Nel 30° anniversario della morte, pubblichiamo un testo inedito di una conferenza del 1982 del sacerdote forlivese
Il 30 maggio ricorreva il 30° anniversario della morte di don Francesco Ricci, il sacerdote forlivese che iniziò in Romagna il movimento di Comunione e Liberazione e che fu uno dei protagonisti del suo irradiamento internazionale. Fondatore del Centro Studi Europa Orientale (che curerà la prima traduzione in italiano de Il potere dei senza potere di Vaclav Havel), amico di Karol Wojtyla futuro papa Giovanni Paolo II, negli anni Ottanta diede vita a una fitta trama di rapporti con intellettuali e sindacalisti cristiani dell’America Latina.
Pubblichiamo un
suo testo inedito (i titoletti nel testo sono nostri), messoci a disposizione
da Marco Ferrini, già presidente del centro culturale Il Portico del Vasaio: ampi stralci del suo intervento al convegno
“A tre anni da Puebla – Chiesa e cultura in America Latina”, organizzato a
Rimini dal suddetto centro culturale il 6 febbraio 1982. Alla conferenza
partecipò anche Guzman Carriquiry, in seguito segretario della Pontificia
commissione per l’America Latina. A Puebla nel 1979 si era svolta la terza
Conferenza generale dell’episcopato dell’America latina, alla quale per la
prima volta aveva partecipato un papa, nella persona di Giovanni Paolo II.
Nel settembre
1981, un anno dopo la nascita del movimento sindacale di Solidarnosc in
Polonia, il papa aveva dedicato al lavoro l’enciclica Laborem
exercens. Il 13 dicembre 1981 il generale Jaruzelski aveva posto fine
alle attività del sindacato di Solidarnosc in Polonia con un colpo di Stato.
Un impatto personale
Tentando un certo connubio, se non ideologico almeno
metodologico, tra le categorie marxiste e le categorie cristiane, credo che si
possa dire questo: che a partire da Puebla la pesante ipoteca del marxismo come
possibilità, come chance storica per il continente latinoamericano è stata
tolta.
Credo che in questo senso si possa anche capire il
nesso profondo che c’è tra l’istanza di Puebla e il suo sviluppo nei contenuti
della Laborem exercens e degli
avvenimenti polacchi. Non a caso la Laborem
exercens è stata scritta dopo l’esperienza di Puebla e dopo l’esperienza del viaggio
(del Papa – ndr) in Brasile; è stata scritta dopo che il suo autore ha avuto un
personale impatto con la realtà del continente, si è misurato con quella
realtà, si è calato profondamente nei suoi bisogni, li ha assunti e ha cercato
di capirli.
Io credo che questa eco dell’esperienza personale di
Giovanni Paolo II nel continente sia avvertibile almeno nel profondo equilibrio
con cui l’enciclica affronta il problema del lavoro nella condizione del
capitalismo e nella condizione del socialismo, cioè in quella condizione che
caratterizza la struttura economica, sociale e politica dell’area
latinoamericana e la struttura dell’area europea sottoposta al dominio
dell’impero sovietico.
La teoria marxista
In realtà nell’enciclica Laborem exercens è possibile incontrare una teoria sul lavoro che
risolve i nodi non risolti della teoria marxista sul lavoro. La teoria marxista
sul lavoro intende risolvere il nodo sul lavoro con una soluzione sostanziale
che è quella della socializzazione dei mezzi di produzione.
Nella socializzazione della proprietà dei mezzi di
produzione il marxismo individua il processo fondamentale di liberazione
dell’uomo, la riappropriazione per l’uomo del significato del proprio lavoro.
Ora, è proprio nel continente latinoamericano che l’analisi marxista dimostra i
suoi più pesanti limiti nella propria capacità interpretativa, nella propria
capacità teorica.
Non è un caso isolato incontrare marxisti
latinoamericani che si definiscono “orfani teorici”, perché non incontrano
nell’analisi marxista e nella teoria marxista sulla liberazione dell’uomo
fattori adeguati per interpretare il peculiare processo latinoamericano di
sfruttamento capitalistico e di liberazione da questo processo.
Il lavoro umano nella Laborem exercens
Nell’enciclica Laborem
exercens è possibile incontrare una concezione del lavoro che permette all’uomo una
reale riappropriazione del significato del proprio lavoro, non attraverso un
meccanismo che resta esteriore all’uomo perché definisce la proprietà dei mezzi
di produzione, ma piuttosto attraverso un processo interiore, che riappropria
all’uomo il proprio lavoro e riappropria l’uomo al lavoro.
Il termine “lavoro umano” io credo che contenga la
grossa novità dell’enciclica. Marx non è in grado, con le sue categorie
mentali, di pensare al lavoro come lavoro umano, riesce a pensarlo solo come
lavoro dell’uomo e pensandolo come lavoro dell’uomo non risolve la
contraddizione fondamentale, che non è di natura economica, ma di natura etica.
Istintivamente le masse operaie latinoamericane hanno
avvertito in questa prospettiva di riappropriazione etica del significato umano
del lavoro una via reale per la propria liberazione. L’illusione di una
liberazione che accade fuori dell’uomo e che consiste nella modificazione
strutturale dei termini della proprietà è caduta e si offre all’uomo una via
più umana: l’uomo si riappropria del proprio lavoro; il lavoro è per l’uomo,
l’uomo può essere per il lavoro.
Il nocciolo di verità
In questa riconciliazione fondamentale avviene il
passo iniziale di un reale processo di liberazione. Qualcuno ha visto, in
questa concezione del lavoro di Giovanni Paolo II, il nocciolo, il principio di
una nuova e autentica “teologia della liberazione”. Non è mio compito entrare
nel merito di questo argomento, voglio solo accennarlo, perché mi sembra molto
importante individuare qual è la risposta oggi più autentica all’esigenza dell’uomo
latinoamericano in cerca della sua liberazione.
In questo nocciolo di verità fondamentale – la
riconciliazione uomo-lavoro e lavoro-uomo in cui l’uomo è reso capace di
riappropriarsi del significato etico del proprio lavoro -, è come contenuto uno
sviluppo ulteriore, una possibilità ulteriore di svolgimento di quella che
viene chiamata “dottrina sociale della Chiesa”, di cui Puebla ha affermato
vigorosamente e coraggiosamente l’esigenza, che poi ha trovato ulteriormente
nell’enciclica la sua “magna charta”, il suo manifesto.
Un soggetto storico
Ma poco varrebbe una teoria, anche nuova o anche vera perché supera i nodi irrisolti di quella precedente, se questa teoria vagasse nell’aria alla ricerca di un soggetto che la traducesse nella pratica, correndo il rischio di non incontrarlo mai o di incontrarlo sbagliato.
Ciò che ha sorpreso la coscienza, soprattutto degli
uomini del lavoro latinoamericani, dei loro leader intellettuali e dei loro
leader organici, è stato il rendersi conto che questa teoria non era una
formulazione ideologica alla ricerca di un soggetto storico, ma che questo
soggetto storico già esisteva; realizzando in una prassi reale di lotta la
teoria, già la viveva.
Questo soggetto era appunto Solidarnosc, il movimento
operaio polacco che costituiva la prima attuazione storica, all’interno della
classe operaia e del movimento operaio, dei contenuti teorici della Laborem exercens.
Dunque il riconoscimento di una proposta liberatrice
nei contenuti della enciclica è divenuta per molti la intuizione di un punto di
riferimento reale – geopolitico e culturale – nell’esperienza polacca.
Dall’America alla Polonia
Il bollettino che ho qui con me viene dal Venezuela,
da Caracas; è pubblicato dalla Centrale latinoamericana dei lavoratori (Clat),
una organizzazione sindacale di ispirazione cristiana che raccoglie nel proprio
ambito qualcosa come 9-10 milioni di operai dal Messico alla Terra del Fuoco.
Nove-dieci milioni di operai in America Latina, 9-10 milioni di operai in
Polonia rappresentano punti di forza storica, che possono da soli costituire
un’alternativa reale alla via leninista per il trasferimento su scala mondiale
della cosiddetta “rivoluzione di ottobre”. Dunque l’enciclica ha il suo
soggetto storico.
Da Danzica alle Ande
Io amo pensare che, in un momento in cui dobbiamo
constatare che l’esperienza di Solidarnosc è definitivamente finita, senza
scampo né possibilità di appello, essa può continuare in altre forme di lotta,
in altre forme di impresa, nel continente latinoamericano.
Sono convinto che pensare che ciò che è finito a
Danzica continuerà sulle Ande non è un pensiero consolatorio, e spiego perché.
Ci sono delle ragioni storiche che sorreggono la profondità di questo incontro
tra il continente latinoamericano, i suoi popoli e il popolo polacco. Ci sono
delle profonde diversità: sono due popoli che esistono in due sistemi
politico-economici, in due latitudini geopolitiche e geoculturali completamente
differenti. (…).
Popoli dell’evangelizzazione
Ci sono tuttavia delle analogie profonde sotto lo
strato superficiale di queste difficoltà e le analogie profonde vanno ritrovate
in quel patrimonio (…) che è incluso sotto i termini di storia, di ethos, di
cultura di popolo o di nazione.
C’è un’affinità fondamentale che è costituita dal
fatto che entrambi i popoli, il popolo polacco e i popoli latinoamericani, sono
nati essenzialmente come popoli dell’evangelizzazione o hanno avuto, comunque,
l’evangelizzazione alla radice della genesi della loro identità, del loro ethos
nazionale e della nascita e dello sviluppo della loro cultura.
Le analogie sono ulteriori perché in molti momenti
della storia si sono verificate delle situazioni analoghe nel rapporto per
esempio tra indipendenza nazionale e aggressione imperialista, nel rapporto tra
il processo di formazione dell’identità e della cultura nazionale e la funzione
promozionale che ha avuto la Chiesa, nella presenza dell’elemento religioso
come fattore dinamico dello sviluppo dell’ethos nazionale, ecc.
Ci sono molte analogie, esse appartengono alla storia e
descrivono assonanze che permettono oggi una possibilità di comprensione tra
l’esperienza della classe operaia polacca o, se volete, se questa parola vi
sembra un po’ troppo ideologica (ma io la uso tranquillamente, perché si trova
anche nella Laborem exercens, quindi non
è più una parola del gergo marxista, è una parola che possiamo usare anche noi)
del popolo polacco e la classe operaia, le masse operaie latinoamericane, i
popoli latinoamericani.
Situazione di frontiera
C’è anche un altro dato più immediato, più facilmente
comprensibile e meno affidato ad una generica evocazione. Questo dato è il
seguente: entrambi i popoli si trovano in una situazione di frontiera, il
popolo polacco alla frontiera con l’impero sovietico, i popoli latinoamericani
alla frontiera con l’impero nordamericano.
È una categoria storica statisticamente frequente che
i grossi fenomeni di transizione non avvengano mai al centro dell’impero, ma
avvengano alla sua periferia. (…) Lo stesso processo di decomposizione
dell’Impero Romano è iniziato ai margini, alla periferia.
Questa periferia oggi è diventata importante, è
diventata il luogo degli accadimenti reali: senz’altro a Danzica è successo un
avvenimento reale ed è molto più probabile che questo avvenimento reale possa
accadere lungo la cordigliera delle Ande che non invece, mi dispiace per il
compagno Berlinguer (l’allora segretario del PCI – ndr), lungo le rive del Reno
o del Po.
La Vecchia Europa
Noi corriamo il rischio di essere tagliati fuori da
questo processo. Cosa ne sarà della vecchia Europa? La vecchia Europa è messa
male, il sogno che la rivoluzione, la terza fase, possa accadere tra la pianura
padana e il mare del Nord, è molto sogno e c’è poca probabilità che questo
sogno si traduca in realtà.
In quanto all’Europa io credo che si possa dire che ci
sia una sola chance, questa chance europea non è una rivoluzione operaia, la
classe operaia europea non è capace di una rivoluzione (…). L’unica possibilità
che ha l’Europa è una nuova evangelizzazione. Questa espressione è stata usata
con una terminologia estremamente chiara nell’agosto del 1978 da Wyszynski
(cardinale polacco – ndr) e da Wojtyla nel corso della loro visita in Germania,
all’indomani dell’elezione di Giovanni Paolo I.
Questa parola a mio parere resta la parola definitiva
sul destino dell’Europa, l’unico progetto possibile sull’Europa. Non a caso lo
Spirito Santo ha preso chi l’aveva detta all’Europa e lo ha fatto papa.
(…) ciò che in Europa è soggetto di evangelizzazione o effetto di questa
evangelizzazione, nei luoghi dove l’avvenimento cristiano si rigenera in una
fondamentale verità di avvenimento, è già ora capace di partecipare pienamente
a questo avvenimento storico, che è la possibilità di una reale rivoluzione
culturale, di una rivoluzione della cultura della solidarietà, iniziata in
Polonia e destinata a diffondersi nel mondo.
Un compito non lieve
In questo senso credo che ci sia una grossa
responsabilità di coloro che da noi stanno vivendo coscientemente un tentativo
di rinnovamento della Chiesa. È una responsabilità storica di prima importanza,
perché credo sia utile una funzione di catalizzazione, che permetta un
armonico, omogeneo processo di universalizzazione della rivoluzione della
solidarietà. È un compito che ci tocca, è un compito non lieve, è un compito
pesante, è un compito duro, è un compito per il quale vale la pena di vivere ed
è un compito per il quale vale la pena ringraziare il Signore di essere nati in
questo tempo, in questi anni della storia e non in altri.
Vivere il nostro tempo
(…) La decisione del 13 dicembre (il colpo di
Stato di Jaruzelski in Polonia – ndr) ha una contropartita impressionante: ha
reso possibile l’universalizzazione, la mondializzazione della rivoluzione
della solidarietà.
Spesso succede che i grandi imperi finiscano in
maniera tragicomica, ed è il caso dell’impero sovietico. Sta finendo in un
tramonto che ha certo del tragico, ma anche del sommamente ridicolo. Intanto il
nuovo mondo sorge e noi abbiamo la grazia di vederlo sorgere con i nostri occhi
e di partecipare a questo evento storico.
Non assistiamo ad un tramonto degli dèi, assistiamo ad
una primavera della storia, ad una svolta, all’inizio di un nuovo periodo della
storia.
Concludo ringraziando Iddio di averci chiamato a
vivere questo tempo (…). Questo ringraziamento non può essere disgiunto dal
riconoscimento del valore del sacrificio del popolo polacco, di questo popolo
flagellato, e nello stesso tempo non può essere disgiunto dal riconoscimento
della sofferenza eroica dei poveri dell’America latina, dell’autentico popolo
latinoamericano. Sono le dimensioni della nostra solidarietà dalla Vistola alle
Ande.
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