sabato 29 luglio 2023

L’UTERO IN AFFITTO REATO UNIVERSALE

Diritti, mercato, schiavitù. Su Avvenire Assuntina Morresi spiega bene cosa c'è in gioco nella proposta del centrodestra per rendere la maternità surrogata fatta all'estero perseguibile in Italia

 

Maria Carolina Varchi abbraccia il ministro della famiglia Eugenia Roccella dopo la discussione e il voto, positivo, sulla legge maternità surrogata (foto Ansa)

Mercoledì la Camera ha detto sì alla proposta del centrodestra di rendere la maternità surrogata – già vietata per legge in Italia – un reato universale, cioè perseguibile nel nostro paese anche se fatta all’estero. Prima di diventare legge dovrà passare anche dal Senato, ma la compattezza della maggioranza sul tema (con in più l’appoggio di parte del Terzo Polo) fa pensare che entro l’anno il nostro paese sarà il primo al mondo ad avere una norma del genere.

La ministra Eugenia Roccella ha parlato di legge «all’avanguardia» e si è augurata che adesso possa aprirsi un «dibattito mondiale».

L’utero in affitto e i diritti di donne e bambini

Parlandone alla festa di Tempi a Caorle lo scorso giugno, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano aveva detto che «sta scomparendo l’identità della donna, ed è una tragedia», con la pratica dell’utero in affitto «siamo alla linea di confine, siamo consapevoli che questa è una battaglia che non può essere combattuta solo con una norma penale, ma è una modifica normativa che dà il segno di un cambio di passo».

Per capire questo cambio di passo l’ideale è leggere l’editoriale che Assuntina Morresi ha scritto ieri sulla prima pagina di Avvenire, spiegando in che senso l’Italia con questa legge può essere considerata «un’avanguardia nella promozione, a livello internazionale, dei diritti fondamentali di donne e bambini».

Leggere Assuntina Morresi aiuta a non cadere nella trappola di chi in nome dei “diritti” pensa che tutto ciò che è tecnicamente possibile e egoisticamente desiderabile debba essere lecito (è il caso di Elena Stancanelli che sulla Stampa definisce la proposta di legge approvata dal Senato una «intimidazione» e una «buffonata» e la butta in caciara parlando di divorzio e aborto) o di chi fa pelosi distinguo per dire che «l’utero in affitto è un concetto ben diverso dalla gestazione per altri» (è il caso di Vladimir Luxuria, guarda caso anche lei sulla Stampa).

Il materno sotto attacco e il “trucco” della surrogata

Nella battaglia politica e culturale portata avanti dal governo contro la maternità surrogata «in gioco infatti è, imprescindibilmente connessa, la concezione stessa del materno, cioè di quel rapporto unico che lega ogni donna al proprio figlio: rapporto che si forma durante l’esperienza della gestazione e del parto, eventi che segnano la differenza fra un uomo e una donna, caratterizzante la specie umana», scrive Morresi.

E di «battaglia per eliminare la maternità» aveva parlato proprio Eugenia Roccella in un’intervista a Tempi: «Lo vediamo anche in fenomeni come l’utero in affitto o le tecniche di riproduzione che consentono di definire “madre” tre, quattro, cinque persone diverse. Quindi, sì, è la potenza del materno che è sotto attacco. La società è stata costruita sull’individuo, letteralmente “ciò che non si può dividere”, mentre la donna, quando diventa madre, è colei che si divide, è l’uno che si fa due».

E la maternità surrogata è un attacco al materno, spiega ancora Morresi: «Certamente diventare madre non è riconducibile al solo dato biologico: si può vivere la dimensione della maternità anche al di fuori della generazione fisica di un figlio, ma è lo straordinario vissuto della gravidanza e del partorire a esserne il paradigma. Un paradigma che la surroga di maternità muta radicalmente».

Se l’utero in affitto consiste nella cessione di un neonato a seguito di un contratto appositamente stipulato fra più soggetti, il “trucco” della surrogata sta nella tempistica: «nella surroga una donna si impegna a cedere il figlio appena partorito a una coppia, etero od omosessuale, o a una singola persona, secondo modalità stabilite da un contratto stipulato prima del concepimento. Lo stesso contratto, se stipulato dopo il concepimento (o dopo la nascita), è sostanzialmente già reato universale», trattandosi di compravendita di un bambino.

Utero in affitto, cambio di paradigma del materno

Stiamo parlando di un mercato, non di diritti delle donne. Ancora Morresi: «È un cambio di paradigma del materno quindi, quello che porta la maternità surrogata, che in quanto tale non può che essere un mercato con le sue dinamiche e i suoi costi, regolato da una contrattualistica ad hoc, che coinvolge necessariamente i genitori committenti, chi cede i propri gameti, le donne che si prestano come gestanti, e poi cliniche, studi legali e agenzie specializzate. Le donne, in particolare, sono il “mezzo” necessario per ottenere il “prodotto finale”: bambini». Ridurre gravidanza e parto a una prestazione d’opera contrattualizzata significa violare la dignità e i diritti di chi ne è oggetto, «i nati, chi fornisce i propri gameti e le gestanti».

La questione va dunque oltre il dettaglio comunque non secondario del pagamento in denaro della prestazione – e qui casca l’asino Luxuria –: l’idea della “surrogata solidale” proposta in un emendamento dal radicale Magi (e bocciata) è un inganno dialettico. «Se per sanzionare lo sfruttamento degli esseri umani dovessimo dipendere dalla percezione personale o dalle dichiarazioni di volontà delle persone oggetto di trattamento degradante – scrive ancora Morresi su Avvenire –, verrebbe a cadere il fondamento stesso dei diritti umani. Se l’abuso di esseri umani non fosse oggettivamente riconoscibile, ma dipendesse dalle sensibilità individuali, sarebbe inevitabilmente regolato dalla legge del più forte (il mercato). Non a caso, non è consentito stipulare “liberi contratti di schiavitù”».

Una battaglia da fare anche sul piano culturale

Non basterà questa legge da sola, diceva ancora Mantovano a Caorle: la battaglia «va fatta sul piano culturale, descrivendo cosa è una pratica di utero in affitto, raccontando quante donne vedono il proprio corpo devastato, umiliato. Il Parlamento sta facendo la sua parte, attorno a questa proposta c’è un consenso più ampio della maggioranza, ma sappiamo che da sola non risolve. Sarà l’occasione per discussione mediatica, stiamo pronti. Non è una faccenda da preti, non c’entra la fede, c’entrano la donna, l’uomo, il dato antropologico. È una battaglia laica che va fatta coinvolgendo più energie possibili, cercando coesione, solo così si può partire alla riscossa per ricostruire i fondamentali di una sana antropologia. Se la perdiamo sarà tutto più complicato». Il sì della Camera è un ottimo inizio.

 

Redazione di Tempi

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