Al
convegno sui cattolici in politica, a dire che Camaldoli è un faro sono
stati proprio Zuppi e Mattarella, eredi di coloro che ne hanno spento la
luce scegliendo il compromesso dei cattolici con la modernitàMattarella e Zuppi a Camaldoli
Dal 21 al 23 luglio scorsi si è tenuto
presso il convento di Camaldoli (Arezzo) un convegno per ricordare l’80°
anniversario del Codice di Camaldoli, pubblicato nel 1943 da un gruppo di
cattolici più o meno giovani, da Saraceno a La Pira, da Taviani ad Andreotti,
da Fanfani a Moro, come progetto di un impegno dopo il crollo del fascismo. Il
convegno ha visto la presenza del cardinale Matteo Zuppi, presidente dei
vescovi italiani, e del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che
hanno tenuto due ampie relazioni [rispettivamente QUI e QUI).
Ambedue hanno esaltato il “Codice”, il cardinale Zuppi ha addirittura detto
che oggi ci sarebbe bisogno di qualcosa di analogo per l’Unione Europea e
Mattarella ha affermato che è stato un contributo fondamentale per la nostra
Costituzione. L’analisi è stata enfaticamente celebrativa e le due autorevoli e
principali relazioni hanno sovrapposto ad un esame serio del Codice esigenze di
politica ecclesiastica la prima e di costituzionalismo irriducibile la seconda.
Basti pensare, a titolo di esempio, che Zuppi ha assimilato la posizione di Pio
XII a quella di Francesco e che Mattarella ha mescolato il Codice dentro un
gruppo eterogeneo di altri documenti come il Manifesto di Ventotene.
Valutazioni, ambedue, ben difficili da sostenere.
Nel 1943 c’era un notevole fermento
propositivo tra i cattolici. Due furono le proposte culturalmente più elaborate, il Codice di
Camaldoli appunto e la proposta di Franco Rodano, il “cattolico comunista”. La
prima fallì e condusse progressivamente all’estinzione del cattolicesimo in
politica, mentre la seconda ebbe successo nel trasfigurare il cattolicesimo
politico nel comunismo italiano. La questione di fondo era come rapportarsi con
la modernità, che la fine della guerra avrebbe ulteriormente implementato non
solo a livello politico ma anche sociale. Il Codice vuole collocarsi nella
prospettiva di Pio XII, secondo il quale la democrazia, per essere accettata
dai cattolici, avrebbe dovuto accogliere due presupposti: uniformarsi al
diritto naturale e accettare il ruolo pubblico unico e fondativo della religione
cattolica e della Chiesa. In altre parole, la società cristiana.
Nel testo del Codice di
Camaldoli possiamo trovare molte espressioni che riprendono i tratti caratteristici della società cristiana come
presentati dal magistero sociale da Leone XIII a Pio XII, accanto naturalmente
anche a qualche debolezza e ingenuità. Ne elenco alcuni: la società civile
deriva remotamente da Dio creatore; la dignità dell’uomo in società deriva dal
fatto di essere “preordinato a Dio”; il bene comune è sia di ordine naturale
che spirituale; il bene comune non è indirizzato solo allo sviluppo della vita
materiale e intellettuale degli uomini ma anche a quella religiosa; “la
sovranità statale proviene da Dio”; “Lo Stato deve riconoscere la natura divina
della Chiesa”; “La famiglia ha come base e sorgente il matrimonio, e cioè: il
matrimonio nel senso cristiano di unione giuridica e spirituale, perpetua, una e
indissolubile per la procreazione e l'educazione della prole il mutuo aiuto e
il rimedio alla concupiscenza”; “soltanto nell'unione matrimoniale c'è il
diritto alla procreazione della prole”; “il divorzio come soluzione del vincolo
è inammissibile”. A questi se ne potrebbero aggiungere anche altri, in
applicazione del principio di sussidiarietà o nella concezione dei vari aspetti
della vita economica.
Se vengono paragonati i punti ora visti
con la situazione attuale, si nota che essi non hanno niente a che fare con il seguito della storia
dei cattolici in politica dopo quel 1943 e con la condizione odierna. Tutti
sono stati messi da parte dagli stessi cattolici in politica. Perfino gli
estensori del Codice, allora poco più che ventenni ma in seguito influenti
protagonisti della vita politica, hanno agito non in conformità ma in contrasto
con quanto lì espresso. Il
Codice non è per niente un faro per i cattolici in politica, come invece Zuppi
e Mattarella hanno fatto retoricamente credere. Al convegno di qualche giorno
fa a dire che Camaldoli è ancora un faro sono stati proprio gli eredi di coloro
che ne hanno spento la luce.
Bisogna allora chiedersi quale sia la principale causa sia del progressivo abbandono lungo la storia di questi 80 anni dei principi del Codice, sia della sua recente pomposa esaltazione. Gli estensori del Codice fissarono in quel testo i principi della Dottrina sociale della Chiesa, ma non possedevano ormai più il retroterra culturale necessario per rimanervi fedeli. Da allora, progressivamente la politica cattolica assunse nuove correnti di pensiero legate alla Nouvelle Theologie in teologia e al personalismo cattolico in politica, che non confermavano più quanto scritto nel Codice di Camaldoli. Il tema di fondo, come ho anticipato all’inizio, era il confronto con la modernità. Il Codice non resse il confronto perché la sua lettera non fu supportata da una adeguata impostazione culturale. Una cosa almeno possiamo chiedere: che quanti hanno reso culturalmente obsoleto il Codice non se ne facciano oggi esaltatori e fingano di non vedere il fallimento cui essi stessi hanno contribuito.
SANDRO FONTANA
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