Per rimanere liberi bisogna,
a un bel momento,
prendere senza esitare la via della prigione”
Autore: Buggio, Nerella
Curatore:
Mangiarotti, Don
Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it
mercoledì 26 settembre 2012
Scriveva così, Giovannino Guareschi, condannato per diffamazione a mezzo stampa
Correva
l’anno 1954, era il 26 maggio quando Giovannino Guareschi direttore de Il
Candido, prese la via del carcere. Condannato per la diffamazione di Alcide De
Gasperi a mezzo stampa.
Correva l’anno 2007, in febbraio su Libero furono pubblicati un articolo firmato Andrea Monticone e un commento a firma Dreyfus. Si parlava senza citarlo per nome del giudice tutelare Giuseppe Cocilovo, riguardo alla storia di una tredicenne che il Tribunale di Torino aveva autorizzato ad abortire e che in seguito all’aborto era finita in clinica psichiatrica.
Nel commento "Dreyfus", scriveva: “se ci fosse la pena di morte e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo, il giudice”.
Mano pesante? Forse.
Chiedetelo alla tredicenne che paga sulla sua pelle le conseguenze di un aborto.
I genitori e il medico non se la sono presa, ma il giudice si, anche se il suo nome non era menzionato.
In questo nostro strano Paese, si può usare la mano pesante con tutti, insultare il Papa, intercettare il Capo di Stato, fare film con scene di sesso blasfemo, ma contraddire i giudici può essere pericoloso.
Ed è così che oggi la Cassazione ha reso definitiva la condanna a 14 mesi di reclusione senza condizionale per diffamazione ad Alessandro Sallusti, oggi direttore de 'Il Giornale', oltre al pagamento delle spese processuali.
Il legale del giudice nella sua arringa ha evidenziato che "la libertà di espressione non è assoluta ma ci deve essere un bilanciamento".
In primo grado Sallusti era stato condannato a una pena pecuniaria, ma il giudice ha fatto ricorso e la Corte d'Appello di Milano che, contrariamente alla decisione di primo grado del 2011, ha ritenuto di non convertire in multa la condanna inflitta a Sallusti.
Scriveva Sallusti: "Siamo di fronte a un problema reale, siamo l'unico paese occidentale in cui uno può andare in carcere per delle idee. Non parliamo di diffamazione, l'articolo incriminato propone una tesi molto forte che può offendere qualcuno, ma è una tesi, è un ragionamento politico e culturale. Siamo nel campo dell'opinione e non si può andare in carcere per un'opinione”.
E invece sì.
Correva l’anno 2007, in febbraio su Libero furono pubblicati un articolo firmato Andrea Monticone e un commento a firma Dreyfus. Si parlava senza citarlo per nome del giudice tutelare Giuseppe Cocilovo, riguardo alla storia di una tredicenne che il Tribunale di Torino aveva autorizzato ad abortire e che in seguito all’aborto era finita in clinica psichiatrica.
Nel commento "Dreyfus", scriveva: “se ci fosse la pena di morte e se mai fosse applicabile in una circostanza, questo sarebbe il caso. Per i genitori, il ginecologo, il giudice”.
Mano pesante? Forse.
Chiedetelo alla tredicenne che paga sulla sua pelle le conseguenze di un aborto.
I genitori e il medico non se la sono presa, ma il giudice si, anche se il suo nome non era menzionato.
In questo nostro strano Paese, si può usare la mano pesante con tutti, insultare il Papa, intercettare il Capo di Stato, fare film con scene di sesso blasfemo, ma contraddire i giudici può essere pericoloso.
Ed è così che oggi la Cassazione ha reso definitiva la condanna a 14 mesi di reclusione senza condizionale per diffamazione ad Alessandro Sallusti, oggi direttore de 'Il Giornale', oltre al pagamento delle spese processuali.
Il legale del giudice nella sua arringa ha evidenziato che "la libertà di espressione non è assoluta ma ci deve essere un bilanciamento".
In primo grado Sallusti era stato condannato a una pena pecuniaria, ma il giudice ha fatto ricorso e la Corte d'Appello di Milano che, contrariamente alla decisione di primo grado del 2011, ha ritenuto di non convertire in multa la condanna inflitta a Sallusti.
Scriveva Sallusti: "Siamo di fronte a un problema reale, siamo l'unico paese occidentale in cui uno può andare in carcere per delle idee. Non parliamo di diffamazione, l'articolo incriminato propone una tesi molto forte che può offendere qualcuno, ma è una tesi, è un ragionamento politico e culturale. Siamo nel campo dell'opinione e non si può andare in carcere per un'opinione”.
E invece sì.