MARINA CORRADI
Una dolore privato nel panico pubblico. E segni di speranza
Morire a novant’anni, a Milano, nel giorno dell’esplosione del
coronavirus. Morire in una notte, dopo una corsa in ospedale e poche ore di
agonia: semplicemente perché il corpo è logoro, e il cuore non regge più. È
accaduto a una persona molto cara, in casa nostra.
Quando abbiamo capito che la situazione precipitava, sabato
sera, abbiamo tremato: e ora ci sarà un’ambulanza, troveremo un letto in ospedale?
Pochi giorni prima, in un Pronto soccorso del centro, l’esperienza
era stata drammatica: venti ore in corridoio, senza dormire né mangiare, finché
la nonna stessa aveva pregato di tornare a casa. E ora, col coronavirus e la
paura come una cappa sulla città? – ci siamo detti angosciati.
Ma l’ambulanza del 118 arriva in dieci minuti. Tre giovani volontari
preparati, gentili, caricano la paziente e via, a sirena accesa, verso l’ospedale
– nella città semideserta di un surreale sabato sera (la nonna ha chiuso gli occhi, non
ci risponde più).
IL CRISTO VELATO, Napoli Museo Cappella San severo |
Il San Carlo Borromeo è un grandissimo ospedale vicino allo
stadio di San Siro. A vederlo da fuori, così enorme e grigio, mette un po’ di
timore. L’ingresso però, sorprendente, questa notte è quasi deserto. Due
addetti all’accettazione ci chiedono soltanto se nessuno in casa è stato in
zone a rischio. La paziente viene portata subito in sala visite. Mentre aspetto
osservo il via vai di infermieri con la faccia segnata dalla stanchezza, forse
dal nervosismo, che compostamente fanno il loro lavoro, la mascherina
sul volto. Non c’è un solo letto stanotte in questo grande ospedale, e, ci
dicono, in tutta Milano: ma la malata viene messa in una dignitosa stanza del
Pronto soccorso. Ossigeno, flebo. Il monitor scandisce l’affannosa corsa del
vecchio cuore. Col passare delle ore la situazione si aggrava. Ci chiamano:
'Venite a salutarla'. Bardati di camice e maschera entriamo in Rianimazione. Le
facce pallide, ma attente di medici e infermieri mi colpiscono, e anche la loro
gentilezza. La calma, soprattutto: perché fuori di qui a quest’ora i
supermercati vengono presi d’assalto.
«Sta andando a ruba tutto – ci telefona sbalordita la figlia
– saponi e detersivi sono esauriti, la gente riempie i carrelli di provviste come
stesse per finire il mondo». In effetti, su web e media domenica l’impressione è
questa. Solo poche voci ricordano che il bilancio di decessi tra gli anziani
fragili per le complicazioni dell’influenza, ogni anno, è di centinaia di vittime,
e che nella maggioranza dei casi il nuovo virus si manifesta in maniera non
drammatica. Ma no: sembriamo, e in tanti, impazziti. Quella calca davanti agli
ipermercati, quei grandi carrelli che si tamponano, nell’ansia di colmarli.
Zeppi: tutto quello che ci sta. Roba, roba, in una arcaica paura di una
carestia mai conosciuta.
In una scompostezza che dice qualcosa di noi, o almeno di molti.
La sola ipotesi di un improbabile contagio è intollerabile. La sconosciuta
costantemente censurata morte, l’Innominabile, se appena si affaccia all’orizzonte
scatena il panico. Ci pensiamo immortali? O forse non pensiamo proprio a certe
questioni, finché possiamo. Il risveglio dalla collettiva smemoratezza, in
questa domenica 23 febbraio 2020, è brutale. Nella notte ci chiameranno a casa:
la nonna sta morendo. Ce la fanno salutare, cercano il cappellano per l’ultima
benedizione. Gli occhi dell’infermiere della Rianimazione, sopra la mascherina verde, mi resteranno in mente: calmi, e rispettosi del
nostro dolore. Chi fronteggia ogni giorno la morte non è andato nel panico.
Come soldati in trincea, sfiniti, vigili, non abbandonano la postazione. La
porta scorrevole del Pronto soccorso del San Carlo che ci si chiude alle spalle
sembra una frontiera: con la fervorosa Milano dei sani, che lavora, corre, produce, si diverte, vive. A volte come dentro un’amnesia.
Credendoci immortali.
Ce ne torniamo a casa zitti, la figlia più piccola piange la
sua nonna, che tanto l’ha amata. Ci mancherà, lo sappiamo, il pane dell’Eucarestia.
(Quanto ci è necessario, lo sento per la prima volta nella mai provata
mancanza, il vero Pane). All’alba, nella precoce improvvisa primavera, i peschi
nei viali sono di colpo tutti fioriti. Sembrano un segno: silenzioso, da mille
generazioni fedele.
AVVENIRE 25/02/ 2020
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