Lunedì 18 novembre, alle 18
al Cinema Eliseo di Cesena, Marcello Veneziani (filosofo ed editorialista
per Il Tempo, La Verità e Panorama), Paolo Gambi (giornalista
professionista e scrittore) ed Enrico Castagnoli (docente e
consigliere comunale a Cesena per la lista Cambiamo) parleranno di: “Bontà e
Buonismo: contro la deriva del politicamente corretto". Introduce e modera l’avv. Stefano
Spinelli
Ma cos’è il Politically correct? Non è altro che la pretesa di dire agli altri come
devono essere, cosa devono dire, come devono comportarsi. Presuppone dunque un
punto di superiorità di chi giudica.
Il politically
correct è una lente ideologica che
altera la vista di uomini, idee e cose secondo un pregiudizio indiscusso e
indiscutibile, assunto a priori come porta della verità, del bene e del
progresso. Nasce dalla convinzione che tutto ciò che proviene dal passato sia
falso e superato. La realtà, la natura, la famiglia, la storia, la civiltà come
l’avete finora conosciute, vissute e denominate, sono sbagliate, vanno
ridefinite e corrette. Quando ci libereremo da
questa cappa, da questa cupola ideologico-mafiosa?
L’incontro è organizzato dalle Associazioni “Nazione
Futura” “Romagna in opera” “Cattolici nel Centro destra” e “Valori e libertà”.
UN ARTICOLO DI MARCELLO VENEZIANI
Ma quando finirà la dittatura
del politicamente corretto? Passano gli anni, cambiano i
governi, insorgono i popoli. Ma da Hollywood a Sanremo, dalla tv ai premi
letterari, dai fatti di cronaca alla storia adattata al presente, la
dominazione prosegue incurante della vita, della verità e della realtà. Il
copione si ripete, all’infinito.
Serpeggia da tempo la nausea verso quella cappa
asfissiante, a volte la parodia prende il posto del canone. Lo deplorano in
tanti, il politically correct, persino i suoi agenti, quelli che somministrano
ogni giorno i suoi sacramenti; e questo è il segno che invecchia, scricchiola,
si fossilizza. Ma alla fine, la dominazione resta e il vero mistero a questo
punto è l’assenza di alternative: la rabbia c’è ma non ci sono mai opzioni
diverse. Eppure basta cercarle. Nel cinema ad esempio quest’anno sono usciti
almeno tre film meritevoli di Oscar: dall’est è arrivato Cold war,
ma toccava seppur di striscio il tema del comunismo. Dagli States è arrivato il
solito gran film di Clint Eastwood, Il corriere (in
passato Clint era persino premiato, ma ora gli Oscar sono pura catechesi nero-omo-razza).
E in Italia è venuto fuori un gran film di cui abbiamo già scritto, Il
primo Re, sulla fondazione di Roma. Ma gli oscar vanno solo al nero,
razzismo-nazismo-negritudine, più omosex e me-too. E ricadiamo nel politically
correct.
Ma cos’è poi il Politically correct,
proviamo a darne una definizione e un contenuto preciso. Per cominciare, il
politically correct è la pretesa di dire agli altri come devono essere, cosa
devono dire, come devono comportarsi. Presuppone dunque un punto di superiorità
di chi giudica.
Il politically correct è poi una lente
ideologica che altera la vista di uomini, idee e cose secondo un pregiudizio
indiscusso e indiscutibile, assunto a priori come porta della verità, del bene
e del progresso. Nasce dalla convinzione che tutto ciò che proviene dal passato
sia falso e superato. La realtà, la natura, la famiglia, la storia, la civiltà
come l’avete finora conosciute, vissute e denominate, sono sbagliate, vanno
ridefinite e corrette. Così nasce il politically correct, questo busto
ortopedico applicato alla mente e alla vita. Il politicamente corretto è il
moralismo in assenza di morale, il razzismo etico in assenza di etica, il
bigottismo clericale in assenza di religione. Il politically correct è il
rococò della rivoluzione, come la posa residua del caffè. Non riuscendo a
cambiare il mondo, si cambiano le parole. Il linguaggio politicamente corretto
è lessico bollito e condito con la mostarda umanitaria. Inoltre è oicofobia,
dice Roger Scruton, è rifiuto della casa, primato dell’estraneo e dello
straniero sul nostrano e sul connazionale. E, infine, è riduzionismo: la
varietà del mondo e dei suoi problemi è ridotta all’ossessione su due-tre temi.
(...)
Il Politically correct non nasce in un luogo bensì in
un’epoca: nasce sulle ceneri del ’68, diventa il
catechismo adulto di quelli che da ragazzi furono iconoclasti. Dopo aver
processato l’ipocrisia del linguaggio cristiano-borghese e
autoritario-patriottardo, gli ex-sessantottini adottarono quel nuovo lessico
ipocrita e quel galateo manierista. Dal perbenismo al perbuonismo.
Il politically correct nasce quando finisce
l’effetto del marxismo, tramonta l’idea di rivoluzione, si perdono i
riferimenti mondiali del comunismo. Lo spirito liberal e radical rifluiscono
nel codice progressista globale. Si passa dall’Intellettuale Collettivo al
Demente Collettivo, il conformista dai riflessi condizionati; il comunista si
fa luogocomunista, giudica per stereotipi prefabbricati, riscrive la storia, il
pensiero e i sentimenti ad usum cretini. C’è una ricca letteratura che denuncia
il politically correct: l’ultimo è Politicamente corretto di
Eugenio Capozzi (ed. Marsilio), che lo ritiene l’erede di tutti i progressismi.
Per passare la censura del politically correct è necessaria la presenza di
almeno uno o più ingredienti d’obbligo di ogni narrazione, reportage o fiction:
il nero, il migrante, il rom, l’omosessuale, la femminista, il disabile e
l’ebreo. Sempre vittime o eroi, comunque personaggi positivi per definizione in
ogni storia o trama.
La ditta del politicamente corretto fabbrica
pregiudizi seriali, in dosi liofilizzate; la loro applicazione esime dal
ragionare, risparmia la fatica del giudizio critico. E infonde a chi lo usa una
sensazione di benessere etico, una presunzione di superiorità sugli altri.
Quando ci libereremo da questa cappa, da questa cupola ideologico-mafiosa? E
qui il problema si sposta nell’altro campo: l’assenza di alternative, la
mancata elaborazione di strategie, culture e linguaggi, il silenzio e la
rassegnazione.
Dopo il rigetto, urge il progetto.
MV, La Verità 28 febbraio 2019