L’INVERSIONE DELLA RAPPRESENTANZA
POLITICA
Diradatosi temporaneamente lo smog
elettorale di gennaio, il paesaggio socio-culturale si presenta alla
comprensione politica più nitido di prima. Ciò che emerge è che la società
emiliano-romagnola è… complessa! Ma va!!! In effetti, rispetto all’accesso a
beni, servizi, opportunità offerti dallo Stato e dal mercato, si vedono differenze e ineguaglianze tra la
metropoli e le province, tra le città-capoluogo e i paesi, tra i centri urbani
e il contado, tra la pianura e la montagna, tra i centri e le periferie, tra
gli istruiti e meno istruiti, tra gli occupati e disoccupati, tra i giovani e
anziani, tra gli indigeni e gli immigrati: un’articolazione sociale tipica di
tutto l’Occidente.
La novità riguarda la
rappresentazione politica di tale complessità. Per quanto concerne la parte
italiana dell’Occidente, una volta vi funzionava una “reductio ad duo”: da una
parte l’anti-comunismo/a-comunismo, dall’altra il pro-comunismo e il
pre-comunismo. Erano due bacini robusti, catafratti da categorie ideologiche,
ma, soprattutto, geo-politiche. Dopo l’89 si sono sbriciolati, le acque si sono
mischiate. Dal 1994, l’anno di Berlusconi, la base sociale della rappresentanza
ha incominciato a modificarsi; dopo la crisi del 2007/2008 il mutamento è
diventato radicale.
Questo ha prodotto un’inversione a 180
gradi della rappresentanza: la destra ha cessato di essere “il partito dei padroni”, come da vulgata,
mentre la sinistra ha
cessato di essere “il partito dei lavoratori”, come da vulgata. E’
diventata il partito dei “ricchi”: gli ZTL, i professionisti, i tecnocrati, gli
istruiti, i ceti medi riflessivi, i detentori di “capitale umano” e di
“capitale semantico” – per quest’ultimo, vedasi alla voce “Sardine”-.
Se Berlusconi era riuscito a conquistare
il voto dei pensionati, che stavano/stanno inchiodati per ore davanti ai Canali
di Mediaset, Salvini e la Meloni attirano ormai il voto degli operai, degli
artigiani, dei “provinciali”, del “contado”, delle periferie. Gli “inclusi”
votano a sinistra, gli “esclusi”, o autopercepiti tali, “la factio
miserorum”, votano a destra. I “salvati” a sinistra, “i
sommersi” o “sommergibili” a destra.
Ciò che gli elettori hanno trovato
naturale è causa di scandalo e di traumi intellettuali nella sinistra più
tradizionale e/o più radicale, interna o esterna al PD. Quella mutazione
genetica che aveva rimproverato a Craxi fin dagli anni ’70, se la trova bell’e
realizzata in casa propria. Quella radicale, poi, ha mostrato di essere la più
irrilevante rispetto al proprio elettorato “di diritto”. Se la sinistra
potesse, farebbe uno scambio di voti con la destra: ridateci i
lavoratori in cambio degli ZTL! Non riesce a perdonarsi per questo
mutamento, soffre di sensi di colpa, rimpiange la perdita della connessione
sentimentale con “i sommergibili”. Poi, si sa, occorre rassegnarsi: dopo tutto,
“suffragium non olet”!
La prima conseguenza dell’inversione
della rappresentanza è che le “regioni rosse” sono diventate contendibili.
Cioè: non ci sono più regioni con colori permanenti. I blocchi
tradizionali si sono sbriciolati, soprattutto nei territori più dinamici
dal punto di vista della produzione, della cultura, dell’istruzione. Gli
elettori scelgono di volta in volta in base all’offerta politico-programmatica
che trovano più convincente. Se i partiti vantano – o lamentano di non avere
più – una connessione sentimentale con gli elettori, da tempo gli elettori si
sono disconnessi unilateralmente. I legami sentimentali sono a tempo breve.
LE DUE
LEZIONI DELLA VIA EMILIANO-ROMAGNOLA
Perché, dunque, nella contesa
emiliano-romagnola, ha ri-vinto Bonaccini? Perché
si è presentato nel nome del “buon governo”, sia di quello passato sia di
quello futuro. Né più né meno. Al punto che persino quattromila voti leghisti
si sono “disgiunti” a suo favore. “Buon governo” significa capacità della
Regione, nel confine delle proprie competenze, di offrire servizi di qualità
alla persona e di creare condizioni favorevoli alla produzione e al lavoro.
Ne viene, in
primo luogo, una lezione di sinistra di governo. Bonaccini ha presentato
un’agenda programmatica, che non gli è stata dettata né da Zingaretti né da
Repubblica. Ha proposto un Programma fondamentale, centrato sulla Regione come
motore di sviluppo e come governo locale della globalizzazione. Ai “sommersi”
ha offerto la protezione che consiste nel miglioramento dei servizi, il primo
dei quali è quello allo sviluppo e al lavoro. Il riformismo è questo. Non
ci sono scorciatoie: le diseguaglianze e le differenze sono un prodotto
strutturale dello sviluppo ineguale a livello mondiale e locale. Si possono/si
devono correggere, si possono persino abolire in un punto del sistema, ma per
vederle riapparire in un altro, in un processo infinito. Per la sinistra
tradizionale “la Società degli Uguali” di Babeuf continua a restare l’ideale
regolativo. Eppure, ogni tentativo di realizzarla si è rovesciato nell’opposto
di una società totalitaria e diseguale.
Più feconda, nell’epoca della
globalizzazione l’idea della “Società dei Liberi e Forti” di Sturzo o quello di
Roosevelt delle “Quattro libertà”. E’ fondata sul lavoro e sullo sviluppo
umano.
La seconda
lezione: le urne confermano che il populismo anti-elitista,
di marca leghista, e il populismo anti-politico e antipartitico, questa volta
astensionista e di marca pentastellata, restano una presenza forte e
durevole nel Paese, almeno fino a quando non saranno rimosse le cause che
lo hanno generato. La prima delle quali è
che la politica “romana” da decenni non è più capace di creare le condizioni
per lo sviluppo del Paese: amministra l’esistente, indebita le generazioni
future, non risolve problemi, non fa riforme, non governa il Paese. E’
impastoiata in un sistema sociale e culturale corporativo – corporazione
(casta?) tra le corporazioni -, in un intrico di mala amministrazione,
sindacalismo corporativo, corruzione e illegalità. La poltiglia programmatica
del governo Conte, un mix di protezione, assistenzialismo e di debito pubblico,
senza politiche del lavoro e dello sviluppo, non porterà lontano né il governo
né il Paese.
Ma la “causa
causarum” è quest’altra: finché i partiti perpetuano il vecchio modello istituzionale, nel quale
essi sono l’Alfa e l’Omega dell’attività politica, blocchi opachi di
autocooptazione oligarchica, non resi trasparenti da nessuna legge; nel quale
le istituzioni sono partitizzate… , i cittadini continueranno a sentire la
politica come attività, estranea, escludente, proprietà privata di un’élite. Se
le istituzioni della democrazia liberale non sono capaci di spianare la strada
alla partecipazione dei cittadini alle decisioni e al governo del Paese, la
crisi della politica è destinata a durare, manifestandosi come “collera degli esclusi” con tendenze di volta in volta al
plebiscitarismo, al linciaggio mediatico del politico di turno, all’assenza silenziosa
dalla scena pubblica ed elettorale. L’annuncio di voler aprire un partito verso
l’esterno, senza aprire la sua scatola nera, continua a restare una fake news. Il ritorno al sistema elettorale
proporzionale, con l’ingovernabilità come fatale corollario, renderà ancora più
cogenti le motivazioni del populismo. Semmai dovesse profilarsi un nuovo
bipolarismo, il sistema proporzionale lo strozzerebbe nella culla.
Così, il Paese continua a camminare sul
suo Sunset Boulevard… Si deve solo incessantemente denunciare, a futura
memoria, che il declino di un Paese non è una fatalità storica, è una scelta
quotidiana dei cittadini e dei loro rappresentanti. Non si danno alibi.
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