giovedì 31 ottobre 2024

HALLOWEEN 2024/ DALLE PREGHIERE DEI BIMBI ALLE ZUCCHE VUOTE, COSÌ SI “CAPOVOLGE” IL MONDO

 Stasera i più piccoli, col beneplacito degli adulti, festeggeranno Halloween, una messinscena pagana che ormai rivaleggia col Natale

Halloween 2024. “Un giorno dopo l’altro/ il tempo se ne va” cantava Luigi Tenco. Si comincia sempre così, con poco. Un particolare da nulla, una virgola nascosta, una quisquiglia appena, come direbbe Totò, che prendeva dritto dritto da Dante.

È così che si capovolge il mondo, un giorno dopo l’altro, mica con le rivoluzioni armate che spaventano i più e son passate di moda.

All’inizio era “la notte dei Santi”, come dice il significato della parola scozzese da cui deriva Halloween. Roba di mille anni fa: i bambini bussavano alle povere case chiedendo un biscotto o una caramella in cambio di preghiere per i loro defunti. Preci di bimbi quando ancora s’accontentavano di poco, un modo innocente per esorcizzare la morte

Col tempo i dolcetti sono rimasti, ma le preghiere sono state sostituite dagli “scherzetti” perché senza la speranza nell’Aldilà la morte fa ancora più paura. Al punto che se ne parla solo in chiesa, quando se ne parla, o sui giornali, ma lì è tutt’altra cosa. Spettacolo da regalare in pasto a un’opinione pubblica assuefatta a tutto, carneficine da cronaca nera o di guerra comprese.

Così il 31 ottobre un vecchio cimitero, seppure abbandonato, diventa lo sfondo per messe in scena dove pullulano fantasmi e zucche vuote (succede a Viggiù, provincia di Varese) e perfino gli oratori di mezza Italia ospitano festicciole a base di mascherate horror coi parroci, ahimè, che si voltano dall’altra parte.

La diocesi di Milano propone, con intelligente alternativa, un pellegrinaggio serale sulle orme del beato Carlo Acutis e c’è chi sceglie una via di mezzo come la notte in maschera, ma vestiti da santi. Come dire che la confusione regna sovrana e allora si salvi chi può.

Demonizzare Halloween non serve a convincere gli indecisi, figuriamoci gli altri che paiono essere la maggioranza.

Svuotare di significato le ricorrenze cristiane è, del resto, un esercizio che arriva da lontano (scomodiamo pure la Rivoluzione francese oppure quella russa): basti pensare a Natale che è diventata la festa dei regali o Pasqua che è solo la data di inizio del primo step di vacanze che culmineranno a Ferragosto (mica all’Assunta). Non parliamo del resto. Qui si svuotano Ognissanti e defunti come si fa con le zucche, si mettono le candele e si butta via la polpa, cioè la parte migliore.

A rimetterci sono anzitutto i più piccoli, facili ad arrendersi a proposte che vedono con occhi innocenti. Ma gli adulti? “Forse è vero che per i bambini è una serata per ironizzare e affrontare le proprie paure, però noi adulti che coscienza ne abbiamo? – mi dice un’amica che non ci sta a questa carnevalata fuori stagione -. Non riesco a vietare a mio figlio, dieci anni, la festicciola con i suoi amici: ci vanno tutti. Però ha chiaro che si tratta di una festa pagana e che noi in famiglia ricordiamo i Santi e i morti. Ho detto la mia sul gruppetto Whatsapp di Halloween (sì, c’è anche questo!) e nessuno mi ha risposto. Non che la cosa mi turbi, però rimango stranita dalle energie, le spese, l’organizzazione che ha preso i genitori e che non mettono neanche a Natale. Eppure è lì che l’uomo è salvo per sempre. Oltre la morte”.

Intanto, un giorno dopo l’altro, la vita se ne va e quando arriva l’ultimo, quello decisivo, non sappiamo cosa fare (i palloncini colorati liberati in cielo dopo un funerale, la canzone rocchettara preferita dal defunto, la sciarpa della sua squadra di calcio a coprire il crocifisso sulla bara: avete presente?).

Perché palloncini, canzoncine e sciarpe non bastano a dare senso alla morte.

E nemmeno le zucche, naturalmente, specie se vuote.

Riccardo Prando

 Pubblicato 31 Ottobre 2024Ilsussidiario

 

LUGARESI SECONDA LEZIONE - IL GIUDIZIO NELLA MISSIONE DI PAOLO AI PAGANI


Ecco il video del secondo incontro del ciclo su “La missione della Chiesa negli Atti degli apostoli”, in cui ho parlato, un po' troppo a lungo e un po' troppo in fretta, del cristianesimo dialogico-critico esemplificato da Paolo nella sua missione ai pagani. Quel cristianesimo della krisis e della chrêsis 




A breve dovrebbe essere disponibile anche il testo scritto, che è molto più ampio. (Quello della prima lezione si può trovare sul sito dell'Associazione Italiana Centri Culturali, qui: https://centriculturali.org/ciclo-di-incontri-la-missione-della-chiesa-negli-atti-degli-apostoli/

mercoledì 30 ottobre 2024

HARRIS : PUNTARE TUTTO SU “TRUMP FASCISTA” E “FORZA ABORTO” NON FUNZIONA

 Cercando solo la demonizzazione dell’avversario la vice di Biden ha disperso tutto il vantaggio registrato nei mesi scorsi nelle intenzioni di voto. Un errore già visto molte volte. «I democratici non hanno imparato proprio niente?»

 

La candidata del Partito democratico alla presidenza degli Stati Uniti Kamala Harris durante un comizio elettorale a Philadelphia, Pennsylvania, 27 ottobre 2024 (foto Ansa)

 C’è un motivo se anche i più ascoltati aruspici dei sondaggi elettorali dicono che stavolta le probabilità di vittoria tra i due candidati alla Casa Bianca stanno veramente a 50 e 50, e che non si può scommettere su Donald Trump o Kamala Harris senza rischiare di ritrovarsi il 5 novembre nettamente smentiti dal risultato delle elezioni.

Insomma, il quadro negli Stati Uniti è parecchio diverso rispetto a quello dipinto dalla stampa quest’estate, quando il vento sembrava avere cambiato direzione e gonfiare decisamente le vele della vice subentrata allo sfinito Joe Biden nella corsa alla presidenza. Esauritosi l’entusiasmo per l’ingresso in campo di Kamala Harris, è rimasto quello che tutti conoscevano già, ovvero un’opinione tutt’altro che positiva di lei e del suo operato politico, opinione condivisa anche e innanzitutto dai sostenitori del Partito democratico. E non sembra che la strategia di paragonare l’avversario a Hitler e di dargli apertamente del «fascista», come ha fatto la Harris la settimana scorsa nel town hall in Pennsylvania con la Cnn, stia funzionando.

«Insalate di parole» e accuse a Trump

Nei vari comizi e nelle interviste nei salotti tv tendenzialmente “friendly”, la vice di Biden sembra davvero non avere molto altro da proporre agli elettori oltre al ritornello “Trump è un fascista e per vostra fortuna io non sono lui”. Eppure le intenzioni di voto non si schiodano dal sostanziale pareggio e semmai è “Adolf Trump” adesso a risalire nei sondaggi, perfino tra neri e ispanici,  come confermano le rilevazioni più recenti. Il fatto è che Kamala Harris era agli occhi di tutti, e agli occhi dei suoi potenziali elettori innanzitutto, la peggiore candidata possibile per i democratici dopo Biden (ricordate che cosa si diceva di lei soltanto a febbraio?). È dura nasconderselo per tre mesi e passa.

In tutto questo tempo sarebbe stato utile entrare nel merito, abbozzare un programma, dettagliare che cosa è stato sbagliato in questi quattro anni di governo e che cosa di diverso intenda fare una volta eletta presidente, invece niente. Kamala Harris ha scelto di concentrare la sua campagna quasi esclusivamente sul “pericolo Trump”. Emblematica da questo punto di vista proprio la pubblica intervista di mercoledì scorso con la Cnn, dove anche secondo diversi autorevoli osservatori e consiglieri democrat la vicepresidente è stata «troppo evasiva» nelle risposte a domande puntuali sul suo programma, diluendo questioni ben precise in abbondanti «insalate di parole» (così il leggendario David Axelrod), sperando che bastasse insistere sul presunto fascismo di Trump per convincere gli indecisi.

Le critiche del New York Times e dei sostenitori

Perfino il più pro Harris tra i giornali mainstream, il New York Timesha espresso questa impressione, criticando la Harris per aver perso la migliore occasione di “vendersi” davanti a oltre 3 milioni di spettatori e perché a pochi giorni dall’election day «si trova ancora a lottare tra la necessità di definire se stessa agli elettori che non hanno avuto il beneficio di una lunga stagione elettorale e il desiderio di concentrarsi sul suo avversario» e sul «pericolo che lui rappresenta per la democrazia».

Ed è sempre il New York Times a riportare i messaggi di allarme diramati via email da Future Forward, il principale super Pac a sostegno di Harris. I super Pac sono comitati che raccolgono fondi per sostenere indirettamente le campagne dei candidati e Future Forward aiuta Kamala Harris anche valutando con precisi indicatori l’efficacia della sua comunicazione agli elettori. «Attaccare il fascismo di Trump non è persuasivo», si legge «in neretto» in una di queste email. E ancora: «Gli attacchi puramente negativi alla persona di Trump sono meno efficaci dei messaggi contrapposti che comprendono in positivo dettagli sui programmi con cui Kamala Harris intende affrontare le quotidiane necessità degli americani».

Un déjà-vu del 2016

Come spesso capita, a trovare le parole migliori per dirlo è Andrew Sullivan, giornalista di orientamento conservatore ma profondamente antitrumpiano che nelle scorse settimane ha dichiarato il proprio voto per la Harris, pur pensandone il peggio possibile. Puntare tutto sulla paura di Trump, ha scritto Sullivan venerdì nel suo The Weekly Dish, «non basterà per vincere».

Donal Trump serve patatine  al Drive-thru
nella contea di Buck in Pennsylvania
«Lo abbiamo visto nel 2016. Ricordate il referendum sulla Brexit, dove il “Progetto Paura” è stato il principale argomento utilizzato da quanti volevano che il Regno Unito restasse nell’Ue? Fu un
fallimento. Le tattiche allarmistiche della Clinton hanno prodotto risultati altrettanto scarsi prima ancora che Trump avesse trascorso un minuto in carica. E oggi, dopo che Trump è già stato presidente per quattro anni e il suo consenso è ai massimi storici, rieccoci al “Trump è Hitler”. […] Intanto “Hitler” serve panini da McDonald’s come un simpatico nonno in grembiule e guadagna sostegno come mai prima d’ora da… giovani neri e latinos». 

Non basta dire «almeno non sono Hitler»

(....)

Aborto unico principio «non negoziabile»

 Infine l’aborto. O meglio “i diritti riproduttivi”. Ecco in effetti un tema su cui Kamala Harris è riuscita a esprimersi con chiarezza e senza tanto cincischiare intorno alle parole. È successo di nuovo proprio la settimana scorsa quando, rispondendo alla giornalista che le ha chiesto se sia disposta da presidente a cercare compromessi in materia di aborto (pardon: diritti riproduttivi), per esempio riconoscendo ai medici il diritto all’obiezione di coscienza, la Harris ha detto di no, perché «non dovremmo fare concessioni quando si tratta della libertà fondamentale di prendere decisioni sul proprio corpo».

E così ha commentato la decisione della Corte suprema di ribaltare la sentenza Roe v. Wade che nel 1973 riconobbe il diritto costituzionale all’aborto: «Alle donne americane è stata portata via una libertà basilare, la libertà di decidere del proprio corpo, e questo non è negoziabile: dobbiamo ripristinare le tutele della Roe v. Wade, questo è quanto». L’aborto come unico principio «non negoziabile». Decisamente i democratici non hanno imparato niente.


Di Pietro Piccinini

30 Ottobre 2024 TEMPI

martedì 29 ottobre 2024

IL CENTRODESTRA HA FATTO L'IMPRESA: LA LIGURIA RIMANE A DESTRA

 Il giustizialismo  e alcuni magistrati non bastano  all’ammucchiata progressista per vincere le elezioni. Ma entrambi gli schieramenti hanno dei problemi.

Risultati elezioni Liguria 2024: al termine di uno spoglio al cardiopalmo, Marco Bucci vince con il 48,77%, battendo Orlando che si ferma al 47,36%

Il neo governatore Marco Bucci

Nella sorpresa generale, dopo un pomeriggio di battaglia all’ultima scheda, il centrodestra si è ripreso la Liguria. I sondaggi anche degli ultimi giorni lasciavano poche incertezze, ma in senso opposto: il centrosinistra sembrava avere la vittoria già in tasca. Evidentemente qualcosa è cambiato a ridosso del voto. E il patatrac è tutto interno alla sinistra: qui agli errori della prima ora – come la scelta di un candidato amato dagli apparati di partito ma non dagli elettori – si sono sommati gli autogol della vigilia, tipo l’espulsione di Beppe Grillo dal M5s decretata mentre si chiudeva la campagna elettorale. Il fondatore del Movimento, genovese, non è andato a votare e così avranno fatto molti suoi seguaci. Sono assenze pesantissime, soprattutto quando la sconfitta dell’ex ministro Andrea Orlando è quantificabile in meno di 10mila voti di scarto. Assenze che sono andate a ingrossare le file dell’astensionismo (46% la quota di votanti), che in questo appuntamento elettorale ha colpito entrambi gli schieramenti.

Aver vinto in Liguria, sia pur per pochi voti e con pochi votanti (meno del 50%), è stata per il centrodestra un’impresa rilevante che peserà sul quadro politico nazionale, perché ha dimostrato che la coalizione che governa l’Italia è in grado di sviluppare un’iniziativa politica articolata, mentre il centrosinistra quando ha compattato la sua matrice ex comunista come con Andrea Orlando Claudio Burlando, ha perso la capacità di attrarre sia una fetta di elettori moderati sia di quelli radicali.

In questo senso c’è un altro dato politico rilevante da sottolineare: il voto ligure è anche espressione di un solido rifiuto di un ampio arco dell’elettorato della pretesa della magistratura militante di scegliersi i presidenti di Regione, di fare la politica estera italiana, di decidere come si difendono i confini e di proteggere un articolato sistema di dossieraggio.

Ora a destra il vento della vittoria spazzerà via le magagne, ma è il caso che nel centrodestra si faccia un’approfondita analisi interna. La coalizione ha tenuto, tuttavia la vittoria è dovuta in gran parte ai passi falsi degli avversari. Con Toti bastonato dalla magistratura, il centrodestra ha impostato una campagna elettorale sulla difensiva. Di sicuro, a differenza del Pd, ha scelto il candidato giusto, un simbolo di buona amministrazione che gode di apprezzamento trasversale e non è divisivo come il suo avversario, uomo dell’apparato ma non del popolo. La Meloni è corsa a esultare sui social: “Il centrodestra unito ha saputo rispondere alle aspettative dei cittadini, che confermano la loro fiducia nelle nostre politiche e nella concretezza dei nostri progetti”. Ma il dato che deve più preoccupare la premier è proprio quello di Fratelli d’Italia, che alle europee avevano preso il 26,8%, e ieri il 15%. Ciò dimostra che una grossa fetta del consenso al partito su scala nazionale è in realtà un voto d’opinione per la Meloni che non si riflette localmente.

E a sinistra? Non è la manciata di voti che ha dato la Liguria a Bucci a far male, neppure il crollo dei 5 Stelle o la sparizione degli elettori moderati che Andrea Orlando non ha attratto. Non sono queste le cose che fanno male. Fa male che, di fronte a un’elezione arrivata per gli arresti e le dimissioni di Toti, di fronte ad un governo di centrodestra fiaccato da dimissioni e scandali, di fronte ad uno scenario nazionale deteriorato in materia economica, di fronte a tutto questo, gran parte dei potenziali elettori dello pseudo “campo largo” siano rimasti a casa.

Orlando, Schlein, Conte, Fratoianni

Il che fa capire come sia complessa la strada che porta la governo. Se le europee avevano dato alla Schlein le chiavi del Partito democratico, aperta la porta si ritrova tra i soli compagni che si danno di gomito e si esaltano, ma alla fine quelli sono. E paiono replicare la strada dell’amato Berlinguer: una forza destinata strutturalmente all’opposizione senza avere alcuna possibilità di governo. Avere degli alleati simili, e che si appiattiscono, non amplia la base elettorale e mostra un limite enorme sulla capacità di proporre soluzione ai problemi. Dall’immigrazione alla precarietà, dalla sanità pubblica alla crisi industriale, quelle forze non hanno, almeno per gli elettori liguri, la capacità di dire qualcosa che li faccia smuovere.

Eppure, va ridetto, mai un’elezione era così pesantemente condizionata dagli elementi esterni. Le inchieste sul sistema Genova, con Toti che si dimette, avevano spalancato la porta ad Andrea Orlando che ha, semplicemente, fallito un rigore a porta vuota.

Servirà anche qui una riflessione per superare questa fase. Da tempo Prodi suggerisce di aprire le braccia ed accogliere i moderati. Predica un nuovo Ulivo con una forte gamba centrista e mette in guardia dalla radicalizzazione delle posizioni che danno tante soddisfazioni al Pd, che si guarda allo specchio pavoneggiandosi, ma poi resta a mani vuote. Un po’ com’erano i Ds di D’Alema. Primi nella coalizione, ma incapaci di guidarla alla vittoria elettorale.

Serve, e servirà, anche capire cosa farà Conte. La sua strada è irta e perigliosa. Fatta di insidie e di una guerra appena cominciata con il fondatore Grillo. Inoltre, i temi classici che lo hanno portato in auge, dal superbonus al reddito di cittadinanza, sono ormai roba vecchia che tutti hanno scordato. E non basta ricordare i bei tempi andati. Al massimo qualche nostalgico ti vota, ma diventi del tutto influente fino a sparire.

 

 

 

sabato 26 ottobre 2024

DEVI DIRMI DOV'E'


Oggi 26 ottobre 2024  a Cesena nel Tempio Maggiore della Diocesi 
al termine della Santa Messa officiata
 dal Vescovo Mons. Douglas Regattierr per le esequie  di

ROMANO COLOZZI

il popolo ha cantato la "Canzone del Melograno"
di Claudio Chieffo




Testo
In una piccola casa nel cuore della città
C'è un giardino nascosto che nessuno si può immaginare
Nel giardino c'è un melograno coi rami in fiore
E tra i sassi del muro nascono le viole
Devi dirmi dov'è questa casa dei fiori
È da sempre che cerco la casa dove posso tornare
Devi dirmi dov'è, perché voglio venire anch'io
Non lasciarmi da solo
Bussa pure alla porta, mia madre ti aprirà
Lei è ancora più bella di quello che puoi immaginare
Nella casa del melograno c'è sempre il sole
E la brezza di sera ti fa sentire il mare
Devi dirmi dov'è la tua casa dei fiori
È da sempre che cerco la casa dove posso tornare
Devi dirmi dov'è, perché voglio venire anch'io
Fammi stare con te
Segui il raggio di luce e la luce ti porterà
Dove il dubbio torna domanda e rinasce il cuore
Nel giardino c'è Dio che ti aspetta e ti vuole parlare
Puoi sederti vicino, vicino ad ascoltare


giovedì 24 ottobre 2024

IN MORTE DI UN AMICO

 

24 OTTOBRE 2024 GIOVEDI’

 leonardolugaresi 

ROMANO COLOZZI

Una volta, quando ci si andava a confessare, il sacerdote prima di pronunciare la formula dell’assoluzione diceva queste parole: «Passio Domini nostri Jesu Christi, merita beatæ Mariæ Virginis, et omnium Sanctorum, quidquid boni feceris, et mali sustinueris, sint tibi in remissionem peccatorum, augmentum gratiæ, et præmium vitæ æternæ». La passione di nostro Signore Gesù Cristo, i meriti della beata Maria Vergine e di tutti i Santi, tutto quel che di buono avrai fatto e il male che avrai sopportato ti valgano per la remissione dei peccati, l’aumento della grazia e il premio della vita eterna.

Romano Colozzi, che è morto poche ore fa, di cose buone e importanti ne ha fatte molte nel corso della sua vita attiva, spesa bene come uomo politico e amministratore della cosa pubblica per il “bene comune”, come si usa dire con una formula che di solito è vuota ma in questo caso no, perché si è concretizzata nella partecipazione al più importante tentativo di applicare la dottrina sociale della chiesa alla politica italiana mai realizzato nella storia del nostro paese. (Sì, mi riferisco al governo della regione Lombardia dalla metà degli anni novanta fino ai primi anni dieci).

Ma il quidquid boni di ciascuno di noi, quando c’è, è sempre inevitabilmente pieno di imperfezioni (se non altro dell’amor proprio che inevitabilmente ci mettiamo): Dio lo accetta, lo gradisce, ma c’è qualcosa di più grande, di più puro e di più gradito che possiamo dargli, ed è la fede speranza e carità con cui possiamo vivere le sofferenze che dobbiamo sopportare.

Romano, come dicevo, ha fatto cose grandi e buone nella sua vita attiva, ma assai più grande è stata – per quel che di lontano e senza mai parlarne con lui ho potuto intravedere – quella che mi pare giusto chiamare la sua “vita contemplativa”: i lunghi anni di sofferenze fisiche silenziosamente portati in un modo che, sia pur da me solo spiato quasi di nascosto, mi hanno riempito di ammirazione e ora mi pervadono di una confusione dolorosa e al tempo stesso lieta e grata, alla notizia della sua morte.

Ma anche questo sentimento servirebbe a poco, se la sua testimonianza non fosse, come invece è, martirio, cioè prova della verità del fatto di Cristo.

Grazie, Romano.

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Caro Romano, Maria "sicurezza della nostra speranza" ti accompagni all'abbraccio con il Risorto nel suo Regno.

Gli amici del Crocevia

mercoledì 23 ottobre 2024

MA QUALE TROPPA PIOGGIA: LA RESPONSABILITÀ DELL’ALLUVIONE IN EMILIA-ROMAGNA È POLITICA

 Ambientalismo miope, vincolistica stringente, incompetenze, tagli di spesa e manutenzione insufficiente. Tutti gli errori della Regione dietro al disastro di questi giorni. Parla il geologo Claudio Miccoli

Gli allagamenti provocati dalla falla del torrente Crostolo a Santa Vittoria di Gualtieri in provincia di Reggio Emilia (foto Ansa)

Sono migliaia gli sfollati per l’alluvione che ha colpito nel fine settimana l’Emilia-Rom
agna, causando anche una vittima. Milioni di euro di danni, centinaia di interventi dei vigili del fuoco per salvare persone in difficoltà, numerosi blackout e la richiesta da parte della Regione di un nuovo stato di emergenza: la pioggia caduta nelle scorse ore ha colpito terreni già saturi. A settembre la Romagna era già stata colpita da un’alluvione, con quattro fiumi esondati, diversi Comuni allagati e circa mille persone sfollate. Molti hanno richiamato alla memoria la tragica alluvione di maggio 2023, che provocò nella regione allagamenti, straripamenti e frane facendo 17 vittime e 10 miliardi di euro di danni.

Come è possibile che – dopo l’esperienza così recente, i fondi stanziati dal governo e le promesse che mai più si sarebbe ripetuta una cosa simile, siamo da capo? Tempi lo ha chiesto a Claudio Miccoli, geologo ed ex dirigente del Genio civile e della Regione, responsabile per decenni di tanti lavori in mare e per la sicurezza idraulica dei fiumi.

«Le situazioni sono diverse, intanto perché un territorio e delle infrastrutture che hanno subìto quello che hanno subìto lo scorso anno sono oggettivamente più fragili, anche là dove avevano resistito: tutto il sistema è stressato. Probabilmente, però, non tutti gli interventi necessari a far sì che non si ripetesse una situazione analoga sono avvenuti come dovevano avvenire. Di sicuro non è stata tenuta un’attenzione alta in tutte le aree che erano state segnalate – sia nel piano di assetto idraulico che nel piano regolatore generale delle acque – come aree critiche. Traversara, ad esempio, era una di quelle. Ma a monte di tutto questo c’è il fatto che il paradigma di difesa del suolo della Regione Emilia-Romagna, non è oggettivamente più valido, non è attuale, perché impostato su quanto osservato e studiato trenta-quarant’anni fa» 

Nel frattempo sono cambiati il clima e la distribuzione delle piogge

Sì, e si fa anche meno manutenzione di un tempo, anche a causa di vincoli ambientali sempre più stringenti, e questo ha una ricaduta negativa sulla sicurezza idraulica. Poi si sono dimenticati che le piene si formano in montagna, e la montagna è stata abbandonata. Tutti i lavori di manutenzione che facevano gli agricoltori una volta quando la montagna era vissuta non ci sono più. Quelle micro-manutenzioni fatte da tante persone alla fine formavano un ottimo sistema di manutenzione, tanto che negli anni Sessanta venne fatta dallo Stato una grandissima operazione di bonifica con le comunità montane, con la realizzazione di migliaia di piccoli sbarramenti e invasi per trattenere le acque. Questa volta il 4 per cento delle frane è stato nelle zone argillose, che nell’immaginario collettivo sono le zone più a rischio, mentre il 96 per cento dove c’è la marnosa arenacea, cioè rocce che uno pensa possano “tenere botta”. Sarebbe così, ma tutto il cotico erboso che si è formato sopra queste rocce è partito perché non c’è più un governo delle acque, che infatti sono arrivate in pianura a una velocità incredibile. Il tema allora non è solo quanto piove, ma quanto il territorio non reagisce più alle piogge. 

La presidente ad interim dell’Emilia-Romagna, Irene Priolo, ha chiesto lo stato d’emergenza dicendo che non si sarebbe potuto fare nulla per evitare i danni.

Non è vero: se mettiamo insieme tutto quello che ho detto prima crolla l’assioma che ha portato avanti la Regione fin dal primo momento, cioè che avrebbe piovuto talmente tanto che era impossibile gestirla. Ha piovuto tantissimo, nessuno lo nega, ma quando c’è un disastro c’è sempre una causa e ci sono delle concause, in questo caso tutte di origine umana, eliminate le quali si eviterebbe il problema, o almeno se ne minimizzerebbero gli effetti. L’area di Traversara, dove il fiume Lamone ha rotto l’argine già due volte nelle ultime settimane, è un esempio di quello che voglio dire: era considerata a rischio e non l’hanno difesa, è saltato una volta, poi è tracimato una seconda volta e domenica s’infiltrava ancora.

Il fiume Lamone ha tracimato dal cantiere di ricostruzione dell’argine allagando la zona rossa di Traversara (foto Ansa)

 nche in Emilia-Romagna si dà la colpa ai cambiamenti climatici, che ci sono ma vengono spesso usati come una foglia di fico per coprire colpe più gravi e problemi con soluzioni più immediate che non aspettare un abbassamento delle temperature medie globali a colpi di tagli delle emissioni.

L’inondazione di Traversara non è da attribuire ai cambiamenti climatici, ma al fatto che hanno lavorato male. Nel momento in cui le amministrazioni locali, la Provincia, i Comuni, la Regione vincolano a bosco tutti i fiumi, li inseriscono all’interno dei Siti di Importanza Comunitaria e delle Zone di Protezione Speciale, non si possono più a tagliare gli alberi. E uno potrebbe dire “che bello il fiume nel bosco”, peccato che il fiume non sia stato “costruito” per fare da bosco, ma per portare le acque in sicurezza da monte a valle. Se li si fa boscare la corrente si rallenta, la quota dell’acqua si alza e iniziano i problemi. 

Di Piero Vietti

TEMPI

22 Ottobre 2024

 

domenica 20 ottobre 2024

ELENA UGOLINI: «LA MIA SFIDA AL CUORE DEL SISTEMA PD»

 Di Pietro Piccinini

15 Ottobre 2024 TEMPI

La carica della candidata civica sostenuta dal centrodestra in Emilia-Romagna: «Consiglio al mio avversario De Pascale di votare per me se davvero vuole le riforme che promette e che il suo partito al potere da 54 anni non ha mai fatto» . Elena Ugolini è nata a Rimini nel 1959 e vive da tempo a Bologna. È madre di quattro figli


Elena Ugolini 

Era inevitabile che la campagna elettorale in Emilia-Romagna, dove il 17 e 18 novembre prossimi si voterà per scegliere il successore di Stefano Bonaccini alla presidenza della Regione, finisse per accendersi particolarmente intorno ai danni di un’alluvione capitata “in diretta” davanti agli occhi di candidati ed elettori, e intorno alle responsabilità della mancata realizzazione di adeguati interventi difensivi sul territorio. Fin da subito ritardi e lacune nella ricostruzione dopo la (doppia) alluvione del maggio 2023 e nelle opere di prevenzione sono stati un tema centrale della competizione, ma adesso, dopo la terza inondazione subita dalla Romagna in sedici mesi, l’argomento non poteva non monopolizzare la contesa.

Parte dunque da qui questa intervista di Tempi a Elena Ugolini, una donna con un curriculum lungo così, nota per aver guidato il Malpighi di Bologna fino a renderlo un punto di riferimento nazionale per le scuole paritarie e non solo quelle, collaboratrice di diversi ministri dell’Istruzione di tutti i colori e sottosegretario al Miur nel governo Monti, oggi soprattutto la candidata civica che ha ottenuto l’appoggio del centrodestra nella sua sfida a uno storico fortino della sinistra, a quel «sistema dirigista che dall’alto decide cosa è buono e cosa no» e che regna incontrastato da oltre cinquant’anni, come abbiamo scritto nel numero di settembre del mensile.

Che cosa rimprovera alla Regione rispetto all’alluvione?

I miei rimproveri alla Regione si fondano su quel che dicono gli alluvionati. La prima cosa che ho fatto quando ho cominciato la campagna è stata andare nei territori colpiti, ho girato moltissimi paesi e incontrato i comitati degli alluvionati. Già all’inizio di settembre ho visto molta preoccupazione, la gente diceva: “Non possiamo passare da una alluvione all’altra”. E più che i ristori, chiedevano la messa in sicurezza del territorio. Mi facevano vedere che i fiumi erano ancora pieni di tronchi, i canali non erano stati puliti, gli archi dei ponti ostruiti. La gente era terrorizzata.

Poi sono arrivati questi rovesci senza precedenti.

È venuta giù molta pioggia, sì, però è durata 24 ore, non due o tre giorni come nel maggio 2023. La gente ha visto di nuovo salire l’acqua e con l’acqua è salita anche la rabbia. Più che per quanto non è stato fatto in questo anno e mezzo, per quanto non è stato fatto in 54 anni di governo di sinistra della Regione. Regione che ha competenza diretta sul dissesto idrogeologico e sul governo delle acque.

Che cosa non ha fatto la Regione?

Le famiglie e gli agricoltori alluvionati per la seconda o terza volta nell’arco di due anni lamentano che non sono stati costruiti gli invasi e le vasche di laminazione che servono per mitigare gli eventi estremi. O vasche che oltre a difendere dagli allagamenti i luoghi abitati conservino l’acqua e permettano di riutilizzarla in caso di siccità. Ma per un piano serio di governo delle acque servono anche canali, dighe. Invece sa che della famosa diga di Vetto si parla dagli anni Sessanta e ancora non c’è? E poi non è mai stata garantita la pulizia dei fiumi, con letti che si sono alzati in questi anni fino a un metro, il che comporta una drastica riduzione della portata.

Colpa anche questo di chi ha governato in questi decenni?

I contadini romagnoli raccontano che una volta erano loro i primi a darsi da fare per allargare gli argini dei fiumi, liberarne il corso da tronchi e rami, ripulirne i letti. Cose che non sono più state fatte. Figurarsi: fino al maggio scorso gli agricoltori che portavano via un tronco da un fiume o toccavano un argine venivano multati. Ma gli agricoltori sono i primi custodi dell’ambiente, non i suoi nemici, come pensano gli alleati del mio avversario Michele De Pascale. Io penso che dobbiamo restituire loro la possibilità di continuare a fare quello che hanno fatto per secoli.

Perché la Regione non ha fatto tutto questo?

Perché aveva altre priorità, per esempio coprire il buco della sanità. E poi perché obbedisce a un’ideologia ambientalista fondamentalista che in nome della cura del territorio si oppone al governo del territorio, nella convinzione che la natura si debba in qualche modo autogovernare. Ma questo è contrario a ogni principio di buonsenso. Proprio perché i cambiamenti climatici porteranno a una sempre maggiore concentrazione delle piogge sul nostro territorio e al continuo passaggio da siccità ad alluvione, noi dobbiamo, uno, costruire infrastrutture che ci permettano di governare il corso dei fiumi e dei loro affluenti; due, dobbiamo coinvolgere gli agricoltori nella cura del territorio; e tre, dobbiamo combattere lo spopolamento delle aree interne, perché soprattutto sugli Appennini e sui colli avere terreni incolti è come lasciar scivolare l’acqua sul ghiaccio.

Già prima che sulla Romagna si abbattesse la terza alluvione in 16 mesi, lei diceva che la Regione ha la grave responsabilità di non aver speso i fondi disponibili per queste opere.

Ricordo solo che nel 2022 la nostra Regione ha restituito 50 milioni di euro destinati proprio al contrasto del dissesto idrogeologico, innanzitutto alla costruzione degli invasi. Adesso la sinistra si appiglia a dettagli di tipo tecnico, ma la realtà è questa. La realtà è che dei soldi assegnati per esempio al Comune di Ravenna (sindaco De Pascale) per ripristinare i danni dell’alluvione del maggio 2023 è stato speso solo il 5 per cento.

Ha senso la richiesta di De Pascale che il prossimo commissario alla ricostruzione post alluvione sia il presidente della Regione, chiunque vinca?

Per me il problema vero non è la ricostruzione, ma la messa in sicurezza del territorio, che – al netto delle azioni straordinarie necessarie per rispondere all’emergenza in corso – può avvenire solo attraverso il lavoro ordinario della Regione. Dobbiamo recuperare un giusto rapporto tra l’uomo e la natura. Nella coalizione guidata dal Pd di De Pascale ci sono proprio le persone che per anni hanno impedito e ancora oggi impediscono questo.



I segni dell’alluvione a Traversara, frazione di Bagnacavallo (Ravenna),

20 settembre 2024 (foto Ansa)

 


Altra notizia recente è la sorprendente sintonia tra Giorgia Meloni e il nuovo presidente di Confindustria Emanuele Orsini sulla necessità di frenare l’ambientalismo ideologico del Green Deal europeo. Orsini, tra l’altro, è un emiliano e questo non è un dettaglio, perché in Europa il Pd “padrone” dell’Emilia-Romagna sostiene proprio le misure che in nome della tutela dell’ambiente minacciano di smantellare le industrie che rendono la regione motore produttivo del paese. Basta pensare a settori come l’agroalimentare, la meccanica, gli imballaggi…

La politica delle due facce è una caratteristica fondamentale del Pd emiliano-romagnolo: qui parlano della necessità di «accompagnare le aziende del nostro territorio a una transizione ecologica che coniughi decarbonizzazione e competitività»; in Europa però sostengono esattamente quei provvedimenti che rischiano di mettere in ginocchio, per esempio, il packaging, visto che noi siamo campioni del riciclo e a Bruxelles invece la famiglia socialista di Elly Schlein punta tutto sul riuso. Sono contraddizioni forti che occorre portare alla luce, per questo l’intervento di Orsini è importante.

Pochi però da quelle parti sembrano disposti a parlarne apertamente.

In una regione governata sempre dallo stesso sistema per 54 anni l’intreccio tra politica ed economia è strettissimo, e si sa che qui, come diceva Orwell, tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. Sono affermazioni dure ma condivise da tantissime persone, le assicuro: se pochi lo dicono a voce alta è proprio per il clima che c’è.

Il mondo delle imprese non pare entusiasta nemmeno dell’idea, questa del governo di Roma, di obbligare le imprese ad assicurarsi contro le calamità.

Sarà sempre più importante tutelarsi rispetto ai cambiamenti climatici. Così come è importante che ci sia libertà di scelta e, con le incentivazioni giuste, le aziende potrebbero essere aiutate a fare questo passo. Ciò detto, per tutti gli imprenditori che incontro, ma proprio tutti, grandissimi, grandi, medi, piccoli e piccolissimi, la priorità è sempre la stessa.

Quale?

Semplificazione burocratica.

Tutto il mondo è paese.

Per dare un’idea dell’inerzia della sinistra emiliano-romagnola, dico solo che nel 2022 la Regione ha individuato con le parti sociali 70 procedure amministrative da semplificare: in due anni ne hanno eliminate tre. E dire che sarebbero tutti interventi a costo zero ma in grado di favorire progetti e investimenti.

Tornando al clima che si respira, i sondaggi danno in netto vantaggio De Pascale.

Ma secondo gli stessi sondaggi ben il 50 per cento degli intervistati dice di essere indeciso. Il mio obiettivo è puntare sugli incerti, oltre che sugli elettori che già condividono la necessità di un’alternanza dopo più di mezzo secolo. E poi su quanti non sono mai andati a votare o hanno smesso di farlo da anni. Io punto su un voto che non è di appartenenza, ma di corrispondenza: voglio intercettare la domanda e i bisogni concreti delle persone, cercando di far capire che ci può essere un’altra visione. È proprio questo che dà fastidio a Bonaccini e al potentato economico che sta dietro al Pd, l’idea che possa esserci un’altra visione. Hanno una presunzione, un senso di superiorità che in questi anni ha impedito loro di ascoltare la gente. Dall’associazione di volontariato che ho incontrato nei giorni scorsi e che dà una casa ai senzatetto, all’imprenditore agricolo che governa mille ettari, a quello che ne ha solo 10 e che ha un piccolo agriturismo, fino all’elettricista, al farmacista, al medico primario, a chi gestisce residenze per anziani: persone diversissime tra loro, ma tutte dicono che in Regione non c’è ascolto. Il potere decide, poi può anche starti a sentire, ma solo per confermare quello che ha già deciso. E io insisto: una visione diversa è possibile. Mi sono divertita moltissimo quando ho incontrato nell’alto Parmense i sindaci di Fornovo di Taro, Varano de’ Melegari e Bore, che con una lista civica sono riusciti a mandare a casa il Pd che comandava da sempre. Dicevano: “Guarda Elena che lo spazio c’è, perché la gente ti segue sulla concretezza di un approccio che aiuta a vivere, a fare impresa, a tirar su famiglia, a curare gli anziani”.

La sinistra e i giornali d’area hanno iniziato da subito ad accusarla di non essere “davvero” una candidata civica, ma di essere “sempre più vicina al centrodestra”.

È la loro tattica, sì. Io invece chiedo agli elettori di giudicare quello che ho fatto nella vita, e che i miei avversari non hanno mai fatto perché loro non hanno mai lavorato né hanno mai costruito nulla se non ciò che gli è stato dato per appartenenza al partito. E poi chiedo di giudicare la proposta del progetto civico che è stato condiviso da tutte le forze del centrodestra. Sono Meloni, Salvini e Tajani a dirmi di andare avanti con il mio progetto, un programma ben preciso e un cambiamento di metodo – al centro la persona con la sua capacità di iniziativa – da cui domani, se vinceremo, dovremo derivare tutte le politiche della Regione. Nei leader del centrodestra ho trovato molta più libertà e fiducia di quelle che avrei potuto trovare nella compagine di centrosinistra, dove in troppi sono già sicuri di vincere e hanno l’unico problema della poltrona da prendersi.

Ecco, “la persona al centro” è un po’ lo slogan dominante della sua campagna. Che cosa vuol dire concretamente, per esempio nell’altro tema caldissimo della competizione, la sanità?

Vuol dire per prima cosa mettere al centro la persona che cura: i medici e gli operatori del settore, che devono essere ascoltati, valorizzati e messi nelle condizioni di lavorare senza doversi dimettere. Cito dallo sfogo social divenuto virale di una donna «sfinita da due anni di ospedale», un medico internista 32enne che si è dimessa dopo aver lavorato proprio nell’ospedale di Ravenna, la città di cui De Pascale è sindaco: «Accuso un sistema che svilisce il lavoro degli operatori sanitari, che ci tratta come pedine intercambiabili sminuendo la nostra preparazione e i nostri studi specialistici, indifferente alle lamentele e alle possibili inadeguatezze, dannose per noi ma soprattutto per chi sta male». Ecco, in sanità vorrei mettere al centro innanzitutto le persone che si prendono cura di noi e che sono sfinite, perché sono trattate come esecutori di protocolli, a tutti i livelli. E poi disegnerei un Servizio sanitario regionale in cui sia possibile davvero la “presa in carico” dei malati. Questo è fondamentale perché con l’invecchiamento della popolazione aumentano le persone con malattie croniche.

E chi dovrebbe “prendere in carico” questi pazienti?

È compito innanzitutto della medicina territoriale, quindi dei medici di medicina generale, che vanno valorizzati e responsabilizzati. Ho in mente esempi che mi piacerebbe mettere a sistema. Penso a uno studio associato di medici di Ferrara che segue 14 mila pazienti: sono specialisti di varie discipline, dal cardiologo al geriatra, sono contattabili dalle 8 di mattina alle 8 di sera, hanno personale amministrativo che aiuta i pazienti anche a fare prenotazioni al Cup, hanno infermieri per le piccole medicazioni e i prelievi, insomma possono veramente prendere in carico il paziente, evitando che diventi un viandante che suona a tutti i campanelli per capire che cosa fare. Perché è questo che accade oggi a tanti anziani, specie a quanti non hanno una famiglia su cui contare.

De Pascale però insiste nel rivendicare l’eccellenza della sanità emiliano-romagnola.

Se un malato oncologico che deve fare verifiche tre volte l’anno è costretto ad andare a Occhiobello, in Veneto, per avere la Tac in tempo, è evidente che la narrazione di una sanità perfetta si scontra con la realtà. Questo sistema sanitario è stato costruito intorno a una popolazione diversa dall’attuale, e va cambiato. Anche De Pascale adesso dice che vuole cambiarlo, peccato che la Regione lo abbia modificato proprio quest’anno senza tenere conto di tutto questo… Insomma, come ho già avuto modo di dire, consiglio al mio avversario di votare per me se spera in una vera riforma della sanità.

E cosa chiedono, invece, a una cattolica come lei i cattolici della Regione che sbandiera i propri “strappi” su pillola abortiva, suicidio assistito, eccetera?

Penso che si rendano conto anche loro della scarsa credibilità di De Pascale, che promette una politica “dalla parte della famiglia”, quando qui una simile politica non è mai stata fatta. Non solo: si progetta addirittura di distribuire la pillola abortiva in modo anonimo alle minorenni. Penso che per una persona che crede nel valore della vita sia un problema avere a capo della sanità della Regione le forze che hanno preferito realizzare politiche che inducono a certe scelte anziché preoccuparsi di garantire la diffusione delle cure palliative e assistenza domiciliare agli anziani con qualità e continuità. A me sembra evidente che c’è un problema di coerenza, come per il Green Deal.

https://www.tempi.it/elena-ugolini-la-mia-sfida-al-cuore-del-sistema-pd/

AUGURI ELENA ANCHE DA NOI DEL CROCEVIA