Quand'ero piccolo passavo ore ad osservare le formiche
che abitavano l'orto dei miei nonni. Accadeva talvolta che due formicai vicini
tra loro entrassero in guerra. Allora, in breve tempo, tutto il terreno tra i
territori dei due contendenti diventava nero di insetti che si azzannavano e
mutilavano uno con l'altro. Poi uno dei due eserciti prevaleva, e le truppe
vittoriose entravano nelle gallerie del nemico.
Cosa avveniva dopo non lo so con certezza, ma posso
immaginarlo: perché il formicaio conquistato cessava di esistere, con tutte le
sue larve, le sue operaie, la sua regina.
Il massacro vero avveniva sottoterra. Le zolle ricoperte
dei cadaveri dei vinti non erano che la superficie: la parte visibile di uno
sterminio molto più profondo.
Gli esseri umani non sono formiche. Non so se un
imenottero possa provare rimorso dall'avere fatto a pezzi un avversario: ne
dubito molto. Gli uomini, invece, hanno qualcosa che li agita dentro. Qualcosa
che è connesso inestricabilmente con l'essere uomini.
L'uomo è quel livello della natura che si domanda quale
sia il senso del vivere. E quindi del morire. E quindi dell'uccidere.
Il delitto di Caino è sì di avere ammazzato suo fratello,
ma tanto più quello di non essersene addossato la colpa. Di averlo rinnegato,
di avere rinnegato il suo stesso delitto, chiamandosi fuori dall'unione con gli
altri uomini. Sono forse io il custode di mio fratello? Sì, lo saresti dovuto
essere.
Fino dai tempi più antichi l'umanità si è comportata come
le formiche. Nella storia di tutti i grandi imperi del passato lo sterminio dei
popoli vicini è narrato con orgoglio. I grandi conquistatori elencano le tribù
da loro annientate. Annientate, fino all'ultimo uomo, donna, bambino. Nei fregi
di Sargon e nell'Iliade, nei manoscritti cinesi e nei bassorilievi aztechi i
conquistatori camminano sui corpi dei nemici.
Eppure, al di là del massacro, un fremito segreto ha
sempre attraversato il guerriero. Quelli che sto uccidendo sono uguali a me.
Queste donne potrebbero essere mia madre, mia moglie, le mie figlie. Questi
bambini potrebbero essere i miei. Quello che uccido, mio fratello.
Ma tutto questo era inespresso. Cancellato dal fatto che
non erano veramente i propri figli, coloro che si uccidevano. Ma i figli di un
altro formicaio, da eliminare per fare trionfare il proprio.
In un certo momento della storia, tutto è cambiato.
Qualcuno ha osato affermare una verità semplice e sconvolgente, che mai nessuno
aveva osato pronunciare prima, portandola alle sue estreme conseguenze.
Che colui che stai uccidendo è davvero tuo fratello. Sono
i figli di tuo fratello che stai sterminando, membri della tua famiglia, perché
la tua famiglia comprende tutti gli uomini. Figli dello stesso Padre.
E' curioso che nessuno sembri accorgersene. Che sia dato
per scontato ciò che non lo è affatto. Come, nel giro di pochi secoli, lo
sterminio di un intero popolo sia passato dall'essere la triste necessità
storica degli imperi in espansione ad un delitto inescusabile. Nessun generale
romano, nessun capo di orda mongola, nessun imperatore cinese o inca si è mai
trovato nella necessità di giustificare la completa distruzione di una città o
una nazione. Perché era un mondo che non aveva il cristianesimo; perché nessuno
aveva detto loro che stavano uccidendo fratelli.
Adesso lo sappiamo, o dovremmo saperlo. L'orgoglio del
massacratore è diventato una colpa. Se qualcuno arriva a sterminare un popolo
lo fa contro questa nuova consapevolezza. E lo sterminio, il genocidio come
qualcuno è arrivato a chiamarlo, è negato da quelli stessi che lo praticano.
Nascosto nelle gallerie più profonde della storia. Dov'è tuo fratello, Caino? E
che ne so, non sono il suo custode.
Il genocidio, la cosciente distruzione di una stirpe, può
avvenire solo dove si rifiuta consciamente quell'appartenenza al Padre comune.
Vandea, Armenia, Germania. Quando l'odio, quando il proprio formicaio è più
importante delle altre formiche.
Non c'è altra ragione per non vantarsene, per vergognarsene - se di vergogna si può parlare - non c'è altra ragione per nasconderlo se non questa.
Il riconoscere la vera rivoluzione che ha silenziosamente
cambiato il mondo, la buona novella di un conquistatore che ha trionfato
facendosi ammazzare.
Perché non c'è altro che possa negare la logica della formica.
Antonio\Berlicche
Samizdatonline
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