venerdì 7 febbraio 2020

TOSCANI, IL GIAMBURRASCA DELL’OVVIO


Le sue parole sul Morandi hanno rivelato il suo cinismo. Celebrato “provocatore”, ha sempre navigato col favore del vento contro l’Italia villana e cattolica

Ora che il cinismo di Oliviero Toscani è venuto fuori al naturale, si deve provare a fare la fatica di non scandalizzarsi. Bisogna provare anche ad andare al di là del caso specifico (le parole sul crollo del ponte Morandi) per le quali ieri – in diverse interviste, tutte toppe peggiori del buco – il noto fotografo ha voluto scusarsi dicendo di essere amareggiato e, apice dell’assurdo, ha accusato la «comunicazione di oggi» di non aver più rispetto di niente e di nessuno. Cioè: il padre della provocazione shock, dell’istigazione estrema, dello schiaffo a tradimento e del calcio in culo con sommo godimento piagnucola contro i “disonesti”? Che brutta fine, che fine mesta!


Il Giamburrasca dell’ovvio
La verità è che Toscani un vero provocatore non lo è stato mai. È sempre stato bravo a fare soldi, questo sì, scegliendo la via comoda dell’ingiuria citofonata, quella che sapeva avrebbe riscosso l’applauso, come chi lucra a fare il lupo di mare seguendo il soffio del vento. Ma questo giullare del conformismo, questo Giamburrasca dell’ovvio, questo anticlericale d’antan che ci ammorba da anni con le sue omelie scontate, ha sempre scelto accuratamente la parte in cui stare: la parte comoda dell’oscenità accettata, borghese, benpensante.

Sfondatore di porte aperte
Ieri Il Fatto, parlando del suo rapporto coi Benetton, ne ha dato una definizione perfetta:
«Meticciato, malattia, sesso, morte, sangue, latte, preservativi usati, cordoni ombelicali, corpi scheletriti: tutto bello, stante l’ineliminabile aporia che il corpo esposto per scandalizzare i borghesi serviva in realtà ad arricchire i borghesi».
Anni fa, sul Foglio Camillo Langone ne tracciò un ritratto spietato:
«Oliviero Toscani, bel ragazzo milanese figlio di papà pertanto radicale, può definirsi un pretofilo, ha sempre abusato dei religiosi con la slealtà che gli è propria attingendo dal grande serbatoio del luogo comune più loffio. Sfondatore di porte aperte, falso dissacratore perché solito dileggiare l’inoffensivo sacro del passato e non quello permaloso e pericoloso del presente (non Maometto ad esempio, né i sodomiti o gli animalisti…), con la complicità di Benetton ha fatto baciare un prete e una suora preconciliari, estinti in natura da decenni, surrogando la realtà con un paio di costumi da carnevale. Pasolini ebbe la lungimiranza di analizzare i suoi primi passi e, senza mai nominarlo, negli “Scritti corsari” lo inquadrò come sfruttatore di forme folcloristiche per masse “idiotamente irreligiose”. Perfetta definizione per un parassita che millanta di essere creativo, se lo dice allo specchio e se lo fa dire dai plaudentes perché gli piace moltissimo, quando è creativo come può esserlo un tarlo».
Gli sputazzi all’Italia villana
Tutte le sue campagne, sempre così convenzionalmente piegate al sentimento comune e antireligioso della sinistra radicale, hanno sempre sputazzato addosso all’Italia popolare, villana, cattolica, così odiosamente retriva, bigotta, démodé. Celebrato in ogni dove per il suo coraggio e l’ardire di «dare la sveglia a un’Italia sonnacchiosa, chiacchierona e che non si muove», è stato usato dal giornalista collettivo per dare quel “di più” artistico alla schiuma del mare con cui si genera, autogenera e alimenta la ciancia mainstream.

Il mio “Non Padre”
Ogni tanto, per la verità, la realtà s’è presa la sua rivincita contro questo telegenico imbonitore delle masse liberal. Come nel caso del Morandi, con i parenti delle vittime che hanno protestato contro l’enormità di una sciocchezza indicibile. O come accadde dopo l’intervista al Corriere, in cui Toscani aveva celebrato la sua famiglia allargata, emblema di un paese bello, solare, moderno, in cui lui – il padre – era riuscito a essere «onesto» perché non autoritario, sospettoso, dispotico. E poi, però, si beccò la lettera di replica della figlia Olivia, che vergò un certo numero di parole molto lontane dalle tinte pastello e arcobaleno delle foto Benetton:

«Sono Olivia Toscani, la figlia maggiore di Oliviero Toscani. Scrivo in merito all’articolo in cui mio padre è intervistato da Maria Luisa Agnese. Contesto totalmente le parole di mio padre riguardo al suo rapporto con le figlie. Non l’ho più visto dall’età dei miei quindici anni, quando sono andata via dalla nostra casa a Casale Marittimo per i continui maltrattamenti psichici e per i ricatti che costantemente manifestava con violenza e aggressività, sia contro di me, sia contro mia madre, Agneta, la sua prima moglie con cui ha avuto due figlie. Sin dalla separazione dei miei genitori l’ho sempre sentito imprecare contro di noi, bestemmiando, fino ad arrivare al limite inaudito di imprecare contro la nostra vita stessa (noi ancora bambine, ahimè). Il nostro riavvicinamento non sarà mai possibile senza un profondo e sentito atto di amore e conversione. Oggi Oliviero è un estraneo con un grosso debito umano e morale. I miei figli lo conoscono a malapena. I suoi vantati 14 nipoti sono in realtà 11. I miei figli respingono in maniera netta tale impostura. Oliviero non è riuscito a formare una famiglia allargata unita e pacifica come dice lui. I miei figli non possono andare a casa sua e non è mai stato un nonno vero. In definitiva un Non Padre avrebbe potuto recuperare la sua posizione riscattandosi come un Buon Nonno. Ed è già tardi…».
Mia madre, vera anticonformista
Ecco, ogni tanto la realtà supera la finzione delle immagini, della cinepresa, dell’obiettivo fotografico e torna a mostrarsi per quel che è. Spesso in maniera brutale e, questa sì, scandalosa. Spesso rivelando una “provocazione naturale” ben più interessante, vera e sincera di quella artefatta e costruita per compiacere i padroni delle ferriere.

Una volta, con un lampo, se ne accorse persino lui, Toscani, ammettendo in un libro (Non sono Obiettivo, Feltrinelli, 2001) di essere uno come tanti, un conformista. Il vero provocatore non era lui, ma sua madre:

«Ieri mia madre mi ha detto: “Ho avuto un solo uomo, tuo padre”. All’improvviso si sono sgretolati anni e anni di liberazione sessuale, di convincimenti libertari, di mentalità radicale. Tutto quel che avevo creduto una conquista civile si è ridimensionato di fronte a quella semplice affermazione: “Ho avuto un solo uomo, tuo padre”. Sono stato messo di fronte alla debolezza di ciò che credevo essere la modernità, con la forza di chi afferma un principio antico, senza la consapevolezza di essere, lei sì, la vera rivoluzionaria. Mi sono domandato: sono più avanti io che ho vissuto e teorizzato il rifiuto del matrimonio, l’amore libero e i rapporti aperti o lei che per una vita intera è rimasta fedele ad un solo uomo? Senza essere Gesù Cristo mi sono sentito il figlio di Dio e mia madre mi è apparsa come la Madonna: in modo naturale, come se fosse la più ovvia delle cose, lei ha impostato tutta la sua vita su concetti che oggi ci appaiono sorpassati, ridicoli: la felicità, l’onestà, il rispetto, l’amore. Mentre penso che non c’è mai stata in lei ombra di rivendicazioni nei confronti del potere maschile mi rendo conto che non esiste nessuno più autonomo di lei. Nessun senso di inferiorità l’ha mai sfiorata, perché le fondamenta della sua indipendenza erano state scavate nei terreni profondi della dirittura morale, della lealtà, della giustizia, dell’onore e non sulla superficie di ciò che si è abituati a considerare politicamente corretto. Il rispetto e la timidezza con cui guardava mio padre e l’educazione che mi ha dato a rispettarlo non avevano niente a che vedere con le rivendicazioni dei piatti da lavare.

Mia madre non si è mai sentita inferiore perché ci serviva in tavola un piatto cucinato per il piacere di accontentarci e di farci piacere; o perché lavava e stirava per farci uscire “sempre in ordine”. Sono consapevole che sto esaltando il silenzio e quella che le femministe hanno drasticamente definito sottomissione. Ma non posso fare a meno di interrogarmi sui veri e falsi traguardi dell’emancipazione, su ciò che appartiene ai convincimenti profondi e su ciò che non è altro che sterile battibecco. Nella ricerca dei valori che dovrebbero educarci a un’etica meno degradata di quella improntata al principio del così fan tutti, mia madre è un esempio di anticonformismo e di liberazione: lei è davvero affrancata dagli stereotipi e dai bisogni indotti della società massificata. Per conquistare obiettivi importanti e sicuramente oggi irrinunciabili siamo stati costretti ad abdicare alla nostra integrità.
Noi abbiamo perso la ” verginità” non lei».

Emanuele Boffi 
TEMPI 7 febbraio 2020

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