sabato 29 febbraio 2020

IL CORONAVIRUS. LA CULTURA GRILLINA E IL RITORNO NELLA GIUNGLA



Dell’eziologia e della fenomenologia del coronavirus si conosce ancora troppo poco. Così dicono i competenti. Siamo, dunque, tutti quanti, ancora avvolti da un velo di ignoranza, circa l’inizio e, soprattutto, circa le dinamiche di espansione di tale moderna pestilenza. L’ultima “voce” autorevole del prof. Massimo Galli dell’Ospedale Sacco di Milano afferma che il contagio si sarebbe innescato in Cina già da ottobre 2019, che esso genera una polmonite virale, che puo’ portare alla morte solo soggetti già indeboliti, che molti potrebbero esserne guariti, dopo essere stati affetti a loro insaputa.


Il rischio di un di ritorno alla giungla. L’informazione esagerata e contraddittoria
Intanto l’ignoranza ha generato un terrore di massa, che, nel giro di una settimana, ha gettato il Paese sull’orlo dello “stato di eccezione”. Lo “stato di eccezione” è quella condizione sociale e politica nella quale le consuetudini e le leggi della convivenza sono sospese, nella quale ciascuno ritorna alla giungla. Persone di fisionomia asiatica sono state picchiate quali untori. E’ uno stato di violenza di massa potenziale, in cui ciascuno diventa sovrano di se stesso e del proprio clan, ciascuno si isola dall’altro. Il diritto viene sospeso, si torna allo stato di natura. Ora, fin lì non siamo arrivati; ci siamo fermati sull’orlo.  E, tuttavia, l’istantanea del Paese, fotografato nell’ultima settimana di febbraio, ha svelato a noi stessi la fragilità, la debolezza, la provvisorietà dei nostri assetti socio-economici e politici e della nostra etica pubblica. Qualche vescovo vi ha aggiunto l’ennesima lezione sull’umana fralezza. Un flash accecante nel buio ci ha sorpresi esattamente sull’orlo di quell’abisso. A tale esito hanno contribuito con gradi di responsabilità diverse la politica, i mass-media, i singoli cittadini.
Il governo, per primo, ha suscitato un terrore confuso. I giornali e le TV lo hanno amplificato a dismisura. “Libero”, il giornale di Vittorio Feltri, ha titolato domenica 23 febbraio: “Prove tecniche di strage”, parlando della politica del governo. Giovedì 27 febbraio ha titolato: “Virus, si esagera!”. “La Repubblica”, “Il Giornale”, “La 7” hanno assunto stilemi e titoli analoghi, allarmistici, sia quando lanciavano l’allarme sia quando invitavano a non allarmarsi. Il cortocircuito politica/informazione ha generato correnti di panico, proprio mentre invitava a non averne.
La cultura grillina. La politica inattendibile e le deleghe all’esterno
Quali le motivazioni profonde di questo approccio? Si può certamente discutere se i provvedimenti presi – bloccare i voli diretti, non quelli dai Paesi europei – siano stati efficaci. Se è vera l’ipotesi che il virus circola in Cina, in Europa e nel mondo da mesi, è probabile che le misure di blocco delle frontiere, dirette o indirette, sarebbero state inutili. Mentre all’aeroporto di New York, già il 3 di febbraio chi veniva dalla Cina era costretto a stare in una fila speciale, il 14 febbraio all’aeroporto di Francoforte  – esperienza diretta – sbarcavano/si imbarcavano e si mischiavano allegramente persone di tutto il mondo, cinesi compresi. Atterrati a Milano, si era sottoposti velocemente a termometro. Troppo tardi. Insomma: le frontiere erano già bucate.

Ciò che, invece, è stato decisamente fatale per la diffusione del panico, all’inizio di questa gestione impazzita dell’emergenza, è stata la cultura grillina – di cui Conte-Casalino sono stati corifei – con suoi teoremi e i suoi postulati.
Li sentiamo raccontare da anni:
·         le istituzioni sono marce e corrotte dentro, perché sono fondate sulla delega e perciò non sono trasparenti, tendono a occultare e a mentire.
·         Il Parlamento è un ente inutile.
·         Gli scienziati sono al servizio delle case farmaceutiche.
·         Il virus è un sottoprodotto della preparazione alla guerra batteriologica, anzi, la diffusione del coronavirus è solo l’inizio…
Perciò, Palazzo Chigi non puo’ essere cabina di regia di nulla.
Ecco perché il presidente del Consiglio fa le riunioni nella sede della Protezione civile, che è considerata un soggetto tecnico-amministrativo. Si è realizzato uno strano cortocircuito, per il quale la politica si è dichiarata di fatto inattendibile e ha rimesso le proprie responsabilità all’esterno – Protezione civile, Organizzazione mondiale della Sanità, Istituto superiore di sanità -, sulle quali riversare il peso delle decisioni, che la politica deve limitarsi a registrare notarilmente.

mercoledì 26 febbraio 2020

LA PAURA DELLA MORTE IMPROVVISA IRROMPE TRA NOI


MARINA CORRADI

Una dolore privato nel panico pubblico. E segni di speranza
Morire a novant’anni, a Milano, nel giorno dell’esplosione del coronavirus. Morire in una notte, dopo una corsa in ospedale e poche ore di agonia: semplicemente perché il corpo è logoro, e il cuore non regge più. È accaduto a una persona molto cara, in casa nostra.

Quando abbiamo capito che la situazione precipitava, sabato sera, abbiamo tremato: e ora ci sarà un’ambulanza, troveremo un letto in ospedale?
Pochi giorni prima, in un Pronto soccorso del centro, l’esperienza era stata drammatica: venti ore in corridoio, senza dormire né mangiare, finché la nonna stessa aveva pregato di tornare a casa. E ora, col coronavirus e la paura come una cappa sulla città? – ci siamo detti angosciati.
Ma l’ambulanza del 118 arriva in dieci minuti. Tre giovani volontari preparati, gentili, caricano la paziente e via, a sirena accesa, verso l’ospedale – nella città semideserta di un surreale sabato sera (la nonna ha chiuso gli occhi, non ci risponde più).


IL CRISTO VELATO, Napoli Museo Cappella San severo
Il San Carlo Borromeo è un grandissimo ospedale vicino allo stadio di San Siro. A vederlo da fuori, così enorme e grigio, mette un po’ di timore. L’ingresso però, sorprendente, questa notte è quasi deserto. Due addetti all’accettazione ci chiedono soltanto se nessuno in casa è stato in zone a rischio. La paziente viene portata subito in sala visite. Mentre aspetto osservo il via vai di infermieri con la faccia segnata dalla stanchezza, forse dal nervosismo, che compostamente fanno il loro lavoro, la mascherina sul volto. Non c’è un solo letto stanotte in questo grande ospedale, e, ci dicono, in tutta Milano: ma la malata viene messa in una dignitosa stanza del Pronto soccorso. Ossigeno, flebo. Il monitor scandisce l’affannosa corsa del vecchio cuore. Col passare delle ore la situazione si aggrava. Ci chiamano: 'Venite a salutarla'. Bardati di camice e maschera entriamo in Rianimazione. Le facce pallide, ma attente di medici e infermieri mi colpiscono, e anche la loro gentilezza. La calma, soprattutto: perché fuori di qui a quest’ora i supermercati vengono presi d’assalto.
 
«Sta andando a ruba tutto – ci telefona sbalordita la figlia – saponi e detersivi sono esauriti, la gente riempie i carrelli di provviste come stesse per finire il mondo». In effetti, su web e media domenica l’impressione è questa. Solo poche voci ricordano che il bilancio di decessi tra gli anziani fragili per le complicazioni dell’influenza, ogni anno, è di centinaia di vittime, e che nella maggioranza dei casi il nuovo virus si manifesta in maniera non drammatica. Ma no: sembriamo, e in tanti, impazziti. Quella calca davanti agli ipermercati, quei grandi carrelli che si tamponano, nell’ansia di colmarli. Zeppi: tutto quello che ci sta. Roba, roba, in una arcaica paura di una carestia mai conosciuta.

In una scompostezza che dice qualcosa di noi, o almeno di molti. La sola ipotesi di un improbabile contagio è intollerabile. La sconosciuta costantemente censurata morte, l’Innominabile, se appena si affaccia all’orizzonte scatena il panico. Ci pensiamo immortali? O forse non pensiamo proprio a certe questioni, finché possiamo. Il risveglio dalla collettiva smemoratezza, in questa domenica 23 febbraio 2020, è brutale. Nella notte ci chiameranno a casa: la nonna sta morendo. Ce la fanno salutare, cercano il cappellano per l’ultima benedizione. Gli occhi dell’infermiere della Rianimazione, sopra la mascherina verde, mi resteranno in mente: calmi, e rispettosi del nostro dolore. Chi fronteggia ogni giorno la morte non è andato nel panico. Come soldati in trincea, sfiniti, vigili, non abbandonano la postazione. La porta scorrevole del Pronto soccorso del San Carlo che ci si chiude alle spalle sembra una frontiera: con la fervorosa Milano dei sani, che lavora, corre, produce, si diverte, vive. A volte come dentro un’amnesia. Credendoci immortali.

Ce ne torniamo a casa zitti, la figlia più piccola piange la sua nonna, che tanto l’ha amata. Ci mancherà, lo sappiamo, il pane dell’Eucarestia. (Quanto ci è necessario, lo sento per la prima volta nella mai provata mancanza, il vero Pane). All’alba, nella precoce improvvisa primavera, i peschi nei viali sono di colpo tutti fioriti. Sembrano un segno: silenzioso, da mille generazioni fedele.

AVVENIRE 25/02/ 2020

martedì 25 febbraio 2020

CAPOVOLGIAMO IL MALE DEL CORONAVIRUS IN UN BENE PER TUTTI NOI


 + Massimo Camisasca

Vescovo di Reggio Emilia – Guastalla


Cari fedeli della Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla,
Cari amici,


in questo momento segnato da una certa inevitabile confusione, desidero far giungere a tutti voi il pensiero e le preoccupazioni del Vescovo che, come un padre, partecipa delle ansie di tutti i suoi figli.

Frà Filippo Lippi, Madonna di Tarquinia 1347
Da dove viene il coronavirus? Dal cuore della Cina, non certo dal cuore di Dio. Ma è anche vero che Dio si sta servendo di esso per richiamarci tutti ad uno sguardo più profondo sulla nostra vita. Scopriamo infatti, improvvisamente, di essere fragili: chiusi spesso nelle certezze che vengono a noi dalle grandiose scoperte della scienza e dalla loro applicazione tecnologica, connessi con tutto il mondo e illusi di poterne essere padroni, siamo messi improvvisamente di fronte a uno scenario più realistico: l’uomo è debole, fragile e può trovare la sua grandezza e forza soltanto nell’amore verso se stesso, verso il proprio destino personale, temporaneo ed eterno e nell’amore verso gli altri e verso Dio.

Di necessità siamo così portati ad una essenzialità di vita che può creare benevoli momenti di silenzio, di riflessione, di cura. Preghiamo nelle nostre case, per noi stessi, per i malati del mondo, per i morti, per i loro cari. Preghiamo per i medici e gli operatori sanitari, preghiamo per gli uomini della sicurezza e dell’esercito, chiamati a un surplus di fatiche. Preghiamo per i nostri governanti, ritagliamoci un tempo di lettura, di riflessione, di vicinanza a coloro che hanno bisogno. Ciò che non sappiamo più fare siamo ora quasi obbligati a riprendere.

Il coronavirus non lascerà le cose come prima: dopo il suo passaggio saremo migliori o peggiori? Dipende da noi. Come le grandi malattie che hanno segnato la storia dei popoli, esso può diventare un’occasione di ravvedimento e di conversione. L’uomo senza Dio perde completamente la bussola della propria vita. Con Dio può ritrovarla. Può imparare a considerarsi non semplicemente un cercatore di soddisfazioni a buon mercato, ma un cercatore di infinito, un fratello e un amico degli altri uomini, un abitatore rispettoso di questo Pianeta, che attende di essere con noi interamente trasformato, per essere riscattato dalla sua caducità (cf. Rm 8,19-22).

In questi giorni, e probabilmente anche nei successivi, sarà difficile o addirittura impossibile partecipare alla Liturgia Eucaristica. Sostituiamola con la preghiera del Santo Rosario: invochiamo da Maria la protezione per la nostra Città, la nostra Provincia, la nostra Regione, il nostro Paese. Se ci è possibile, chiediamo la guarigione dei cuori, oltre che dei corpi, anche attraverso il digiuno, nelle forme che ciascuno deciderà di intraprendere. Capovolgiamo il male del coronavirus in un bene per tutti noi. Sono vicino ai malati, ai loro famigliari, alle comunità provate. Su tutti chiedo la benedizione del Signore.
Oggi alle ore 18.00 purtroppo non potrò tenere il momento di preghiera nella Basilica della Ghiara, che avevo previsto. Pregherò comunque allo stesso orario il Santo Rosario insieme ai miei segretari nella mia Cappella Privata: vi chiedo di unirvi alla mia preghiera dalle vostre case.





lunedì 24 febbraio 2020

IL RUGGITO DELLA TIGRE



Dov'è la tigre?
Da lontano ho udito il suo ruggito,
ora inatteso mi risuona accanto.

Dov'è la tigre?
sono passi che ho sentito,
è il suo odore nel vento?



Chissà chi l'avrebbe detto, qualche mese fa, che la maschera caratteristica di questo carnevale sarebbe stata quella ospedaliera. Ben pochi. Ormai però gli uccelli sono scappati dalla gabbia, e hai voglia a rimetterceli. Il pensiero più immediato che mi viene è che, nonostante tutta la nostra arroganza e la nostra scienza, siamo ancora la scimmia che si rintana in cima all'albero più alto quando, nella notte, ode il ruggito della tigre.


E' inevitabile; è istinto di sopravvivenza. Anche se questa non è la peste che sterminava i popoli non troppi anni fa - tanto per dire, quattrocento anni fa, sei vite d'uomo, metà del mio paese cessò di esistere - di fronte al pericolo il prudente si nasconde, si approvvigiona, allontana e si allontana da ciò che lo minaccia.

Improvvisamente la mancanza di certezze di cui si andava tanto fieri la si scopre inutile di fronte alla domanda di vita, e si mendica una risposta. Una salvezza. Che la scienza non riesce a dare. Ti sa dire cosa ti sta uccidendo, ma poco altro. L'epidemia allora diventa un memento mori, di quelli fuori moda, di quelli che si è cercato in ogni maniera di cancellare.
Chi li ha voluti cancellare - compresa certa Chiesa - scopre oggi di non avere risposte. Perché ha perso, ha voluto perdere quelle che aveva.

Verrà il Coronavirus, non si fermerà; e passerà. Chissà se quantomeno serverà a farci riflettere che, presto o tardi, per quanto prudenti siamo, la tigre troverà comunque la strada per la nostra tana. Danzeremo con lei. E' nella natura della tigre, e in quella nostra.
Ma la nostra natura è anche domandarsi: cosa c'è dopo la tigre? E comprendere che essa non è tutto.

BERLICCHE