Così si sfrutta la povertà delle donne per
trasformarle in madri surrogate
Lo scenario è di quelli che qualcuno sogna anche qui. Cliniche della
fertilità dove madri surrogate portano a termine gravidanze per conto terzi,
con tutti che vissero felici e contenti: madre in affitto remunerata, bebé
consegnato chiavi in mano, coppia committente (o singolo committente) che
ottiene un figlio non ottenibile in altri modi. Poi succede, come è accaduto il
16 maggio in una clinica indiana specializzata in questo genere di servizi, che
una madre-incubatrice muoia. Aveva trent’anni, si chiamava Premila Vaghela,
aveva affittato l’utero per poter mantenere i propri due figli (le donne già
madri sono la scelta “elettiva” per questo tipo di pratiche: sanno a che cosa
vanno incontro) ed è morta all'ottavo mese di gravidanza a causa di
“complicazioni inspiegabili”, che si sono manifestate con convulsioni e
collasso proprio mentre la donna si sottoponeva a una visita di routine nella
clinica della fertilità che l’aveva ingaggiata, il Women Hospital Pulse, con
sede ad Ahmedabad, nello stato del Gujarat.
Il Times of India racconta che i medici della
clinica sono riusciti a praticarle un cesareo di emergenza, prima di mandarla a
morire in un altro ospedale. Premila Vaghela ha quindi “portato a termine il
proprio lavoro”, commenta il quotidiano, e il bambino è stato consegnato alla
donna americana che l’aveva commissionato. Il Women Hospital Pulse – una
moderna struttura che opera in collegamento con un’analoga e importante clinica
australiana della fertilità – garantisce prestazioni eccellenti e standard
internazionali di assistenza. La morte della signora Vaghela è stata già
catalogata come fatalità; nel contratto che aveva firmato, del resto, sollevava
committenti e clinica da ogni responsabilità, se non per atti di negligenza
difficilmente provabili. Tutti molto dispiaciuti ma che ci si può fare, incerti
del mestiere di madre surrogata. L’infamia, infatti, è nel manico. E’ nell’idea
che la povertà di una donna possa essere sfruttata in pratiche di moderna
schiavitù, giustificata con l’altrui “diritto” a un figlio.
© - FOGLIO QUOTIDIANO
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