CHE COS'E' IL DIALOGO
Amicone: Nel 1996, in
un’intervista alla Stampa avvertiva che la situazione del
paese «è grave per lo smarrimento totale di un punto di riferimento naturale
oggettivo per la coscienza del popolo, per cui il popolo stesso venga spinto a
ricercare le cause reali del malessere e a salvarsi così dagli idoli». Qual è
la sua percezione oggi, due anni dopo?
Giussani: Lo definirei un momento drammatico e bello, perché la fragile creatura, l’io umano, torna ad essere l’unico punto da cui si può ripartire. L’io, infatti, è quel livello della natura nel quale la natura diviene cosciente di se stessa. Per questo l’epoca che più di ogni altra sembra definita da una trascuratezza e da una dimenticanza di che cosa sia la natura elementare dell’uomo e, dall’altra parte, da una pretesa dello Stato di stabilire limiti e possibilità della speranza terrena per l’uomo, proprio questa è l’epoca della libertà. Da dove ripartire, infatti, per ricostruire quelle che Eliot chiamerebbe “città distrutte”? Dalla fragile creatura in quanto diviene generatrice di un popolo, e quindi storia. E l’uomo è innanzitutto libertà; il Mistero stesso lo ha creato libero.
Infatti solo la libertà riconosciuta come dipendenza, come rapporto diretto
col Mistero, è inattaccabile, cioè inassimilabile, da qualsiasi potere. Per
questo auspico il moltiplicarsi di incontri tra personalità che conservano un
impeto autenticamente umano, cioè proporzionato alla loro natura. Personalità
la cui identità sia chiaramente riconosciuta e comunicata possono insieme
collaborare in vista di un bene maggiore: ecumenismo e pace essendo i termini
ultimi di una convivenza che si dica umana, veramente rispettosa del destino e
del tentativo di ciascuno. Diversamente, la convinzione che per assicurare un
pluralismo nella società si debba mettere tra parentesi la propria identità non
ha speranza di riuscita. Questa, piuttosto, genera una intolleranza
indifferente al destino dell’altro, che sfocia inevitabilmente, presto o tardi,
in violenza.
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