“Un Partito Cattolico? Operazione dannosa e divisiva”.
Parla il Vescovo di Ventimiglia, Mons. Suetta
"Un partito cattolico deciso a tavolino,
magari da un'élite selezionata, una cosa alla Frankenstein, forzando esperienze
diverse tra loro a stare assieme, non solo naufragherebbe subito, ma sarebbe
dannoso perché divisivo".
Il vescovo di
Ventimiglia-San Remo, mons. Antonio Suetta di partitini cattolici (o di
cattolici, dipende da come vengono definiti), non ne vuole neanche sentire
parlare, dice al Foglio.
"Bisogna evitare ulteriori contrapposizioni, fare oggi un partito
cattolico sarebbe una fatica, un qualcosa di impossibile. Il
contributo della chiesa come istituzione e del credente come singolo deve
essere quello di sviluppare una riflessione sempre più attenta e matura,
ancorata al Vangelo e alla dottrina della chiesa. E magari bisogna prestare
attenzione a situazioni nuove, anche in politica, che dipendono dall'evoluzione
dei nostri tempi".
L'ex presidente della Cei, Camillo Ruini,
nell'intervista di domenica al Corriere della Sera - che non aveva come
obiettivo il Papa, come superficialmente hanno protestato vecchi e nuovi
antagonisti del ruinismo, quanto il disorientamento di una Conferenza
episcopale che non incide più su nulla, come dimostra l'appello alla Consulta
sul fine vita lanciato dal cardinale Bassetti pochi giorni prima della sentenza
già calendarizzata - ha anche parlato di un declino di autorevolezza della
chiesa italiana, incapace di orientare - o quantomeno di indicare la via - al
popolo fedele.
Esagerazioni? "No", dice mons.
Suetta: "E’ vero, la riduzione del peso della chiesa e un fatto evidente.
Ma non bisogna generalizzare. Penso dipenda dai cambiamenti veloci che si
stanno registrando in Italia e nel mondo. Guardo ad esempio alla globalizzazione
e più complessivamente a tutti gli elementi che hanno portato a smobilitare
quello che era un assetto stabile. Chiaramente, se cambiano le condizioni generali,
mutano anche le possibilità di influenzare tali processi. Oggi si hanno nuove
sensibilità in evoluzione che vanno monitorate. Prendiamo l'esasperata laicità
con la quale ci confrontiamo nelle nostre società. E' diventata un'ideologia
che ha sostituito paradossalmente il dogmatismo che si vorrebbe combattere. E' necessario
perciò che sia la chiesa come istituzione sia il cristiano come singolo si
impegnino in un dialogo che non svenda la propria identità".
Il vescovo di
Ventimiglia-San Remo interviene anche sulla diatriba tra accoglienza e immigrazione, su cosa dica e non dica il Vangelo - discussione che sembra
coinvolgere parecchio presuli e intellettuali - ed essendo il capo di una
diocesi di frontiera che con il problema dei migranti ha avuto parecchio a che
fare, ne ha titolo.
Il Vescovo SUETTA fra i migranti a Ventimiglia |
"L'accoglienza
deve per forza guardare all'integrazione. E' necessario guardare sì le persone che arrivano, ma anche le condizioni delle persone che
accolgono. Non si può pensare di gestire il
problema con la stessa velocità che si usa nel dare da mangiare e da
bere. Tutte le diverse parti in causa devono arrivare a elaborare una
strategia. Il grande equivoco, magari scatenato anche per interessi di
bottega, è che non si vuole considerare il problema
nella sua totalità. L'accoglienza è un
imperativo prima di tutto umano. E a questo imperativo bisogna rispondere con
urgenza ed è superfluo dire che se una persona sta affogando in mare va
salvata".
"Diverso però è quando si passa dal singolo caso alla
gestione del fenomeno complesso. E qui serve un'attenzione più approfondita e
serve indagare le cause che sono all'origine di questi fenomeni. Quando si
tratta di guerre, carestie - cioè di tutte le condizioni che portano allo status di
rifugiato - la risposta migliore che abbiamo è quella di favorire i corridoi
umanitari. Poi però- dice mons. Antonio Suetta -vi sono altre situazioni che
non possono essere messe da parte: esiste
il diritto di emigrare ma anche quello di non emigrare. Qui si apre il
capitolo dei migranti economici, che - per quanto riguarda l'Italia e l'Europa
- mi sembra siano prevalenti. Insomma, bisogna riflettere attentamente nel
considerare la totalità del problema, che non ha risposte né facili né immediate".
Ma con Matteo Salvini bisogna dialogare o no? La chiesa
italiana, anche su questo punto, sembra divisa: "Chi ama il dialogo non può pensare di escludere una persona o un
dato fenomeno, dal dialogare" dice il vescovo. "Perche questo
significherebbe adottare una prospettiva diversa cioè la contrapposizione.
Che porta a urti e attriti. E questi non sono mai forieri di un bene per la
società. Bisogna anche stare attenti: dietro a un leader politico c'è una
situazione più complicata, volubile e in evoluzione. Un movimento che va compreso
innanzitutto indagando le istanze che rappresenta, filtrando le intuizioni
buone da quelle meno buone.
Dopotutto, il dialogo è uno strumento, non lo scopo. Ogni
novità ha bisogno di sedimentazione e il dialogo è un esercizio che richiede
rispetto e pazienza".
Matteo Matzuzzi
Il Foglio 6/11/2019
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