IL “NUOVO ORDINE” CHE HA PRESO IN OSTAGGIO LA FRANCIA
UN’ANALISI DI RODOLFO CASADEI CHE HA LETTO I QUOTIDIANI FRANCESI
Sulla stampa francese che conta, i
commenti sulle violenze e i saccheggi seguiti all’uccisione del giovane Nahel da
parte di un poliziotto si dividono sostanzialmente in due campi: quello di chi
accusa la brutalità della polizia e la politica delle istituzioni francesi per
ciò che sta accadendo, e quello di chi vede nell’immigrazione incontrollata la
miccia di un’esplosione inevitabile e nella morte del ragazzo il pretesto che
molti aspettavano per dare il via a razzie. I primi trovano spazio soprattutto
sul quotidiano Le Monde, i secondi soprattutto su Le Figaro.
I ragazzi in piazza che dicono «avrei potuto essere io»
«Sono ragazzi della stessa età di Nahel
che reagiscono in maniera intima e violenta per una semplice ragione: sarebbero
potuti morire nello stesso modo», commenta Fabien Truong, sociologo e docente
dell’Università di Parigi VIII sul Monde. «Ognuno
di loro dice a se stesso: “Avrei potuto essere io”. Ogni adolescente di questi
quartieri conserva nella memoria ricordi di alterchi con la polizia. I
controlli di identità sgradevoli e ripetuti sotto casa sono umilianti, generano
stress e nutrono, alla lunga, un profondo risentimento. Sottintendono che la
presenza di questi adolescenti, anche nei pressi di casa, non è legittima e
deve essere giustificata. Questa logica
del sospetto è quasi metafisica ed esistenziale. Questi giovani pensano che li si
sottopone a controlli per quello che sono e non per quello che fanno. Sono
esperienze che lasciano tracce durevoli».
Sono indispensabili dei cambiamenti:
«Una polizia più vicina alla popolazione, che consolida la sua autorità con
operazioni mirate e una repressione graduata, è una delle chiavi. Ma è una
riforma di tutta la società che bisognerebbe realizzare! Lo sanno anche i
poliziotti, loro stessi evocano le conseguenze della miseria sociale e morale
davanti alla quale si trovano».
Le banlieue
e l’eredità coloniale della Francia
Argomentazioni simili a quelle, sempre
sul Monde, di Rachid
Benzine, politologo e scrittore: «Di fronte all’aumento della povertà e della
disperazione nei quartieri popolari, sono state sostanzialmente sviluppate,
soprattutto a partire dal 2005 (data delle grandi sommosse nelle banlieue
seguite alla morte accidentale di due adolescenti che fuggivano da un controllo
di polizia – ndt), tecniche di mantenimento dell’ordine modellate più o meno su
quelle americane o della polizia israeliana. Tecniche a volte efficaci per quel
che riguarda un miglioramento dell’ordine pubblico, ma che hanno per effetto di
accrescere le tensioni fra le forze di polizia e le popolazioni interessate, di
distruggere ogni vera comunicazione fra di loro (…). La questione cruciale
del rapporto tra l’istituzione di polizia e le popolazioni delle banlieue, per
lo più provenienti dall’ex impero coloniale francese, è oggetto di una
rimozione. Fino a quando non sarà affrontata in maniera radicale, non potremo
sperare in un cambiamento positivo significativo. La Francia soffre della sua eredità
coloniale. Nei fatti, l’uguaglianza fra i cittadini è lungi dall’essere una
realtà, le popolazioni provenienti dall’ex impero sono ancora largamente
stigmatizzate e viste con sospetto. Se non siamo capaci di mettere tutto questo
sul tavolo e di discuterne insieme, le cose non faranno che peggiorare».
«Lo “sfogo” delle distruzioni delle
notti scorse non ha nulla di legittimo e non può produrre giustizia. La
risposta sta nella mobilitazione, nell’organizzazione e nella rappresentanza
democratica, allo scopo di costruire attraverso la partecipazione politica
delle istituzioni – la polizia come la giustizia o la scuola – “non umilianti”.
Solo delle istituzioni riconosciute dai cittadini e che riconoscono i cittadini
possono permettere di ricostruire la legittimità del monopolio della violenza
di cui dovrebbe disporre lo Stato».
Le
responsabilità del «sinistrismo culturale» in Francia
Tutt’altra musica sulla pagine del Figaro. Ultimo in ordine di tempo è intervenuto lo storico di origine ebraico-marocchina Georges Bensoussan, che nel 2002 aveva pubblicato sotto pseudonimo I territori perduti della Repubblica: antisemitismo, razzismo e sessismo in ambito scolastico, che raccoglieva le testimonianze di insegnanti e presidi delle scuole di banlieue.
«La negazione della realtà è largamente
responsabile della situazione attuale, coltivata dalle classi dirigenti e
nutrita di quel “sinistrismo culturale” che, in buona parte, domina i media del
paese», dice in un’intervista del
3 luglio. «Qui si oppongono due sistemi
di valori, e il sostrato socio-economico non spiega da solo questa situazione,
come ci diceva già il sociologo Hugues Lagrange a proposito delle sommosse del
2005. A dispetto del discorso conformista che la vede come una nuova forma
di razzismo, dobbiamo ricorrere anche all’antropologia culturale per
comprendere i fondamenti di questa crisi. L’odio alimentato contro il paese di
accoglienza nutre il risentimento e favorisce la negazione della legittimità
dell’autorità. E lo psichiatra infantile Maurice Berger, che studia da
trent’anni l’iperviolenza dei preadolescenti, ha notevolmente analizzato queste
società che funzionano secondo il “codice dell’onore” e da cui provengono un
gran numero di questi ragazzi pervasi da un sentimento di onnipotenza e di
assenza di limiti. E la cui follia incontra quella di un mondo il cui
consumismo senza limiti sembra essere la sola trascendenza».
Le colpe
dell’immigrazione eccessiva in Francia
Bensoussan attribuisce la responsabilità
dell’immigrazione eccessiva non al governo, ma ai “padroni”: «Non si tratta di
rigettare tutto quello che è stato fatto nelle banlieue negli ultimi
quarant’anni, spendendo una somma considerevole di denaro stanziato in 14
diversi piani di intervento. Ma non si può fare a meno di domandarsi a cosa sia
servito. Perché non si è attaccata la radice del problema, cioè l’immensa
“fifa” vissuta dal grande padronato francese nel maggio del Sessantotto, quando
ha avuto luogo la più grande mobilitazione di lavoratori che la Francia abbia
mai conosciuto nel XX secolo. Costoro hanno deciso di non rivivere più un tale
spavento, e l’immigrazione di massa è stata una conseguenza di quella grande
paura. Cinquantacinque anni più tardi, il calcolo è riuscito: le classi
popolari sono disorientate, frantumate dalla deindustrializzazione e dalle
delocalizzazioni, dall’usura mentale della disoccupazione di massa e
ultradecennale, minate da una disuguaglianza crescente nella ripartizione delle
ricchezze, il cui corollario è uno sforzo redistributivo unico in Europa, che
schiaccia le classi medie. (…) E quando l’integrazione è fallita per una parte
dei migranti, la nazione francese, contrita e “colpevole”, resta silenziosa
circa se stessa, la sua storia, la sua cultura e ciò che è come nazione.
Patetica a questo riguardo è la moltiplicazione dei proclami sulla Repubblica,
la laicità e la cittadinanza, che evitano accuratamente la parola “nazione”».
Bruckner:
colpa dell’ultrasinistra insurrezionale
Pascal Bruckner, saggista e scrittore
arrivato spesso ai ferri corti con le associazioni islamiste, scrive sul
quotidiano: «Nel 2005 i rivoltosi, figli della televisione e del supermercato,
chiedevano, come disse allora uno di loro, “soldi e ragazze”. Non volevano la
rivoluzione proletaria né l’eliminazione della povertà, ma trarre vantaggio dal
sogno del mercato. Nati francesi, volevano diventarlo ma si sentivano bloccati
dal loro colore della pelle e, soprattutto, dalla loro origine sociale, dal
loro indirizzo. Come oggi, non erano portatori di alcun progetto, se non quello
di vomitare il proprio odio nei confronti della polizia, bruciare asili
infantili, supermercati, scuole, centri di assistenza sociale e biblioteche con
un approccio suicida che li separa ancora più nettamente dal resto della
nazione. La loro ribellione, trasmessa su tutti i social, è sempre una forma di
integrazione negativa, un rituale iniziatico dove la lotta contro la polizia
prende il posto di una rivolta adolescenziale impossibile contro un padre
assente o inesistente. La Francia li ignora o li disprezza, e la loro rabbia
può interpretarsi come un grido di amore deluso, un modo di dire: ci siamo,
esistiamo. Tali sono le banlieue: non un corpo estraneo nella Repubblica, ma lo
specchio deformante delle passioni francesi, una riserva di talenti e di
energia ma anche di barbarie potenziale – razzismo, antisemitismo, omofobia –
ricettacolo dei peggiori istinti della plebe».
«Ciò che è cambiato nel giro di vent’anni, è l’apparizione
di un’ultrasinistra insurrezionale, simpatizzante degli islamisti radicali,
rabbiosamente antisionista, cioè antisemita, e che sogna, in mancanza della
grande sera, di moltiplicare le notti di sommosse. La France insoumise (Lfi,
il partito di Jean-Luc Mélenchon, che alle presidenziali del 2022 ha raccolto
il 21,95 per cento dei voti al primo turno – ndt) e gli ecologisti, non potendo
governare la Francia, vogliono renderla ingovernabile».
«Popolazioni
che non credono di appartenere allo stesso popolo»
Prima di Pascal Bruckner era intervenuto
Mathieu Bock-Côté, intellettuale canadese francofono autore di libri caustici
sul politicamente corretto e sulle politiche identitarie: «Per molte ragioni
c’è la tentazione di parlare di guerra civile, espressione che s’impone nel
vocabolario politico ordinario. Ma questo riferimento è inesatto. Perché una guerra civile si vive in seno a
uno stesso popolo, divide le famiglie, spezza le comunità e brucia anzitutto
del fuoco della passione ideologica. Ora, a meno di non voler ridurre la
nazione francese a una semplice entità giuridica, bisogna convenire che
l’attuale sequenza mette in scena delle
popolazioni che non credono di appartenere allo stesso popolo. Sarebbe
meglio parlare di sommosse in seno a territori che si considerano enclave
straniere, che la Francia ha fatto di tutto per riportare nel suo seno, a colpi
di spesa pubblica faraonica, senza riuscirci. Altri ci vedranno i prodromi di
uno scontro di civiltà».
«Questi raid non sono opera di
militanti, anche se questi ultimi hanno cercato di prendere il controllo della
marcia bianca (quella aperta dai parenti del ragazzo ucciso – ndt) iscrivendola
sotto il segno dell’indigenismo, e anche se si può essere certi che trent’anni
di propaganda antifrancese oggi portata avanti da Lfi e dalla sinistra radicale
hanno certamente giocato un ruolo centrale nell’incancrenimento della
situazione, sognando costoro apertamente una Francia in fiamme. Non esistono, in Francia, zone
senza legge, ma solamente zone dove si esercita una nuova sovranità, che si
esprime distruggendo tutti i simboli che rappresentano le autorità francesi.
I territori perduti della Repubblica sono anzitutto territori dove la Francia è
rigettata. Sarebbe meglio parlare di territori in situazione di partizione
etnoculturale, dominati dagli spacciatori di droga e dagli islamisti, che
alcuni vorrebbero spingere verso una dinamica insurrezionale. La popolazione
locale desiderosa di integrarsi è presa in ostaggio da questo nuovo ordine».
TRATTO DA TEMPI
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