Di Pietro Piccinini
15 Ottobre 2024
TEMPI
La carica della
candidata civica sostenuta dal centrodestra in Emilia-Romagna: «Consiglio al
mio avversario De Pascale di votare per me se davvero vuole le riforme che
promette e che il suo partito al potere da 54 anni non ha mai fatto» . Elena Ugolini è nata a Rimini nel 1959 e vive da tempo a Bologna. È madre di quattro figli
|
Elena Ugolini |
Era inevitabile che la campagna
elettorale in Emilia-Romagna, dove il 17 e 18 novembre prossimi si voterà per
scegliere il successore di Stefano Bonaccini alla presidenza della Regione,
finisse per accendersi particolarmente intorno ai danni di un’alluvione capitata “in diretta” davanti agli occhi
di candidati ed elettori, e intorno alle responsabilità della mancata
realizzazione di adeguati interventi difensivi sul territorio. Fin da subito
ritardi e lacune nella ricostruzione dopo la (doppia) alluvione
del maggio 2023 e nelle opere di prevenzione sono stati un tema
centrale della competizione, ma adesso, dopo la terza inondazione subita dalla
Romagna in sedici mesi, l’argomento non poteva non monopolizzare la contesa.
Parte dunque da qui questa intervista
di Tempi a Elena Ugolini, una donna con un curriculum lungo
così, nota per aver guidato
il Malpighi di Bologna fino a renderlo un punto di riferimento
nazionale per le scuole paritarie e non solo quelle, collaboratrice di diversi
ministri dell’Istruzione di tutti i colori e sottosegretario al Miur nel
governo Monti, oggi soprattutto la candidata civica che ha ottenuto l’appoggio
del centrodestra nella sua sfida a uno storico fortino della sinistra, a quel
«sistema dirigista che dall’alto decide cosa è buono e cosa no» e che regna
incontrastato da oltre cinquant’anni, come
abbiamo scritto nel numero di settembre del mensile.
Che cosa rimprovera alla Regione
rispetto all’alluvione?
I miei rimproveri alla Regione si
fondano su quel che dicono gli alluvionati. La prima cosa che ho fatto quando
ho cominciato la campagna è stata andare nei territori colpiti, ho girato
moltissimi paesi e incontrato i comitati degli alluvionati. Già all’inizio di
settembre ho visto molta preoccupazione, la gente diceva: “Non possiamo passare
da una alluvione all’altra”. E più che i ristori, chiedevano la messa in
sicurezza del territorio. Mi facevano vedere che i fiumi erano ancora pieni di
tronchi, i canali non erano stati puliti, gli archi dei ponti ostruiti. La
gente era terrorizzata.
Poi sono arrivati questi rovesci
senza precedenti.
È venuta giù molta pioggia, sì, però
è durata 24 ore, non due o tre giorni come nel maggio 2023. La gente ha visto
di nuovo salire l’acqua e con l’acqua è salita anche la rabbia. Più che per
quanto non è stato fatto in questo anno e mezzo, per quanto non è stato fatto
in 54 anni di governo di sinistra della Regione. Regione che ha competenza
diretta sul dissesto idrogeologico e sul governo delle acque.
Che cosa non ha fatto la Regione?
Le famiglie e gli agricoltori
alluvionati per la seconda o terza volta nell’arco di due anni lamentano che
non sono stati costruiti gli invasi e le vasche di laminazione che servono per
mitigare gli eventi estremi. O vasche che oltre a difendere dagli allagamenti i
luoghi abitati conservino l’acqua e permettano di riutilizzarla in caso di
siccità. Ma per un piano serio di governo delle acque servono anche canali,
dighe. Invece sa che della famosa diga di Vetto si parla dagli anni Sessanta e
ancora non c’è? E poi non è mai stata garantita la pulizia dei fiumi, con letti
che si sono alzati in questi anni fino a un metro, il che comporta una drastica
riduzione della portata.
Colpa anche questo di chi ha
governato in questi decenni?
I contadini romagnoli raccontano che
una volta erano loro i primi a darsi da fare per allargare gli argini dei
fiumi, liberarne il corso da tronchi e rami, ripulirne i letti. Cose che non
sono più state fatte. Figurarsi: fino al maggio scorso gli agricoltori che
portavano via un tronco da un fiume o toccavano un argine venivano multati. Ma
gli agricoltori sono i primi custodi dell’ambiente, non i suoi nemici, come
pensano gli alleati del mio avversario Michele De Pascale. Io penso che
dobbiamo restituire loro la possibilità di continuare a fare quello che hanno
fatto per secoli.
Perché la Regione non ha fatto tutto
questo?
Perché aveva altre priorità, per
esempio coprire il buco della sanità. E poi perché obbedisce a un’ideologia ambientalista
fondamentalista che in nome della cura del territorio si oppone al governo del
territorio, nella convinzione che la natura si debba in qualche modo
autogovernare. Ma questo è contrario a ogni principio di buonsenso.
Proprio perché i cambiamenti climatici porteranno a una sempre maggiore
concentrazione delle piogge sul nostro territorio e al continuo passaggio da
siccità ad alluvione, noi dobbiamo, uno, costruire infrastrutture che ci
permettano di governare il corso dei fiumi e dei loro affluenti; due, dobbiamo
coinvolgere gli agricoltori nella cura del territorio; e tre, dobbiamo
combattere lo spopolamento delle aree interne, perché soprattutto sugli
Appennini e sui colli avere terreni incolti è come lasciar scivolare l’acqua
sul ghiaccio.
Già prima che sulla Romagna si
abbattesse la terza alluvione in 16 mesi, lei diceva che la Regione ha la grave
responsabilità di non aver speso i fondi disponibili per queste opere.
Ricordo solo che nel 2022 la nostra
Regione ha restituito 50 milioni di euro destinati proprio al contrasto del
dissesto idrogeologico, innanzitutto alla costruzione degli invasi. Adesso la
sinistra si appiglia a dettagli di tipo tecnico, ma la realtà è questa. La
realtà è che dei soldi assegnati per esempio al Comune di Ravenna (sindaco De
Pascale) per ripristinare i danni dell’alluvione del maggio 2023 è stato speso
solo il 5 per cento.
Ha senso la richiesta di De Pascale
che il prossimo commissario alla ricostruzione post alluvione sia il presidente
della Regione, chiunque vinca?
Per me il problema vero non è la
ricostruzione, ma la messa in sicurezza del territorio, che – al netto delle
azioni straordinarie necessarie per rispondere all’emergenza in corso – può
avvenire solo attraverso il lavoro ordinario della Regione. Dobbiamo recuperare
un giusto rapporto tra l’uomo e la natura. Nella coalizione guidata dal Pd di
De Pascale ci sono proprio le persone che per anni hanno impedito e ancora oggi
impediscono questo.
I segni dell’alluvione a Traversara,
frazione di Bagnacavallo (Ravenna),
20 settembre 2024 (foto Ansa)
Altra notizia recente è la
sorprendente sintonia tra Giorgia Meloni e il nuovo presidente di Confindustria
Emanuele Orsini sulla necessità
di frenare l’ambientalismo ideologico del Green Deal europeo. Orsini,
tra l’altro, è un emiliano e questo non è un dettaglio, perché in Europa il Pd
“padrone” dell’Emilia-Romagna sostiene proprio le misure che in nome della
tutela dell’ambiente minacciano di smantellare le industrie che rendono la
regione motore produttivo del paese. Basta pensare a settori come
l’agroalimentare, la meccanica, gli imballaggi…
La politica delle due facce è una
caratteristica fondamentale del Pd emiliano-romagnolo: qui parlano della
necessità di «accompagnare le aziende del nostro territorio a una transizione
ecologica che coniughi decarbonizzazione e competitività»; in Europa però
sostengono esattamente quei provvedimenti che rischiano di mettere in
ginocchio, per esempio, il packaging, visto che noi siamo campioni del riciclo
e a Bruxelles invece la famiglia socialista di Elly Schlein punta tutto sul
riuso. Sono contraddizioni forti che occorre portare alla luce, per questo
l’intervento di Orsini è importante.
Pochi però da quelle parti sembrano
disposti a parlarne apertamente.
In una regione governata sempre
dallo stesso sistema per 54 anni l’intreccio tra politica ed economia è
strettissimo, e si sa che qui, come diceva Orwell, tutti gli animali sono
uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. Sono affermazioni dure ma
condivise da tantissime persone, le assicuro: se pochi lo dicono a voce alta è
proprio per il clima che c’è.
Il mondo delle imprese non pare
entusiasta nemmeno dell’idea, questa del governo di Roma, di obbligare le
imprese ad assicurarsi contro le calamità.
Sarà sempre più importante tutelarsi
rispetto ai cambiamenti climatici. Così come è importante che ci sia libertà di
scelta e, con le incentivazioni giuste, le aziende potrebbero essere aiutate a
fare questo passo. Ciò detto, per tutti gli imprenditori che incontro, ma
proprio tutti, grandissimi, grandi, medi, piccoli e piccolissimi, la priorità è
sempre la stessa.
Quale?
Semplificazione burocratica.
Tutto il mondo è paese.
Per dare un’idea dell’inerzia della
sinistra emiliano-romagnola, dico solo che nel 2022 la Regione ha individuato
con le parti sociali 70 procedure amministrative da semplificare: in due anni
ne hanno eliminate tre. E dire che sarebbero tutti interventi a costo zero ma
in grado di favorire progetti e investimenti.
Tornando al clima che si respira, i
sondaggi danno in netto vantaggio De Pascale.
Ma secondo gli stessi sondaggi ben
il 50 per cento degli intervistati dice di essere indeciso. Il mio obiettivo è
puntare sugli incerti, oltre che sugli elettori che già condividono la
necessità di un’alternanza dopo più di mezzo secolo. E poi su quanti non sono
mai andati a votare o hanno smesso di farlo da anni. Io punto su un voto che non è di appartenenza, ma
di corrispondenza: voglio intercettare la domanda e i bisogni concreti delle
persone, cercando di far capire che ci può essere un’altra visione. È
proprio questo che dà fastidio a Bonaccini e al potentato economico che sta
dietro al Pd, l’idea che possa esserci un’altra visione. Hanno una presunzione,
un senso di superiorità che in questi anni ha impedito loro di ascoltare la
gente. Dall’associazione di volontariato che ho incontrato nei giorni scorsi e
che dà una casa ai senzatetto, all’imprenditore agricolo che governa mille
ettari, a quello che ne ha solo 10 e che ha un piccolo agriturismo, fino
all’elettricista, al farmacista, al medico primario, a chi gestisce residenze
per anziani: persone diversissime tra loro, ma tutte dicono che in Regione non
c’è ascolto. Il potere decide, poi può anche starti a sentire, ma solo per
confermare quello che ha già deciso. E io insisto: una visione diversa è
possibile. Mi sono divertita moltissimo quando ho incontrato nell’alto Parmense
i sindaci di Fornovo di Taro, Varano de’ Melegari e Bore, che con una lista
civica sono riusciti a mandare a casa il Pd che comandava da sempre. Dicevano:
“Guarda Elena che lo spazio c’è, perché la gente ti segue sulla concretezza di
un approccio che aiuta a vivere, a fare impresa, a tirar su famiglia, a curare
gli anziani”.
La sinistra e i giornali d’area
hanno iniziato da subito ad accusarla di non essere “davvero” una candidata
civica, ma di essere “sempre più vicina al centrodestra”.
È la loro tattica, sì. Io invece chiedo agli elettori di giudicare quello
che ho fatto nella vita, e che i miei avversari non hanno mai fatto perché loro
non hanno mai lavorato né hanno mai costruito nulla se non ciò che gli è stato
dato per appartenenza al partito. E poi chiedo di giudicare la proposta del progetto civico che è stato
condiviso da tutte le forze del centrodestra. Sono Meloni, Salvini e Tajani a
dirmi di andare avanti con il mio progetto, un programma ben preciso e un
cambiamento di metodo – al centro la persona con la sua capacità di iniziativa
– da cui domani, se vinceremo, dovremo derivare tutte le politiche della
Regione. Nei leader del centrodestra ho trovato molta più libertà e fiducia di
quelle che avrei potuto trovare nella compagine di centrosinistra, dove in
troppi sono già sicuri di vincere e hanno l’unico problema della poltrona da
prendersi.
Ecco, “la persona al centro” è un
po’ lo slogan dominante della sua campagna. Che cosa vuol dire concretamente,
per esempio nell’altro tema caldissimo della competizione, la sanità?
Vuol dire per prima cosa mettere al centro la persona che cura: i
medici e gli operatori del settore, che devono essere ascoltati, valorizzati
e messi nelle condizioni di lavorare senza doversi dimettere. Cito dallo sfogo
social divenuto virale di una donna «sfinita da due anni di ospedale», un
medico internista 32enne che si è dimessa dopo aver lavorato proprio
nell’ospedale di Ravenna, la città di cui De Pascale è sindaco: «Accuso un
sistema che svilisce il lavoro degli operatori sanitari, che ci tratta come
pedine intercambiabili sminuendo la nostra preparazione e i nostri studi
specialistici, indifferente alle lamentele e alle possibili inadeguatezze,
dannose per noi ma soprattutto per chi sta male». Ecco, in sanità vorrei
mettere al centro innanzitutto le persone che si prendono cura di noi e che
sono sfinite, perché sono trattate come esecutori di protocolli, a tutti i
livelli. E poi disegnerei un Servizio sanitario regionale in cui sia possibile
davvero la “presa in carico” dei malati. Questo è fondamentale perché con
l’invecchiamento della popolazione aumentano le persone con malattie croniche.
E chi dovrebbe “prendere in carico”
questi pazienti?
È compito innanzitutto della medicina territoriale,
quindi dei medici di medicina generale, che vanno valorizzati e
responsabilizzati. Ho in mente esempi che mi piacerebbe mettere a sistema.
Penso a uno studio associato di medici di Ferrara che segue 14 mila pazienti:
sono specialisti di varie discipline, dal cardiologo al geriatra, sono
contattabili dalle 8 di mattina alle 8 di sera, hanno personale amministrativo
che aiuta i pazienti anche a fare prenotazioni al Cup, hanno infermieri per le
piccole medicazioni e i prelievi, insomma possono veramente prendere in carico il paziente,
evitando che diventi un viandante che suona a tutti i campanelli per capire che
cosa fare. Perché è questo che accade oggi a tanti anziani, specie a
quanti non hanno una famiglia su cui contare.
De Pascale però insiste nel
rivendicare l’eccellenza della sanità emiliano-romagnola.
Se un malato oncologico che deve
fare verifiche tre volte l’anno è costretto ad andare a Occhiobello, in Veneto,
per avere la Tac in tempo, è evidente che la narrazione di una sanità perfetta
si scontra con la realtà. Questo sistema sanitario è stato costruito intorno a
una popolazione diversa dall’attuale, e va cambiato. Anche De Pascale adesso
dice che vuole cambiarlo, peccato che la Regione lo abbia modificato proprio
quest’anno senza tenere conto di tutto questo… Insomma, come ho già avuto modo
di dire, consiglio al mio avversario di votare per me se spera in una vera
riforma della sanità.
E cosa chiedono, invece, a una
cattolica come lei i cattolici della Regione che sbandiera i propri “strappi”
su pillola abortiva, suicidio
assistito, eccetera?
Penso che si rendano conto anche
loro della scarsa credibilità di De Pascale, che promette una politica “dalla
parte della famiglia”, quando qui una simile politica non è mai stata fatta.
Non solo: si progetta addirittura di distribuire la pillola abortiva in modo
anonimo alle minorenni. Penso
che per una persona che crede nel valore della vita sia un problema avere a
capo della sanità della Regione le forze che hanno preferito realizzare
politiche che inducono a certe scelte anziché preoccuparsi di garantire la
diffusione delle cure palliative e assistenza domiciliare agli anziani con
qualità e continuità. A me sembra evidente che c’è un problema di
coerenza, come per il Green Deal.
https://www.tempi.it/elena-ugolini-la-mia-sfida-al-cuore-del-sistema-pd/
AUGURI ELENA ANCHE DA NOI DEL CROCEVIA