L'analisi di Benedetto Ippolito, storico della filosofia
Eccoci qua. La grande notte elettorale è
finita e il miracolo si è compiuto. Donald Trump è il
quaratacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America. Hillary
Clinton, blasonatissima e affidabilissima candidata ufficiale del partito
democratico, è stata battuta dal magnate newyorchese, dal candidato
indipendente, contestato e delegittimato dai media di tutto il mondo, il quale
invece, contro tutto e tutti, ha
scommesso in un sogno politico fino a farlo diventare realtà.
Il consenso ricevuto è stato
schiacciante. Non una vittoria risicata, non un’affermazione di misura, ma una
maggioranza in grado oggi di decretare la svolta dell’America che ha un volto e
un nome, quello del Tycoon.
Una prima
osservazione va fatta subito, anche perché continuano a sentirsi commenti
veramente strani, inadeguati e poco comprensibili. Il personaggio è certamente
singolare, un outsider, a cominciare dal partito repubblicano che egli comunque
rappresenta, ma il suo programma,
sebbene appaia ad alcuni scorretto e indigeribile, no: non è assolutamente
nulla di esoterico e originale, e soprattutto non contiene niente di assurdo.
Siamo, insomma, nella linea ideologica profonda della destra di sempre.
Il giudizio negativo che ha
suscitato Trump, e risultato alla fine errato e da abbandonare, tuttavia, non è
banale, e continua a non esserlo. Anzi esso
spiega il perché della sconfitta di Clinton e di Obama, il perché né i
sondaggi, né i poteri forti siano stati in grado di prevedere questa sua
vittoria, e il perché della paura di ammettere di votarlo che ha falsato
appunto le previsioni. La democrazia non
è solo comunicazione, tanto quanto l’opinione pubblica, quella della strada,
non è lo spazio pubblico dei media.
Il mondo che abbiamo sotto gli occhi è
effetto ultimo di tutto ciò che la Clinton rappresenta, i media hanno cercato
di descrivere, nonché di tutto ciò che anche in Europa definisce l’impopolarità
dell’establishment.
· *Una globalizzazione multiculturale che
nasconde interessi e affari miliardari,
· *una relativizzazione dei diritti che
finisce per creare falsa retorica libertaria del populismo,
· * una democrazia apparente declinata con
l’illusione degli spazi aperti,
· *una cultura asservita a grandi lobby
finanziarie e bancarie invisa dall’uomo e dalla donna comune.
Trump è un
fenomeno trasgressivo, irriverente, rivoluzionario del tutto opposto. Il suo
programma è la chiave per capirne il successo, la sua semplicità meinstream
l’arma vincente che il popolo americano ha usato per infliggere un colpo mortale ai progressisti
interplanetari, facendo svanire il loro potere intangibile, svelandone la
vacuità radicale e la pericolosità subdola.
L’America profonda, rurale,
conservatrice e nascosta dentro di noi ha battuto l’americanismo di facciata
che imperversa attorno a noi.
La democrazia
vera, legata ad amore per la propria patria, per il proprio territorio, per i
propri confini e le proprie tradizioni comunitarie, ha sconfitto le illusioni
idealistiche e multiculturali di un brutale individualismo che uccide e sfrutta
i miserabili, parlando di bon ton e finto umanitarismo.
La vittoria di Trump è la vendetta della
verità: più netta e meno originale di quella di Reagan e molto più importante per
il nostro futuro di quanto lo sia stato allora la sua.
Il neo presidente incarna, infatti,
l’originaria visione spirituale e popolare dell’antica mentalità politica,
immune da liberismi e deregolamentazioni economiche, ma attenta a garantire
pulizia, controllo, legge, ordine, perbenismo e i sani principi morali delle
classi medie.
Quello che è
piaciuto agli americani è la veracità
con cui anche i difetti dell’uomo sono stati condivisi, perfino nelle infelici
battute machiste che tutti noi abbiamo sentito da lui e sentiamo e
facciamo noi stessi in palestra ogni sera, un
bagliore di autenticità preferita alla buia patina pseudobuonista di chi non la
racconta giusta mai, proprio perché finge di non avere difetti.
Il mondo oggi
riparte da una nuova visione globale nella quale sono gli Stati sovrani i protagonisti che ne configurano l’organizzazione
molteplice e differenziata, garantendo la propria pace interna,
innanzitutto tutelando la relativa integrità territoriale e la intrinseca
coesione sociale.
Non una linea di isolazionismo, ma
consapevolezza che la politica ha dei limiti. E questi costituiscono il più grande
valore etico, la vera premessa per far essere una traccia compatibile con la
validità rappresentativa che viene espressa, riconosciuta e osservata dai
cittadini in carne e ossa.
Per Trump non si dà democrazia senza
nazione, non si danno libertà senza regole, e diritti senza doveri. Perché non
si realizza un ordine internazionale senza Stati forti e compatti. Egli
preferisce un federalismo globale, che inserisca gli Stati Uniti come potenza
orizzontale e non verticale nelle relazioni internazionali, restando sempre e
soltanto espressione di un popolo e non dell’intera umanità. Gli Stati Uniti
sono un partner rilevantissimo o un alleato preziosissimo, che esige e sostiene
dappertutto lo stesso processo democratico che vive al suo interno, senza
interferire ovunque e comunque, se non è strettamente necessario.
Perciò la
vittoria di queste elezioni americane è anche la legittimazione di una politica
europea diversa che guardi più ai veri soggetti democratici, i popoli e i loro
Stati, e meno al potere dell’Unione e della Nato.
Niente
egemonia, ma coordinamento delle finalità.
La Brexit,
non a caso, ha anticipato temporalmente la vittoria di Trump; e Trump e Putin
saranno insieme gli interlocutori privilegiati di una serie di rapporti nuovi
tra Est e Ovest che avvantaggeranno la possibile vittoria delle destre nelle
prossime elezioni francesi e tedesche del 2017.
Anche in Italia, infine, Trump ha
qualcosa da insegnare. Si torni a far votare i cittadini e si
torni ad avere una politica nazionale seria, inossidabile sui principi, che
sappia non solo protestare e dividersi ma anche proporre una visione culturale
alta, in cui vita, famiglia, comunità, democrazia e sovranità abbiano un
primato su tutto il resto. Soltanto allora, anche da noi, potrà vedersi un
effetto positivo del trumpismo, finendola di sentire parlare in modo
altisonante tanti megafoni del nulla.
Nessun commento:
Posta un commento