Vergognosi attacchi
al giudice che applica la legge
di Riccardo Cascioli
Il vergognoso linciaggio mediatico promosso dalle
organizzazioni Lgbt e ampiamente sostenuto ieri dal sito del quotidiano Repubblica nei confronti del giudice del Consiglio di Stato
Carlo Deodato, è un segnale chiaro del clima di intolleranza da una parte e di
conformismo culturale dall’altra che ormai domina il nostro Paese, e non solo.
Qual è la colpa di Deodato, ovvero del relatore della
sentenza del Consiglio di Stato contro la trascrizione delle nozze gay? Quella
di essere un cattolico che ha manifestato opinioni a difesa della famiglia
naturale. Sono andati a riprendere vecchi tweet che rilanciavano immagini delle
Sentinelle in piedi (peraltro ritwittava la Nuova Bussola Quotidiana)
per urlare l’indegnità del giudice e chiedere che la sentenza venga
annullata (così sostiene ad esempio Franco Grillini, storico leader del
movimento gay).
Questi signori fanno finta di non sapere che la sentenza è stata
formulata da cinque giudici, non da uno solo, e dimenticano la loro contiguità
con quella cricca di magistrati che in questi anni ha violentato il nostro
sistema legislativo con sentenze creative contro la famiglia e la vita.
È un mondo rovesciato: il giudice che applica la
legge viene aggredito e trattato come il peggiore dei criminali, e il giudice
“creativo” – leggi: che viola le norme per legittimare ciò che alcune lobby
vogliono – viene ovviamente esaltato. Già questo la dice lunga sul clima che si
respira in Italia, c’è una cappa totalitaria che ci riporta alle atmosfere
degli anni ’70, quando il pensiero unico si diffondeva con la forza e i grandi
giornali, con i loro intellettuali in testa, si mettevano al servizio di
un'ideologia assassina. Non per niente Repubblica ha dato massimo risalto
e si è unita agli attacchi contro il giudice Deodato. Seguita a ruota da Corriere,
Stampa e così via: tutti a far da amplificatori all’ideologia che
sembra aver vinto.
Ma nella critica a Deodato va colto soprattutto un
aspetto: il pregiudizio per cui essere cattolici è
“un di meno”, non dà diritto a una piena cittadinanza, sicuramente rende
incapaci di giudicare. È questa la vera discriminazione: un cattolico, per
definizione, non può dire nulla nella gestione della cosa pubblica, secondo Repubblica &
co. Guai se un cattolico pretende che la fede sia criterio di giudizio per
tutto, anche per i problemi del proprio Paese o del mondo intero. Non gli si
riconosce il diritto di esistere.
Non stupisce: Repubblica – ma anche i suoi colleghi milanese e torinese –
persegue la rovina della Chiesa cattolica, l’eliminazione di ogni traccia del
cristianesimo nella società; vogliono l’annientamento della Chiesa, la sua
riduzione a insignificanza. E guarda caso sono gli stessi quotidiani che hanno
seguito con grande attenzione il Sinodo, facendo un tifo sfegatato per una
parte, fino a falsificarne l'esito. Non è schizofrenia ma coerenza.
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