Inizia il 16 giugno l’incontro dei vescovi statunitensi per decidere una linea comune sull'Eucarestia ai politici pro-aborto, ma secondo il New York Times il Vaticano avrebbe già deciso la partita. Spadaro e il NYT forniscono “motivazioni” politiche rispetto a una questione che riguarda il cuore della fede. E che è ben definita sia dal diritto canonico che dalla nota di Ratzinger del 2004: l’Eucaristia va negata a chi è in peccato grave e manifesto.
Jason Horowitz ha sentenziato dalle nobili colonne del New York Times (vedi qui) che il Vaticano ha già deciso la partita sulla Comunione
ai politici che sostengono una legislazione favorevole all’aborto. Non c’è
peccato che escluda dal ricevere l’Eucaristia: Francesco docet. L’argumentum
ab auctoritate si trova nelle parole dell’Angelus pronunciate dal pontefice lo 6
scorso giugno: «Quando riceviamo
l’Eucaristia, Gesù [...] ci conosce, sa che siamo peccatori, sa che sbagliamo
tanto, ma non rinuncia a unire la sua vita alla nostra. Sa che ne abbiamo
bisogno, perché l’Eucaristia non è il premio dei santi, no, è il Pane dei peccatori. Per questo ci
esorta: “Non abbiate paura! Prendete
e mangiate”». Aver rinfrescato la memoria nel giorno del Corpus
Domini, proprio alle porte del dibattito interno alla Conferenza Episcopale
degli Stati Uniti, per Horowitz è stato particolarmente “provvidenziale”.
Riporta il quotidiano americano: «Il
Vaticano ha ammonito i vescovi americani conservatori di frenare la loro
pressione per negare la comunione ai politici che sostengono il diritto
all’aborto, compreso il presidente Biden, fedele praticante e primo cattolico
romano ad occupare lo Studio Ovale negli ultimi 60 anni». Eppure, aggiunge il
NYT, “nonostante il segnale di stop decisamente pubblico proveniente da Roma, i
vescovi americani stanno andando avanti comunque e si attende che forzeranno il
dibattito sulla comunione all’incontro svolto da remoto che si terrà oggi.”
Oltre alla discutibile, ma pur sempre generica, esternazione di papa
Francesco, gli altri autorevoli segnali sono
giunti da Antonio Spadaro e dal cardinale Luis Ladaria. Quest’ultimo, prefetto
della Congregazione per la Dottrina della Fede, aveva mandato un messaggio in
una lettera datata 7 maggio 2021, nella quale si limitava a dare indicazioni
procedurali ai vescovi statunitensi (vedi qui) e sbandava, distanziandosi clamorosamente dalla linea
indicata chiaramente da Ratzinger/Benedetto XVI, sulla peculiarità dei principi
non negoziabili (vedi qui).
Spadaro invece ha imboccato il mondo giornalistico: «La preoccupazione in Vaticano è che non si usi l’ammissione
all’Eucaristia come arma politica». Il New York Times ne
prende subito la scia e traccia la cornice in cui dovrà essere editorialmente
inquadrata: «Alcuni vescovi di primo piano, le cui priorità sono chiaramente
schierate con il precedente presidente Donald J. Trump, ora vogliono ribadire
la centralità dell’opposizione all’aborto nella fede cattolica e adottare una
linea dura». La dignità dell’Eucaristia? La necessità di non dare scandalo ai
fedeli? Un mero pretesto. Questi vescovi conservatori sarebbero in realtà
talmente pro-Trump da non frenare nemmeno di fronte al rischio di «frantumare
la facciata dell’unità con Roma, sottolineare la polarizzazione politica
all’interno della chiesa americana e configurare ciò che gli storici della
Chiesa considerano un pericoloso precedente per le conferenze episcopali nel
mondo». Niente male: perché l’ammissione all’Eucaristia non diventi una
questione politica, si danno “motivazioni” di matrice esclusivamente politica.
Il Corriere della Sera decide invece di avventurarsi sui
sentieri di ordine sacramentale e canonico, liquidando
sbrigativamente il canone 915 come
una «formulazione [...] abbastanza elastica da consentire interpretazioni
differenti nel corso del tempo». In verità a Gian Guido Vecchi sfugge che il canone è piuttosto preciso, perché
definisce con estrema chiarezza le categorie di persone che non possono essere
ammesse alla Comunione: tutti coloro che sono soggetti a censure ferendae
sententiae e latae sententiae di scomunica o interdizione; e quanti «ostinatamente perseverano in peccato grave e manifesto»
(can. 915). Due aggettivi e un avverbio che dicono tutto.
Se può non risultare immediatamente chiaro che un politico che favorisce
l’aborto mediante la legislazione ricada nella categoria colpita dalla
scomunica latae sententiae prevista dal can. 1398, nessun dubbio invece che
rientri in coloro che si trovano in una situazione di peccato grave e
manifesto.
Costoro devono perciò essere richiamati e corretti, come spiegava l’allora
prefetto della CDF, il cardinale Joseph
Ratzinger, nella nota trasmessa al cardinale Theodore E. McCarrick e
all’arcivescovo Wilton Gregory, all’epoca rispettivamente arcivescovo di
Washington e presidente della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, nel giugno 2004:
«Riguardo al peccato grave
dell’aborto o dell’eutanasia, quando la formale cooperazione di una persona
diventa manifesta (da intendersi, nel caso di un politico cattolico, come il
suo far sistematica campagna e il votare per leggi permissive sull’aborto e
l’eutanasia), il suo pastore dovrebbe incontrarlo, istruirlo sull’insegnamento
della Chiesa, informarlo che non si deve presentare per la Santa Comunione fino
a che non avrà posto termine all’oggettiva situazione di peccato, e avvertirlo
che altrimenti gli sarà negata l’Eucaristia». Se la persona richiamata
persevera nel proprio comportamento pubblico e «si presentasse comunque a
ricevere la Santa Eucaristia, “il ministro della Santa Comunione deve rifiutare
di distribuirla” (cfr. la dichiarazione del Pontificio Consiglio per i Testi
Legislativi, “Santa comunione e cattolici divorziati e risposati civilmente”,
2000, nn. 3-4)».
Indicazioni chiare e precise, che però,
secondo Gian Guido Vecchi, siccome «il magistero della Chiesa cambia e si
evolve nel tempo», sarebbero state soppiantate dalla “profonda articolazione
teologica e canonica” di esternazioni del tipo: «Chi sono? Sono un peccatore al
quale il Signore ha guardato»; o da affermazioni “inclusive” come quella di
Amoris Laetitia: «Si tratta di integrare tutti, si deve aiutare ciascuno a
trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale».
Tratto da la nuova bussola
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