“Più diventiamo oicofobici e più abbracciamo la diversità culturale, più ci
allontaniamo dalle origini e quindi dalla comprensione della nostra cultura”,
scrive Benedict Beckeld
Durante una cena, in una sera d’estate
passata a Roma, Benedict Beckeld(*)ebbe un diverbio con una commensale. I due si
trovavano davanti al Colosseo, il lascito millenario di un impero caduto in
rovina. Ispirata dal panorama, una studentessa di storia fece un’osservazione.
Disse che non avrebbe mai potuto parlare male di un’altra cultura. Non solo non
ne era capace, disse, ma non ne aveva neanche il diritto. Eppure lei era
austriaca, figlia della stessa nazione e della stessa cultura che aveva
prodotto Adolf Hitler. Beckeld gli fece notare questo dato di fatto, e lei
rispose che, in quanto europea e austriaca, poteva criticare la sua stessa
cultura, e quindi anche il dittatore nazista, ma non le altre.
Quella della
studentessa era una posizione oicofobica, ovvero di chi manifesta disprezzo verso la propria
cultura. In altre situazioni, con diversi interlocutori, Beckeld ricevette
risposte simili. La oicofobia è sempre
più diffusa nel mondo occidentale: è il sintomo di una civiltà che ha smesso di
credere in se stessa, che si odia e che non vuole difendere i suoi valori di
libertà individuali e democrazia che la contraddistinguono fin dall’antichità.
Sui giornali leggiamo esempi di oicofobia ogni giorno. Tra i recenti, uno dei
più clamorosi è quello che riguarda la direzione di una scuola di San Francisco
che ha votato per rimuovere un murales di George Washington perché accusato di
razzismo.
Il termine oicofobia è stato coniato dal
filosofo Roger Scruton nel 2004. In un suo libro definiva
il termine come “l’esigenza di denigrare
i costumi, la cultura e le istituzioni che sono identificabili come nostri”.
Scruton faceva riferimento all’Inghilterra del secondo dopoguerra. Ma se
osserviamo la storia, l’odio per la propria cultura è un sentimento che ricorre
nei secoli. Ne parlava già Platone nella sua Repubblica. L’oicofobia inglese è
solo la più recente, ma non è per nulla nuova. E non è un caso se oggi negli Stati Uniti si è diffusa la stessa
mentalità malata: l’America, come l’Inghilterra dopo la Seconda guerra
mondiale, è una grande potenza in declino.
“Lo sviluppo storico dell’oicofobia ha
indebolito diversi aspetti della nostra società, della nostra cultura, della
politica e dell’esercito”, scrive Beckeld. “E mentre l’occidente si crogiola
nell’odio verso se stesso, abbraccia altre culture. Questo è un peccato perché
è possibile imparare da altre tradizioni senza rinnegare il proprio patrimonio.
Più diventiamo oicofobici e più abbracciamo la diversità culturale, più ci
allontaniamo dalle origini e quindi dalla comprensione della nostra cultura.
“Dato che non comprendiamo questa
cultura, spesso ci imbattiamo in oicofobici occidentali che disprezzano i
‘valori occidentali’ e coloro che li professano. Ma in realtà questi detrattori
adorano l’occidente. Semplicemente non lo sanno. Vale a dire, non sanno di
essere occidentali”, conclude Beckeld.
Quando ci renderemo conto che l’oicofobia
è una sorta di patologia, simile a una reazione istintiva che si sviluppa in
distinte circostanze storiche, saremo pronti ad affrontarla nella nostra vita
quotidiana.
tratto da Il Foglio
*Benedict Beckeld è Professore di Filosofia, Greco e Latino, Università Americana di Parigi
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