con quella di una trasformazione radicale della natura
umana, con l’affermazione prometeica del passaggio a una superumanità. Ora
questo passaggio non può ovviamente essere opera dell’uomo stesso [è il
prodotto della dialettica della materia, ndr] e tanto meno delle idee che egli
ha pensato in determinate situazioni storiche; l’umiliazione delle idee e dei
loro portatori intellettuali, questo è il significato del materialismo storico.
Per Gramsci, invece, gli intellettuali sono l’elemento attivo e unificante, e
il Partito “moderno Principe” è l’intellettuale collettivo; ma si tratta di
vedere se questa conquista degli intellettuali, che è avvenuta, non abbia
coinciso con la captazione borghese-illuministico-modernista del pensiero
rivoluzionario. […] Si potrebbe forse dire che l’esito del gramscismo è la
sostituzione del materialismo storico con una sorta di storicismo materialista;
quando alla parola materialista si tolga ogni significato metafisico, e si
intenda invece la negazione radicale di valori permanenti e metastorici. A che
ha dato luogo la conquista gramsciana della cultura se non alla ricomparsa
dell’intellettuale dissacratore delle tradizioni, del tipico rappresentante
della mentalità illuministica? Ma questo intellettuale dissacratore ha
realmente la possibilità di agire contro lo spirito borghese, nel presente
stadio dell’evoluzione che attraversa?».
Dopo la
Chiesa, il marxismo
Quindi il filosofo annuncia la vittoria
imminente dello spirito borghese, che in passato ha strumentalizzato la Chiesa
e ora strumentalizza il marxismo:
«Nulla più ripugna alla
borghesia, oggi in ascesa, progressista e illuminata, che l’idea di verità e di
valori eterni, permanenti, assoluti. La devalorizzazione dei valori sino ad
oggi considerati come supremi è la condizione per esservi ammessi. Il gruppo
sociale che oggi si dichiara progressivo e aspira all’egemonia accetta tutte le
negazioni del marxismo nei riguardi del pensiero contemplativo, della religione
e della metafisica; accetta la riduzione marxista delle idee a strumento di
produzione; ma, d’altra parte, rifiuta del marxismo gli aspetti
rivoluzionari-messianici, quindi quel che di religioso rimane nell’idea
rivoluzionaria. Sotto questo riguardo quel che si manifesta oggi è veramente lo
spirito borghese allo stato puro; lo spirito borghese che intende trionfare dei
suoi due tradizionali avversari, la religione soprannaturale e il pensiero
rivoluzionario. Oppure si può anche dire: per trionfare ha bisogno di venire a
compromesso con l’uno o con l’altro; in un ieri ormai lontano veniva a
compromesso con l’essere, con i valori consacrati dalla tradizione; oggi col
divenire, con la dissoluzione di tali valori. Si è appropriata, insomma della
“demistificazione”».
L’intellettuale
organico e l’industria culturale
Il risultato di questa appropriazione
dei temi marxisti da parte della borghesia ha conseguenze a livello culturale.
Qui il “profeta” Del Noce dà il meglio di sé, quando scrive (siamo nel 1976) di
«assorbimento della
cultura nell’”industria culturale”; che riconosce due tipi di intellettuali, i
“dissacratori” cioè i “custodi del nichilismo” o corteggiatori del presente […]
e gli esperti e i tecnici (perché il pensiero è ridotto a pensiero tecnico,
praticamente utilizzabile)».
È questo che Gramsci voleva? Certamente
no, ma quello che sta accadendo era implicato nel suo pensiero. «Nessun dubbio
che Gramsci detesterebbe questa nuova borghesia, che ha palesato pienamente il
suo volto negli ultimi vent’anni», commenta Del Noce. «Il problema è se si
trovino nel suo pensiero armi adeguate a combatterla; o se, invece, il suo intellettuale
organico non si sia decomposto così da dar luogo a tipi coincidenti con quelli
dei funzionari dell’industria culturale».
(2. continua)
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