"perciò io non terrò chiusa la bocca, parlerò nell'angoscia del mio
spirito, mi lamenterò nell'amarezza del mio cuore" (Giobbe 7,11)
A volte accadono piccoli fatti che sono come lampi di luce nel buio. E
folgorano i cuori immersi nella nebbia e i tempi cupi. E fanno capire e vedere
la realtà assai più e meglio di tanti discorsi dei cosiddetti intellettuali o
di coloro che dovrebbero illuminare il mondo.
E’ accaduto a Bologna
Mercoledì scorso, dopo una lunga malattia, è morto a 59 anni Roberto
“Freak” Antoni, storico leader degli Skiantos, un gruppo musicale che viene
classificato come “rock demenziale” e che nacque nella turbolenta Bologna del
’77, quella degli “indiani metropolitani” e di un’Italia che poi affogò negli
anni di piombo.
Freak Antoni, un artista divertente e poliedrico, rappresenta il rivolo
creativo e surreale di quella stagione che a Bologna mise con le spalle al muro
“da sinistra” il monolitico Pci di Zangheri e a Roma la Cgil di Lama. Freak era
così ironico, dissacrante, cinico, poetico che non è possibile inquadrarlo
negli schemi.
D’altra parte quella rivolta giovanile dava voce alla delusione delle
rivoluzioni mancate, al disgusto per gli apparati e finiva per esprimere sogni
e utopie impolitiche, un grido di “felicità subito” che aveva natura
inconsapevolmente religiosa.
Tornò in quei giorni un motto del ’68 francese ricavato dal “Caligola” di
Albert Camus. Diceva: “Soyez réalistes, demandez l’impossibile”. Era perfetto
anche per la Bologna del ’77. Ma era lo slogan meno politico e più
religioso che si potesse coniare.
Infatti era stato un grande padre di cuori giovani, don Luigi Giussani a
riprendere e valorizzare quelle parole di Camus: “Non è realistico che l’uomo
viva senza agognare l’impossibile, senza questa apertura all’impossibile, senza
nesso con l’oltre: qualsiasi confine raggiunga. Il Caligola di Camus – scrisse
Giussani – parla di ‘luna’ o ‘felicità’ o ‘immortalità’. L’insaziabile non può
che derivare da un inestinguibile. Un Destino di immortalità si segnala
nell’umana esperienza di insaziabilità”.
A Bologna è rimasto qualcosa di quella ventata creativa del ‘77. Io stesso
ho letto a volte, qua e là, sui muri, delle scritte che mi ricordavano “Freak
Antoni”.
Vicino alla chiesa dei Servi – e a Nomisma – campeggiava un versetto
biblico: “l’abisso chiama l’abisso”. E più in là, su un muro dell’Università,
un memorabile: “Basta fatti, vogliamo parole”. Che – a ben pensarci – è
geniale.
La morte prematura di Freak Antoni naturalmente ha richiamato a Bologna
tanti amici e colleghi. Venerdì scorso, quando il Comune ha allestito una
camera ardente per rendergli omaggio, nella sala Tassinari, a Palazzo
D’Accursio, si sono visti molti personaggi noti dello spettacolo: c’erano Elio
e Rocco Tanica delle “Storie Tese”, Luca Carboni, Samuele Bersani, Gaetano
Curreri, Andrea Mingardi, Fabio De Luigi, il comico Vito, Milena Gabanelli e
poi è arrivato il sindaco Virginio Merola.
Il quale ha detto alcune parole di commemorazione, in quell’atmosfera
surreale e obiettivamente disperata, tipica di queste “camere ardenti”, tra
volti tristi e straniti. Subito dopo si è fatta avanti una ragazza, una giovane
studentessa di liceo.
Era Margherita, la figlia di “Freak”. Con dolcezza e fermezza ha detto
alcune cose che hanno fatto sentire a tutti un brivido.
Un brivido di verità profonde che tutti conoscono in fondo al cuore, ma che
tutti anche hanno rimosso e nascosto. Pure a se stessi.
La ragazza ha ringraziato i presenti, ha ricordato come suo padre vivesse
per quel suo lavoro, per il palco, per i concerti che in tanti giorni di festa
lo hanno strappato alla famiglia.
Margherita ha confessato di aver sofferto questa sua assenza, ma “adesso
forse ho capito. Non so” ha detto guardando quei volti “se vi è mai capitato di
sentirvi tristi. Ma tristi tristi, tanto tristi da chiedervi qual è il senso
della vita, il perché delle cose. A me a volte capita. A mio padre capitava
sempre. Siete tristi perché vi manca qualcosa, non è così? Altrimenti avreste
l’animo appagato, soddisfatto. Ma che cosa manca?”.
La domanda della ragazza per un istante ha fatto sentire tutti come messi a
nudo. Poi ha proseguito: “Ognuno cerca di colmare il vuoto che sente. Mio padre
lo colmava con la droga, con i concerti, con storie d’amore improponibili. Mio
padre era uno triste, uno senza speranza, un infelice, un irrequieto”.
Erano parole dette con profonda compassione e pietà. Margherita ha poi
raccontato di aver trovato, l’altro giorno, nel portafoglio del padre, un
biglietto dove aveva annotato questa frase: “perciò io non terrò la bocca
chiusa, parlerò nell’angoscia del mio spirito, mi lamenterò nell’amarezza del
mio cuore”.
Era una frase della Bibbia, del libro di Giobbe. Chissà quando e come Freak
Antoni l’aveva sentita o letta e se l’era annotata, perché di certo la sentiva
sua, perché esprimeva il suo dolore, la sua solitudine, le sue domande e il suo
grido.
Infatti Margherita l’ha commentata così: “mio padre era un grande perché
gridava, perché non si accontentava, perché il suo desiderio di felicità era
più grande di qualsiasi concerto, droga o storia d’amore”.
Così, con una grazia che incantava e una pietà commossa, la giovane figlia
ha descritto il senso religioso di questo padre artista irrequieto e
scapigliato. E ha colto più e meglio di chiunque altro il suo genio. E il suo
dolore.
Ricordando una delle sue memorabili battute (“Dio ci deve delle
spiegazioni”) Margherita ha concluso con la speranza che davvero “lassù gliele
dia”.
Poi, in tutta semplicità, a quella platea improbabile e sbigottita ha detto
che voleva dire una preghiera per suo padre. E chi voleva poteva unirsi a lei.
Ha recitato con alcuni amici l’Eterno riposo e un’Ave Maria e in quel momento
una Misericordia infinita è scesa su tutti, in quella stanza, come un immenso e
bellissimo panorama pieno di azzurro.
E come sono sembrate goffe e ridicole le chiacchiere di certi intellettuali
e di certi notabili dell’industria sui giovani di oggi.
Se questo Paese ha una speranza, bisogna riconoscere che questa speranza ha
il volto di Margherita e dei ragazzi e delle ragazze come lei. Che ci sono e
sono molti più di quanto si immagini.
Nei loro volti s’intravede una speranza, una certezza, una pietà che oggi
sembrano impossibili. Come quella pace di Margherita davanti al dolore della
morte. Talora l’impossibile per grazia accade.
Antonio Socci
18 febbraio 2014
Facebook: “Antonio Socci pagina ufficiale”
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