ELEZIONI IN EMILIA-ROMAGNA/
Lo schema del Pd è semplice: solo con Bonaccini la
Regione può garantire civiltà e progresso contro barbarie e involuzione. Ma non
è proprio così
“Hic sunt leones”.
Con questa frase, anticamente, si era soliti indicare delle zone inesplorate e
considerate selvagge. Oggi serve talvolta, più o meno scherzosamente, per
indicare realtà sociali caratterizzate da ignoranza o minore sviluppo.
Mi è tornata alla
mente questa antica locuzione latina sentendo la grancassa che il Pd sta
cominciando a suonare in Emilia-Romagna, in questo inizio di
campagna elettorale per il rinnovo degli organi regionali.
Sostanzialmente, lo schema comunicativo potrebbe essere
così riassunto:
1)
è
meglio stare molto alla larga da tematiche nazionali,
se non per implorare di cambiare la manovra finanziaria, in particolare sulla
plastic tax, perché è chiaro il convincimento che legare le sorti dell’uscente
presidente Bonaccini alle azioni del governo giallo-rosso sarebbe un vero e
proprio abbraccio mortale;
2)
bisogna
dunque parlare solo delle “magnifiche sorti e progressive” dell’Emilia-Romagna,
dipinta come la Regione meglio governata d’Italia,
leader nazionale per sviluppo, qualità della vita, completezza di servizi,
grazie alla cinquantennale egemonia comunista e post-comunista;
3) si
individua nell’uscente Bonaccini il
nocchiere indispensabile, novello Palinuro, che solo può garantire di
mantenere i livelli qualitativi raggiunti, impedendo ad altri, sicuramente
peggiori di lui e incapaci, di prendere la guida della caravella
emiliano-romagnola.
Non mi scandalizzo
minimamente del fatto che un partito, che probabilmente in queste elezioni
regionali si sta giocando anche il suo destino a livello nazionale, faccia di
tutto per spingere il proprio candidato verso una riconferma, ma per far questo
non si possono descrivere gli avversari come portatori di visioni politiche o
tecniche amministrative che porterebbero allo sfacelo le istituzioni regionali
e farebbero fare passi indietro alla Regione, in termini di coesione sociale e
di sviluppo economico.
Pur essendo fiero di
essere emiliano-romagnolo (romagnolo, per l’esattezza) e convinto che la nostra
regione, insieme a Lombardia e Veneto, potrebbe essere presa a modello dallo
Stato per migliorare le sue performance, ciò non mi impedisce di riconoscere che
si può sempre migliorare, anche
confrontandosi con modelli amministrativi diversi, che hanno dimostrato nei
fatti il loro indiscusso valore.
Ovviamente non mi
riferisco a un confronto essenzialmente di tipo ideologico o filosofico, ma a un vero e proprio benchmark, come
è doveroso quando si parla di amministrazione pubblica, in cui è necessario
utilizzare le risorse, sempre insufficienti, nel modo più efficiente, così da
ampliare la capacità di risposta ai bisogni.
1. Il
fatto che l’Emilia-Romagna, con i suoi 4,443 milioni di abitanti, spenda negli
stipendi dei dipendenti 184 milioni di euro, contro i 167 spesi dalla Lombardia
con più di 10 milioni di abitanti, significa uno spreco di 100 milioni di euro
che potrebbero tramutarsi in ampliamenti di servizi o, meglio, in nuovi
investimenti pubblici, oggi particolarmente necessari.
Basti pensare che straordinaria leva finanziaria sarebbe una cifra simile per
dar vita, ad esempio, a un Piano di edilizia a canoni calmierati per famiglie
indigenti o per giovani coppie.
2. Un
discorso analogo lo potremmo fare anche nel settore sanitario: in
Emilia-Romagna abbiamo circa un dipendente ogni 79 abitanti, contro uno ogni
114 della Lombardia. Avvicinarsi a questo standard potrebbe significare un
risparmio di quasi mezzo miliardo con cui potenziare, ad esempio, i
servizi per la non autosufficienza o la grave disabilità, sui quali la capacità
di risposta è largamente inferiore alle esigenze, come ben sanno tutte le
famiglie che devono assistere anziani o minori non autosufficienti.
3. Per
queste tipologie di bisogni gli interventi sono essenzialmente di due tipi: il
sostegno alle famiglie che riescono ad assistere i congiunti a casa,
assumendosi di fatto la funzione di caregivers,
e l’offerta di posti in residenze convenzionate con l’ente pubblico ai cui
costi deve partecipare la famiglia con il pagamento di una retta.
4. In
Emilia-Romagna i posti in Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) sono circa
16.000 (uno ogni 278 abitanti) e quelli per malati di Alzheimer 187 (uno ogni
23.800 abitanti); in Lombardia i posti in Rsa sono ca. 54.700 (1 ogni 182
abitanti) e quelli per malati di Alzheimer 2.926 (1 ogni 3.417 abitanti).
Per quanto riguarda invece il sostegno alle famiglie vi sono modelli abbastanza
diversi, con assegni o voucher proporzionati alla gravità dell’assistito, con
un massimo di 45 euro al giorno in Emilia-Romagna e di 54 in Lombardia, dove,
però, per i disabili gravi il contributo non è legato al reddito Isee.
I cittadini emiliano-romagnoli il 26 gennaio prossimo
decideranno se continuare sulla strada dell’“usato sicuro”, affidando la guida
della Regione ancora a Bonaccini, oppure se mettere alla prova, per la prima
volta, amministratori portatori di modelli, idee e programmi diversi da quelli
della sinistra.
Ma almeno sappiano che
la scelta non è fra civiltà e progresso da una parte e barbarie e involuzione
dall’altra, come qualche ligio “agit-prop” vuol far credere.
Nessun commento:
Posta un commento