venerdì 8 novembre 2019

LA RUINA DELLA CHIESA




“Un Partito Cattolico? Operazione dannosa e divisiva”.
Parla il Vescovo di Ventimiglia, Mons. Suetta

 "Un partito cattolico deciso a ta­volino, magari da un'élite selezionata, una cosa alla Frankenstein, forzando espe­rienze diverse tra loro a stare assieme, non solo naufragherebbe subito, ma sarebbe dannoso perché divisivo".

Il vescovo di Ventimiglia-San Remo, mons. Antonio Suetta di partitini cattolici (o di cattolici, dipende da come vengono definiti), non ne vuole neanche sentire parlare, dice al Fo­glio. "Bisogna evitare ulteriori contrappo­sizioni, fare oggi un partito cattolico sareb­be una fatica, un qualcosa di impossibile.  Il contributo della chiesa come istituzione e del credente come singolo deve essere quello di sviluppare una riflessione sem­pre più attenta e matura, ancorata al Vangelo e alla dottrina della chiesa. E magari bisogna prestare attenzione a situazioni nuove, anche in politica, che dipendono dall'evoluzione dei nostri tempi".
L'ex presidente della Cei, Camillo Ruini, nel­l'intervista di domenica al Corriere della Sera - che non aveva come obiettivo il Pa­pa, come superficialmente hanno prote­stato vecchi e nuovi antagonisti del ruini­smo, quanto il disorientamento di una Conferenza episcopale che non incide più su nulla, come dimostra l'appello alla Con­sulta sul fine vita lanciato dal cardinale Bassetti pochi giorni prima della sentenza già calendarizzata - ha anche parlato di un declino di autorevolezza della chiesa ita­liana, incapace di orientare - o quantome­no di indicare la via - al popolo fedele.

Esagerazioni? "No", dice mons. Suetta: "E’ vero, la riduzione del peso della chiesa e un fatto evidente. Ma non bisogna genera­lizzare. Penso dipenda dai cambiamenti veloci che si stanno registrando in Italia e nel mondo. Guardo ad esempio alla globa­lizzazione e più complessivamente a tutti gli elementi che hanno portato a smobilita­re quello che era un assetto stabile. Chia­ramente, se cambiano le condizioni gene­rali, mutano anche le possibilità di in­fluenzare tali processi. Oggi si hanno nuo­ve sensibilità in evoluzione che vanno monitorate. Prendiamo l'esasperata laicità con la quale ci confrontiamo nelle nostre società. E' diventata un'ideologia che ha sostituito paradossalmente il dogmatismo che si vorrebbe combattere. E' necessario perciò che sia la chiesa come istituzione sia il cristiano come singolo si impegnino in un dialogo che non svenda la propria identità".

Il vescovo di Ventimiglia-San Remo in­terviene anche sulla diatriba tra acco­glienza e immigrazione, su cosa dica e non  dica il Vangelo - discussione che sembra coinvolgere parecchio presuli e intellet­tuali - ed essendo il capo di una diocesi di frontiera che con il problema dei migranti ha avuto parecchio a che fare, ne ha titolo.
Il Vescovo SUETTA fra i migranti a Ventimiglia
"L'accoglienza deve per forza guardare al­l'integrazione. E' necessario guardare sì le persone che arrivano, ma anche le condizioni delle persone che accolgono. Non si può pensare di gestire il problema con la stessa velocità che si usa nel dare da man­giare e da bere. Tutte le diverse parti in causa devono arrivare a elaborare una strategia. Il grande equivoco, magari sca­tenato anche per interessi di bottega, è che non si vuole considerare il proble­ma nella sua totalità. L'accoglienza è un imperativo prima di tutto umano. E a questo imperativo bisogna rispondere con urgenza ed è superfluo dire che se una persona sta affogando in mare va salvata".

"Diverso però è quando si passa dal sin­golo caso alla gestione del fenomeno com­plesso. E qui serve un'attenzione più ap­profondita e serve indagare le cause che sono all'origine di questi fenomeni. Quan­do si tratta di guerre, carestie - cioè di tut­te le condizioni che portano allo status di rifugiato - la risposta migliore che abbia­mo è quella di favorire i corridoi umanita­ri. Poi però- dice mons. Antonio Suetta -vi sono altre situazioni che non possono esse­re messe da parte: esiste il diritto di emi­grare ma anche quello di non emigrare. Qui si apre il capitolo dei migranti econo­mici, che - per quanto riguarda l'Italia e l'Europa - mi sembra siano prevalenti. In­somma, bisogna riflettere attentamente nel considerare la totalità del problema, che non ha risposte né facili né immedia­te".
Ma con Matteo Salvini bisogna dialo­gare o no? La chiesa italiana, anche su questo punto, sembra divisa: "Chi ama il dialogo non può pensare di escludere una persona o un dato fenomeno, dal dialoga­re" dice il vescovo. "Perche questo signifi­cherebbe adottare una prospettiva diver­sa cioè la contrapposizione. Che porta a urti e attriti. E questi non sono mai forieri di un bene per la società. Bisogna anche stare attenti: dietro a un leader politico c'è una situazione più complicata, volubile e in evoluzione. Un movimento che va com­preso innanzitutto indagando le istanze che rappresenta, filtrando le intuizioni buone da quelle meno buone.

Dopotutto, il dialogo è uno strumento, non lo scopo. Ogni novità ha bisogno di sedimentazione e il dialogo è un esercizio che richiede rispetto e pazienza".

Matteo Matzuzzi
Il Foglio 6/11/2019

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