domenica 8 settembre 2019

CARD. SARAH E IL SINODO PER L’AMAZZONIA


“Se il Sinodo per l’Amazzonia decidesse l’ordinazione dei viri probati, la situazione sarebbe estremamente grave”

Il cardinale africano Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino, ha scritto nel suo ultimo libro (Le soir approche et déjà le jour baisse, -“È quasi sera e il giorno è quasi finito”) che se il prossimo Sinodo amazzonico consentisse l’ordinazione sacerdotale degli uomini sposati e creasse “ministeri per le donne e altre incongruenze simili”, la situazione sarebbe “estremamente grave” a causa della rottura dei padri sinodali con l’insegnamento e la tradizione cattolica. 
Ecco alcuni passi del libro.
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Noto con sgomento che alcune persone vorrebbero creare un nuovo sacerdozio a misura d’uomo. Se l’Amazzonia manca di sacerdoti, sono sicuro che non risolveremo la situazione ordinando uomini sposati, viri probati, che non sono stati chiamati da Dio al sacerdozio, ma alla vita matrimoniale perché manifestino la prefigurazione dell’Unione di Cristo e della Chiesa (Ef 5,32). In un impulso missionario, se ogni diocesi dell’America Latina offrisse generosamente un sacerdote per l’Amazzonia, questa regione non sarebbe trattata con tanto disprezzo e umiliazione attraverso la creazione di sacerdoti sposati, come se Dio non fosse capace di suscitare in questa parte del mondo giovani generosi che sono disposti a dare totalmente il loro corpo e il loro cuore, tutta la loro capacità di amare, e tutto il loro essere nel celibato consacrato.

Ho sentito dire che, durante i suoi 500 anni di esistenza, la Chiesa latinoamericana ha sempre considerato le popolazioni indigene incapaci di vivere nel celibato. Il risultato di questo pregiudizio è visibile: sono pochissimi i vescovi e i sacerdoti indigeni, anche se le cose cominciano a cambiare.
Se per mancanza di fede in Dio e per effetto della miopia pastorale il Sinodo per l’Amazzonia decidesse l’ordinazione dei viri probati, la realizzazione di ministeri per le donne e altre incongruenze del genere, la situazione sarebbe estremamente grave. Le sue decisioni sarebbero ratificate con il pretesto che sono l’emanazione della volontà dei padri sinodali?  Lo Spirito soffia dove vuole, certo, ma non si contraddice e non crea confusione e disordine. È lo spirito di saggezza. Sulla questione del celibato, [lo Spirito] ha già parlato attraverso i concili e i pontefici romani.

Se il Sinodo per l’Amazzonia prendesse decisioni in questa direzione, romperebbe definitivamente con la tradizione della Chiesa latina. Chi può onestamente dire che un simile esperimento, con il rischio di adulterare la natura del sacerdozio di Cristo, rimarrebbe limitato all’Amazzonia? Certo, l’idea è quella di affrontare le emergenze e le necessità. Ma la necessità non è Dio!  La crisi attuale è paragonabile nella sua gravità alla grande emorragia degli anni Settanta, durante i quali migliaia di sacerdoti hanno lasciato il sacerdozio. Molti di questi uomini non credevano più. Ma noi crediamo ancora nella grazia del sacerdozio?
Voglio lanciare un appello ai miei fratelli vescovi: crediamo nell’onnipotenza della grazia di Dio? Crediamo che Dio chiama operai alla sua vigna o vogliamo sostituirlo perché siamo convinti che ci ha abbandonato? Peggio ancora, siamo pronti ad abbandonare il tesoro del celibato sacerdotale con il pretesto che non crediamo più che [Dio] ci dà l’opportunità di viverlo pienamente oggi?
(…)
Voglio anche sottolineare che l’ordinazione degli uomini sposati è tutt’altro che una soluzione alla mancanza di vocazioni. Anche i protestanti, che accettano i pastori sposati, soffrono di una carenza di uomini che si donano a Dio. Inoltre, sono convinto che se in alcune chiese orientali la presenza di uomini ordinati sposati è sopportata dai fedeli, è perché è integrata dalla massiccia presenza di monaci. Il popolo di Dio sa intuitivamente di aver bisogno di uomini che si donano radicalmente.

Sarebbe un segno di disprezzo per gli abitanti dell’Amazzonia offrire loro sacerdoti di seconda classe. So che alcuni teologi, come padre Lobinger, stanno seriamente pensando di creare due classi di sacerdoti: una sarebbe costituita da uomini sposati che darebbero solo i sacramenti, mentre l’altra sarebbe costituita da sacerdoti a pieno titolo che esercitano i tre uffici sacerdotali: santificare, predicare e governare.

Questa proposta è teologicamente assurda. Essa implica una concezione funzionalista del sacerdozio, in quanto considera la separazione dell’esercizio dei tre uffici sacerdotali, i tria munera, adottando così l’approccio opposto ai grandi insegnamenti del Concilio Vaticano II che ne sanciscono l’unità radicale. Non capisco come ci si possa impegnare in tali regressioni teologiche. Credo che, con il pretesto della preoccupazione pastorale per i Paesi poveri in missione che mancano di sacerdoti, alcuni teologi stanno cercando di sperimentare le loro stravaganti e pericolose teorie. Fondamentalmente, disprezzano quei popoli. Un popolo recentemente evangelizzato ha bisogno di vedere la verità di tutto il sacerdozio, non una pallida imitazione di ciò che significa essere sacerdote di Gesù Cristo. Non disprezziamo i poveri!

La gente dell’Amazzonia ha un profondo bisogno di sacerdoti che non si limitano a svolgere il proprio lavoro in orari prestabiliti prima di tornare in famiglia per occuparsi dei propri figli. Ha bisogno di uomini appassionati di Cristo, che ardono del suo fuoco, divorati dallo zelo delle anime. Cosa sarei oggi se i missionari non fossero venuti a vivere e morire nel mio villaggio in Guinea? Avrei voluto fare il sacerdote se si fossero accontentati di ordinare uno degli uomini del villaggio?

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