«Dio non si muove a sdegno né per le scimmie, né per i topi; ma
è vero invece che egli impone agli uomini un giudizio e una punizione, quando
essi hanno trasgredito le tendenze naturali. Egli formula minacce a costoro per
mezzo dei profeti, e per mezzo del Salvatore giunto a noi per il bene di tutta
l'umanità, affinché quelli che intendono le minacce si convertano, e quelli che
invece trascurano le esortazioni alla conversione paghino le pene commisurate all'errore.
Ed è giusto che Dio, nella sua volontà di provvedere al bene dell'universo
intero, infligga queste pene agli uomini che hanno bisogno di un trattamento e
di una correzione di tal natura e di tale gravità» [Origene, Contro
Celso, 4,99].
La
mentalità animalista moderna è incantata dagli animali,
per quanto sono belli e per quanto sono “giusti” ... Noi uomini, invece, facciamo schifo. Per questo, “vivano gli
animali e muoia l'uomo!”. Origene, che è
un genio, in due parole ci fa capire il nocciolo della questione e vaporizza
questo pseudopensiero, seducente (anche perché comodo) ma falso.
È vero: gli animali sono belli, sono giusti e, se vogliamo
metterla così, sono anche buoni. (Tutti, però: anche mosche, zanzare e ratti di
fogna. Niente razzismi tipicamente “umani”).
Il
punto è che lo sono perché
non sono liberi. Sono perfetti perché sono
ciò che devono essere, secondo natura, e non possono fare a meno di esserlo. Noi uomini no. Ma proprio in questo, e solo in questo, sta la
nostra gloria, il nostro unico valore, l'unica cosa che è veramente solo nostra
e di nessun altro: la libertà. Che è, ovviamente, libertà di scegliere il
bene o il male; libertà quindi anche di sbagliare, anzi libertà di “essere
sbagliati”. Come, di fatto, quasi sempre quasi tutti almeno un po' lo siamo:
“un po' sbagliati”.
Il
“correlativo oggettivo” della nostra libertà (se si può dire così) è l'ira di Dio. E
qui c'è la seconda genialata di Origene, che ci spiega una cosa che dovrebbe
essere evidente ma che oggi tutto sembra voler negare. Polemizzando con Celso
che aveva sostenuto, appunto, che «l'uomo di fronte a Dio non è affatto diverso
dalle formiche o dalle api» (4,83) e che «gli animali privi di ragione non
soltanto sono più sapienti della natura umana, ma persino più cari a Dio»
(4,97), Origene smonta tutto il suo lungo trattato sulle virtù zoologiche con
questo semplice argomento: ok, va tutto
bene, le api le formiche e gli elefanti ... ma Dio si adira solo con gli
uomini! Questo è il nostro privilegio sugli animali, questo il titolo della
nostra nobiltà, questa la prova che noi siamo creature speciali, potenzialmente
figli di Dio.
Oggi il tema dell'ira divina è diventato scandaloso e
improponibile e siamo ormai in tempi in cui – come diceva Chesterton, se non
sbaglio – “chi dirà che l'erba è verde avrà la mano mozzata”, ma se c'è
un'evidenza universale che tutti, ma proprio tutti, sono in grado di vedere
guardando alla propria vita è questa: noi con
chi ci arrabbiamo? Con quelli che amiamo, con quelli che per noi contano,
quelli di cui ci importa. Nessuno si arrabbia per (e con) qualcuno di cui non
gli importa nulla. C'è una diretta correlazione tra amore e ira: chi non ama
non si adira. Chi ama poco si adira solo quando è in gioco quel poco che gli
importa. Ma sempre l'amore si adira di fronte al male fatto (e patito)
dall'amato.
Dio,
che è amore infinito, come potrebbe non adirarsi per il male? Dunque Dio si
adira. Il diavolo no.
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