lunedì 21 novembre 2016

LA WATERLOO DEL GIORNALISMO


Al vertice della disinformazione Giovanna Botteri, Rai

 di Cesare Maffi  italia oggi


Lungo, lunghissimo è l'elenco di coloro che si mangiano le mani. La vittoria di Donald Trump lascia uno strascico di lacrimosi, di delusi, di frustrati, perfino d'increduli (fino alla certezza matematica della sconfitta di Hillary Clinton) che Belzebù potesse prevalere.
Bisognerebbe aprire la lista con i commentatori, titolati o improvvisati, di casa nostra, i quali per mesi hanno dipinto Trump come la quintessenza del male, dell'imbecillità, della sprovvedutezza, garantendo che avrebbe trionfato la dolce, brava, esperta futura prima presidente donna degli Stati Uniti.

Possiamo additare, come modello di questa enorme disinformazione partigiana e prevenuta, la corrispondente della Rai Giovanna Botteri. Ha in continuazione ritratto come uomo della vergogna il «miliardario», il «magnate», sfrontato e offensivo, cupo e torvo di fronte alla trionfante Hillary, per la quale sprecava encomi, con toni assurdamente enfatici esaltandola come nume tutelare di tutte le minoranze oppresse dai cattivi alla Trump. La sua propaganda, condotta a spese di chi paga il canone, le avrà prodotto un mal di fegato, come del resto a tutti gli analisti, i corrispondenti, gli esperti, gli americanisti, compatti nell'auspicare e nel prevedere (difficile distinguere i pronostici dagli auspici) il trionfo della Clinton.

Sovente tali annunci evitavano di approfondire l'analisi stato per stato, pur essendo i risultati determinati esclusivamente dal conto dei delegati. Il ruolo dei grandi elettori è stato finalmente esaminato soltanto negli ultimi giorni, anzi, da alcuni sprovveduti nelle ultime ore. Ovviamente fra i vinti figurano i sondaggisti, che hanno fornito sia dati con alternanze impossibili, sia travolgenti vittorie della Clinton, tanto complessive quanto in un sovrabbondante numero di stati.

Hanno così trionfato i silenti, quelli che ai sondaggi non rispondono ma poi votano: la vecchia maggioranza silenziosa. Se ne dolgono, adesso, i difensori di quelle tante minoranze che da noi ritengono debbano sempre essere tutelate a prescindere. Piangono perché si è affermata una minoranza che loro detestano: i bianchi incazzati (e poveri, va aggiunto). Infatti le lacrime più amare le versano i radical chic, i progressisti ricchi, sdegnati perché quelli che un tempo erano definiti proletari non votano democratico né negli Stati Uniti né in Italia. L'alta finanza ha votato per la Clinton e adesso si lamenta, come si vede dalle borse. Gli operai, invece, hanno votato per Trump: coloro che restano a bocca aperta di fronte a tale fenomeno sono gli stessi che non hanno mai capito come nell'Italia settentrionale il partito di maggioranza nelle fabbriche sia la Lega.

Ovviamente i quattro quinti della classe politica nostrana sono in lutto, partendo da Matteo Renzi, il quale più volte si è speso in ammirazioni per la Clinton, non si sa quanto produttivamente per il nostro Paese: se Trump avesse notato l'appoggio renziano, potrebbe perfino esserselo legato al dito. Piangono, come quelle signore che, intervistate da una Rai clintoniana di ferro, spiegavano che avrebbero votato per la Clinton «perché è donna». 
(...) Questa America ha confermato di non essere socialista, di non volere la politica sociale propagandata da Obama, di non apprezzare il buonismo così in voga presso i democratici americani (e italiani).

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