Le sue parole sul
Morandi hanno rivelato il suo cinismo. Celebrato “provocatore”, ha sempre
navigato col favore del vento contro l’Italia villana e cattolica
Ora che il cinismo
di Oliviero Toscani è venuto fuori al
naturale, si deve provare a fare la fatica di non scandalizzarsi. Bisogna
provare anche ad andare al di là del caso specifico (le parole sul crollo del ponte
Morandi) per le quali ieri – in diverse interviste, tutte toppe
peggiori del buco – il noto fotografo ha voluto scusarsi dicendo di essere
amareggiato e, apice dell’assurdo, ha accusato la «comunicazione di oggi» di
non aver più rispetto di niente e di nessuno. Cioè: il padre della provocazione
shock, dell’istigazione estrema, dello schiaffo a tradimento e del calcio in
culo con sommo godimento piagnucola contro i “disonesti”? Che brutta fine, che
fine mesta!
Il Giamburrasca
dell’ovvio
La verità è che Toscani
un vero provocatore non lo è stato mai. È sempre stato bravo a fare soldi,
questo sì, scegliendo la via comoda dell’ingiuria citofonata, quella che sapeva
avrebbe riscosso l’applauso, come chi lucra a fare il lupo di mare seguendo il
soffio del vento. Ma questo giullare del conformismo, questo Giamburrasca
dell’ovvio, questo anticlericale d’antan che ci ammorba da anni con le sue
omelie scontate, ha sempre scelto accuratamente la parte in cui stare: la parte
comoda dell’oscenità accettata, borghese, benpensante.
Sfondatore di porte
aperte
Ieri Il Fatto,
parlando del suo rapporto coi Benetton, ne ha dato una definizione perfetta:
«Meticciato, malattia, sesso, morte, sangue, latte,
preservativi usati, cordoni ombelicali, corpi scheletriti: tutto bello, stante
l’ineliminabile aporia che il corpo esposto per scandalizzare i borghesi
serviva in realtà ad arricchire i borghesi».
Anni fa, sul Foglio Camillo
Langone ne tracciò un ritratto spietato:
«Oliviero Toscani, bel ragazzo milanese figlio di papà
pertanto radicale, può definirsi un pretofilo, ha sempre abusato dei religiosi
con la slealtà che gli è propria attingendo dal grande serbatoio del luogo
comune più loffio. Sfondatore di porte aperte, falso dissacratore perché solito
dileggiare l’inoffensivo sacro del passato e non quello permaloso e pericoloso
del presente (non Maometto ad esempio, né i sodomiti o gli animalisti…), con la
complicità di Benetton ha fatto baciare un prete e una suora preconciliari, estinti
in natura da decenni, surrogando la realtà con un paio di costumi da carnevale.
Pasolini ebbe la lungimiranza di analizzare i suoi primi passi e, senza mai
nominarlo, negli “Scritti corsari” lo inquadrò come sfruttatore di forme
folcloristiche per masse “idiotamente irreligiose”. Perfetta definizione per un
parassita che millanta di essere creativo, se lo dice allo specchio e se lo fa
dire dai plaudentes perché gli piace moltissimo, quando è creativo come può
esserlo un tarlo».
Gli sputazzi all’Italia
villana
Tutte le sue campagne,
sempre così convenzionalmente piegate al sentimento comune e antireligioso
della sinistra radicale, hanno sempre sputazzato addosso all’Italia popolare,
villana, cattolica, così odiosamente retriva, bigotta, démodé. Celebrato in
ogni dove per il suo coraggio e l’ardire di «dare la sveglia a un’Italia
sonnacchiosa, chiacchierona e che non si muove», è stato usato dal giornalista
collettivo per dare quel “di più” artistico alla schiuma del mare con cui si
genera, autogenera e alimenta la ciancia mainstream.
Il mio “Non Padre”
Ogni tanto, per la
verità, la realtà s’è presa la sua rivincita contro questo telegenico
imbonitore delle masse liberal. Come nel caso del Morandi, con i parenti delle
vittime che hanno protestato contro l’enormità di una sciocchezza indicibile. O
come accadde dopo l’intervista al Corriere, in
cui Toscani aveva celebrato la sua famiglia allargata, emblema di un paese
bello, solare, moderno, in cui lui – il padre – era riuscito a essere «onesto»
perché non autoritario, sospettoso, dispotico. E poi, però, si beccò la lettera di replica della figlia Olivia, che vergò un certo
numero di parole molto lontane dalle tinte pastello e arcobaleno delle foto
Benetton:
«Sono Olivia Toscani,
la figlia maggiore di Oliviero Toscani. Scrivo in merito all’articolo in cui mio padre è
intervistato da Maria Luisa Agnese. Contesto totalmente le parole di mio padre
riguardo al suo rapporto con le figlie. Non l’ho più visto dall’età dei miei
quindici anni, quando sono andata via dalla nostra casa a Casale Marittimo per
i continui maltrattamenti psichici e per i ricatti che costantemente
manifestava con violenza e aggressività, sia contro di me, sia contro mia
madre, Agneta, la sua prima moglie con cui ha avuto due figlie. Sin dalla
separazione dei miei genitori l’ho sempre sentito imprecare contro di noi,
bestemmiando, fino ad arrivare al limite inaudito di imprecare contro la nostra
vita stessa (noi ancora bambine, ahimè). Il nostro riavvicinamento non sarà mai
possibile senza un profondo e sentito atto di amore e conversione. Oggi
Oliviero è un estraneo con un grosso debito umano e morale. I miei figli lo
conoscono a malapena. I suoi vantati 14 nipoti sono in realtà 11. I miei figli
respingono in maniera netta tale impostura. Oliviero non è riuscito a formare
una famiglia allargata unita e pacifica come dice lui. I miei figli non possono
andare a casa sua e non è mai stato un nonno vero. In definitiva un Non Padre
avrebbe potuto recuperare la sua posizione riscattandosi come un Buon Nonno. Ed
è già tardi…».
Mia madre, vera
anticonformista
Ecco, ogni tanto la
realtà supera la finzione delle immagini, della cinepresa, dell’obiettivo
fotografico e torna a mostrarsi per quel che è. Spesso in maniera brutale e,
questa sì, scandalosa. Spesso rivelando una “provocazione naturale” ben più
interessante, vera e sincera di quella artefatta e costruita per compiacere i
padroni delle ferriere.
Una volta, con un lampo, se ne accorse persino lui,
Toscani,
ammettendo in un libro (Non sono Obiettivo, Feltrinelli, 2001) di essere
uno come tanti, un conformista. Il vero provocatore non era lui, ma sua madre:
«Ieri mia madre mi ha detto: “Ho avuto un solo uomo,
tuo padre”.
All’improvviso si sono sgretolati anni e anni di liberazione sessuale, di
convincimenti libertari, di mentalità radicale. Tutto quel che avevo creduto
una conquista civile si è ridimensionato di fronte a quella semplice
affermazione: “Ho avuto un solo uomo, tuo padre”. Sono stato messo di fronte
alla debolezza di ciò che credevo essere la modernità, con la forza di chi
afferma un principio antico, senza la consapevolezza di essere, lei sì, la vera
rivoluzionaria. Mi sono domandato: sono più avanti io che ho vissuto e
teorizzato il rifiuto del matrimonio, l’amore libero e i rapporti aperti o lei
che per una vita intera è rimasta fedele ad un solo uomo? Senza essere Gesù
Cristo mi sono sentito il figlio di Dio e mia madre mi è apparsa come la
Madonna: in modo naturale, come se fosse la più ovvia delle cose, lei ha
impostato tutta la sua vita su concetti che oggi ci appaiono sorpassati,
ridicoli: la felicità, l’onestà, il rispetto, l’amore. Mentre penso che non c’è
mai stata in lei ombra di rivendicazioni nei confronti del potere maschile mi
rendo conto che non esiste nessuno più autonomo di lei. Nessun senso di
inferiorità l’ha mai sfiorata, perché le fondamenta della sua indipendenza
erano state scavate nei terreni profondi della dirittura morale, della lealtà,
della giustizia, dell’onore e non sulla superficie di ciò che si è abituati a
considerare politicamente corretto. Il rispetto e la timidezza con cui guardava
mio padre e l’educazione che mi ha dato a rispettarlo non avevano niente a che
vedere con le rivendicazioni dei piatti da lavare.
Mia madre non si è mai
sentita inferiore perché ci serviva in tavola un piatto cucinato per il piacere
di accontentarci e di farci piacere; o perché lavava e stirava per farci uscire
“sempre in ordine”. Sono consapevole che sto esaltando il silenzio e quella che
le femministe hanno drasticamente definito sottomissione. Ma non posso fare a
meno di interrogarmi sui veri e falsi traguardi dell’emancipazione, su ciò che
appartiene ai convincimenti profondi e su ciò che non è altro che sterile
battibecco. Nella ricerca dei valori che dovrebbero educarci a un’etica meno
degradata di quella improntata al principio del così fan tutti, mia madre è un
esempio di anticonformismo e di liberazione: lei è davvero affrancata dagli
stereotipi e dai bisogni indotti della società massificata. Per conquistare
obiettivi importanti e sicuramente oggi irrinunciabili siamo stati costretti ad
abdicare alla nostra integrità.
Noi abbiamo perso la ” verginità” non lei».
Emanuele Boffi
TEMPI 7 febbraio 2020
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