Morte all’untore!
6
novembre
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L'uomo
nero del momento (per qualche giorno, s'intende) è padre Giovanni Cavalcoli, per via di qualcosa che si dice abbia
detto in una sua trasmissione a Radio Maria. Nessuno di quelli che ne parlano, in effetti, sa che cosa egli abbia
detto, ma non fa niente. Per ora è alla gogna.
Mi
sono appena imbattuto in una pagina sulla rete in cui qualcuno mostra disprezzo
e fa dell'ironia su padre Cavalcoli, citando tra l'altro un suo saggio
teologico intitolato (risum teneatis!) «Sulla differenza
tra l'anima dell'uomo e quella della donna».
E
tutti a sghignazzare, con faccine e commenti (tipo: “ma perché, le donne hanno
l'anima?”) ...
Ho
dato un'occhiata all'articolo, che è reperibile in rete, e - giusto per far
capire che cosa contiene effettivamente - ne riporto testualmente l'inizio:
«Questa questione, irrilevante nel passato, è venuta sempre più alla ribalta
della riflessione antropologica mano a mano che, sotto l'influsso della
civilizzazione cristiana, si è posta sempre più in luce la dignità della
persona umana, ed in particolare la personalità femminile ha dato prova di
possedere, in certi campi dell'attività spirituale, delle qualità diverse e
superiori a quelle dell'uomo, pur nella fondamentale partecipazione, con lui,
della medesima natura umana».
C'è
così tanto da ridere? Il senso dell'articolo di padre Cavalcoli, che è un
teologo tomista, è quello di cercare di superare un limite della posizione di
san Tommaso che «non si è posto questo problema» perché «al suo tempo [...] la
diversità e la reciproca complementarità spirituale tra uomo e donna non erano
apparse così in evidenza come oggi». Il suo tentativo può essere discutibile
(anzi, lo è per definizione, come ogni saggio teologico) ma è del tutto
rispettabile. E perciò dovrebbe essere rispettato. Chi non lo rispetta, smette
di essere a sua volta rispettabile.
Due
note a margine: 1) eclissi odierna dell'intelligenza, soprattutto negli
"intelligenti" di professione; 2) O gran bontà dei cavalieri antichi!
I Padri, ad esempio, spesso (non sempre, a dire il vero) polemizzavano molto
meglio di noi, che di solito “facciamo l'altro scemo, per poi dire che è
scemo”.
7
novembre
Devo ritornare sulla vicenda di padre Cavalcoli, che
non sta in cima ai miei pensieri (e neanche particolarmente simpatico) perché
vedo che anche nel suo caso si è verificata quella che ormai sta diventando una
consolidata prassi ecclesiastica.
Quando
un cristiano viene attaccato dal mondo, i “suoi” immmediatamente lo
abbandonano, lo isolano e lo condannano; se proprio non lo lapidano, perlomeno
si affrettano a manifestare solidarietà ai lapidatori. «Lui con noi non ha
nulla a che fare»: questo è il messaggio. Non si
aspetta di verificare le accuse, non si invita a distinguere e a comprendere
bene che cosa il meschino abbia veramente detto o fatto, non si rivendica la
parte di verità che anche in una posizione discutibile o erronea c'è quasi
sempre, non si cercano, se errore c'è, né giustificazioni né attenuanti che,
anch'esse, non mancano quasi mai. Soprattutto
non si testimonia la cosa più importante: l'unità, la comunione che, tra
cristiani, dovrebbe venire sempre prima di ogni eventuale presa di distanza
(che pure talvolta è doverosa).
No, se il mondo prende di mira uno e grida: «Ha
bestemmiato!», subito i suoi fratelli (è
così che ci chiamiamo, non è vero?) si fanno da parte, lo lascino solo e
dicono al mondo: «Sì ha bestemmiato. Ma è lui che ha bestemmiato, noi non
c'entriamo. Non siamo come lui. Stiamo dalla tua parte».
Questo comportamento è stupido e cattivo. Cattivo,
perché dal punto di vista morale, è lecito chiedersi se in questo modo di agire
vi sia della ... com'è che si chiama? Non mi viene la parola, eppure
ultimamente la si ripete tanto spesso ... ah, sì: misericordia. Per
quanto mi sforzi, non ne vedo.
Ma almeno è “utile”? C'è dell'accortezza, sia pure un
po' machiavellica? Beh, facendo così si accetta supinamente, anzi si contribuisce a far sì che sia il
mondo a dettare le regole, e a stabilire che cosa è bene e che cosa è male;
che cosa i cristiani possono e che cosa non possono dire; anzi, che cosa Dio
stesso sia autorizzato a fare e che cosa non si può permettere di fare (per
esempio, castigare). Se ci sia della lungimiranza, in tutto ciò, ciascuno lo
valuti come crede. A me non pare.
Ma forse gli zelanti diranno che
è sempre «meglio che muoia un uomo solo per il popolo e non perisca la nazione».
È vero che è una frase del Vangelo, ma non ricordo che l'abbia detta Gesù.
(Però io ho un'edizione vecchia, può darsi che adesso sia cambiato).
Giovanni, 11,45
*Molti giudei, che erano andati da Marita,
constatando ciò che Gesù aveva fatto, credettero in lui. *Alcuni invece
andarono dai farisei a raccontare l’accaduto. *Allora i capi dei sacerdoti e i
farisei convocarono un consiglio. E dicevano: Che cosa facciamo? Quest’uomo
compie molti segni. *Se lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui, e verranno i
romani e distruggeranno il tempio e la nostra nazione. *Uno di essi, chiamato
Caifa, che i quell’anno occupava la carica di sommo sacerdote, disse loro: Voi
non capite nulla, *non riflettete che è meglio che un uomo solo muoia per il
popolo, piuttosto che correre il rischio che perisca tutta la nazione.
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