BOLOGNA - Il
destino ha reso Maurizio Cevenini (un uomo perbene, un politico popolare) un
eroe tragico. E se questo è successo è perché noi tutti che lo abbiamo
conosciuto o che restiamo sgomenti per questo suicidio, diventiamo più
coscienti non tanto di cosa è la morte, ma di cosa è la vita. Il silenzio dinanzi
a fatti del genere non deve essere un restare vuoti di senso e di domande.
Sarebbe troppo comodo non costringerci a un lavoro su noi stessi.
da sin: Monari, Foschini, Menarini, Cevenini |
E ai poeti
tocca di parlare, tocca il compito di guardare dentro al
silenzio di tanti e al voltar la faccia di tanti. Perché dire: «Eh, la
depressione» è solo un modo per chiudere il problema. E la depressione è
effetto di altre cose, non una causa. E dunque il destino ha fatto del Cev un
personaggio tragico, come un personaggio di Omero. Proprio lui che era affabile,
disponibile, alla mano. Uno apparentemente poco «eroico».
Ora nel suo
nome ci appare una questione gigantesca. Voltar la
faccia significa rifiutare di paragonarsi con la grandezza, scegliere di non
stare all’altezza del fenomeno uomo. E a furia di rifiutare il paragone con la
grandezza si diventa capaci solo di cose piccole, e di piccinerie. La vicenda
recente di Maurizio Cevenini è stata come di eroe omerico: il fato o il caso, o
che cosa, l’ha bloccato sulla soglia di una grande impresa. Sarebbe stato
sindaco. Ma qualcosa, cosa, qualcuno, chi(?) lo ha bloccato a un passo. Poi una
storia faticosa, anche di incomprensioni con i compagni, e altre cose custodite
nell’unico luogo adeguato: il suo cuore e quello di chi lo ha amato da vicino.
E infine il volo come per uscire da un incubo. E il problema è tremendamente
questo: cos’ha guidato il destino di quest’uomo e come egli ha guardato e
litigato, discusso o abbracciato il suo destino? Problema del Cev, di tutti.
Proprio lui,
il politico interessato ai problemi della gente, ci fa interessare al problema
dei problemi: che nome diamo al nostro destino? Il
mondo è da dividere in fortunati e sfortunati? In depressi e allegri? Ci sono
persone colpite da sventure più grandi di quelle che hanno colpito il nostro
Cev. E non se ne volano via. Ci sono persone che si disperano per molto meno di
quello che aveva colpito lui. In questo momento non bello della nostra società,
da questo gesto ci arriva un invito estremo.
Non voltate
la faccia. Ognuno al suo lavoro, come diceva Eliot. Da tale lavoro nasce l’energia della costruzione, della ripresa anche
nella crisi più dura. Da questo lavoro dipende se lasciamo dietro di noi una
rabbia contro il destino, una sgomenta paralisi o una umile familiarità, che si
fa grido e preghiera. Un uomo duemila anni fa ha detto del destino: chiamatelo
Padre Nostro. Ha sfidato la nostra intelligenza e il nostro cuore, mostrando i
segni di quella paternità e patendo lo scandalo apparentemente insensato del
dolore in croce. Li vediamo quei segni? Li aveva visti e riconosciuti il Cev?
La croce è muta tra noi? Chi dice Padre Nostro sa che cosa rivoluzionaria,
enorme, dolcissima e necessaria sta dicendo?
Davide Rondoni10 maggio 2012 dal Corriere Bologna
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