Leonardo Lugaresi è intervenuto con due post sul tema del Decreto Pontificio che disciplina il governo delle Associazioni e di movimenti cattolici.
Nel primo post affronta
il tema dei movimenti “carismatici”
Nel secondo svolge il
tema della “Personalità Carismatica”
dei Fondatori.
Questo secondo post è diviso in
tre punti. Dopo aver analizzato le ragioni del documento, riconosce la
necessità ai fini di una regolamentazione del governo delle associazioni e dei
movimenti, perché sono state riscontrabili
deviazioni e storture che necessitavano di un intervento definitivo. In un
primo punto analizza il caso del fondatore dei Legionari di Cristo, una vicenda
di “perversione diabolica”, in un secondo punto, ma su un altro piano, meno
tenebroso, ma inquietante, il caso del fondatore della comunità di Bose, nella
quale la personalità del fondatore da elemento generativo del movimento si è trasformata
in fattore divisivo e ostativo alla continuazione della sua vita.
La terza parte affronta con precisione e acutezza le difficoltà che nascono in rapporto alla definizione del ruolo, dei compiti e della natura dei suoi successori.
Ecco il testo completo di questa ultima parte.
(…) “Una terza situazione, del tutto diversa ma pur sempre problematica, è quella in cui anche quando la personalità del fondatore continua invece a stagliarsi nitida e pura nella luce di una santità che il tempo, lungi dall'offuscare, rende anzi sempre più splendida e avvincente (come è ad esempio il caso del Servo di Dio Luigi Giussani, e siano rese grazie a Dio per questo!), le difficoltà nascono in rapporto alla definizione del ruolo, dei compiti e della natura dei suoi successori. In questo caso, quando il padre se ne va, è la casa che non sembra più quella. Ed è di nuovo un problema che ha a che fare con la personalità.
Ma di che
cosa stiamo parlando, in definitiva? Che cos'è questo problema della personalità nella
chiesa a cui sto ripetutamente alludendo? Provo a metterlo a
fuoco per come ne sono capace, alla buona e in termini molto elementari, grato
sin d'ora a chi volesse aiutarmi a capire meglio, e magari a integrare e
correggere il mio approccio forse troppo ingenuo.
Penso che
si possa dire che nel cristianesimo si dà, essenzialmente, una tensione
polare tra due principi, o due dimensioni, che sempre coesistono: quello dell'universalità e
quello della personalità (che si connette geneticamente
al mistero dell'elezione). Dio infatti ama tutti gli uomini, senza
eccezione, e dunque a tutti si rivela non lasciando alcuno nell'impossibilità
di avere una qualche conoscenza di Lui. Tuttavia, se per una parte la Sua
autorivelazione è universale, in forma cosmica (cfr. Romani 1,
19-20), essa per lo più si compie in forma storica e
particolare, attraverso il mistero dell'elezione. Dio, che avrebbe potuto
rivelarsi universalmente a tutti gli uomini in eguale misura, facendo udire a
tutti la sua voce e mostrando a tutti gli stessi segni della propria azione nel
mondo, ha invece imperscrutabilmente voluto rivelarsi scegliendo.
(Il che significa, in modo urticante per noi adepti della moderna ideologia
delle pari opportunità, “discriminando” alcuni eletti da tutti gli altri). C'è
una krisis divina, che sceglie Abramo, a preferenza di tutti
gli altri uomini; e poi la sua discendenza, a preferenza di tutte le altre
genti; e anche dentro il suo popolo, continuamente elegge persone (come i
profeti) per ravvivare, correggere, incrementare la fede del popolo eletto
nella Sua rivelazione. Dio procede sempre così, fino alla scelta suprema di
Maria come madre del suo Figlio incarnato, il quale a sua volta sceglie pochi
uomini, dodici, e solo a loro “spiega ogni cosa” (cfr. Mc 4, 34), per mandarli
infine ad essere suoi testimoni «fino ai confini della terra» (Atti 1, 8).
Ora, scegliere persone,
per farne il “veicolo” della propria rappresentazione nel mondo a beneficio di
tutti gli altri, significa necessariamente anche scegliere
delle personalità. E la personalità, per definizione, è
sempre particolare. Essa non attinge mai alla totalità, in
quanto può esprimere e corrispondere solo ad alcuni aspetti dell'intera realtà
umana, e non ad altri. Di conseguenza, ogni personalità è facilitata ad
incontrare, comprendere e valorizzare certi aspetti dell'umano, mentre risulta
meno idonea, o addirittura inabile ad entrare in rapporto con altri. Sta qui la
faglia, se così posso dire, in cui si scarica la tensione polare di cui sopra.
Come questa tensione si risolva nella persona di Gesù Cristo, che è vero uomo
(cioè una persona particolare) e vero Dio (cioè la totalità
dell'essere), è il più vertiginoso dei misteri. Giustamente Romano Guardini,
che ha scritto un prezioso libro sul La realtà umana del
Signore. Saggio sulla psicologia di Gesù, avverte che «la categoria della
“personalità” non gli si addice» perché «l'esistenza di Gesù non ha una sua
“figura” che possa essere indicata e circoscritta umanamente. [...] La realtà
di Gesù [...] non si restringe a nessuna forma particolare di questa esistenza,
ma è in grado di appellarsi a tutte, di penetrare in tutte e di trasformarle
tutte». Ma ciò che vale per Gesù, non
vale più per nessuno dei suoi discepoli: ciascuno dei suoi, per quanto
seriamente si sforzi di “imitare Cristo” e di farlo vivere in se stesso, ha e
mantiene una sua personalità, quindi anche una
propria struttura etica e psicologica che sarà, inevitabilmente, attrattiva e facilitante all'incontro per
alcuni e, al contrario, per altri repulsiva e ostacolante (fino al limite della
tentazione di scandalo in casi estremi).
La storia della chiesa assume pienamente questo dato di realtà e lo valorizza nella concezione dei carismi come doni particolari dello Spirito che si incarnano appunto in personalità carismatiche. Don Giussani, a questo proposito, ha svolto considerazioni illuminanti analizzando con molta finezza il rapporto
tra carisma e temperamento. «Il cristiano» - egli osserva in Perché la Chiesa. Volume terzo del PerCorso - «diventa e rimane tale, cioè strumento del divino, mantenendo il proprio temperamento particolare. [...] la comunicazione di Dio è incarnata nel temperamento dell'uomo. Esso costituisce una “condizione” che Dio accetta e trasforma in “strumento” del suo disegno. [...] L'unità della Chiesa, la sua forza propulsiva verso tutti gli uomini, la sua interna necessità di essere il più efficace possibile nel portare un messaggio unico e irripetibile all'umanità sono servite da temperamenti diversi, addirittura da progetti fenomenicamente opposti [...] Tutto questo non può essere né obiezione né motivo di adesione al messaggio: non ci si può attardare né sul fascino delle grandi personalità, né sui loro limiti. Si aderisce o si rifiuta qualcosa per il suo contenuto, per la sua verità [...]». Il punto è molto delicato, perché come Giussani chiarisce altrove, il temperamento «è parte di un carisma» perché un carisma «è definito anche dalla capacità di persuasività con cui il modo di percepire e di presentare il fatto cristiano è dato», ma occorre una «responsabilità verso il proprio temperamento» per evitare che esso prevalga sul dono dello Spirito di cui deve rimanere umile strumento.
Se quella
della personalità carismatica è, come sopra si è suggerito, la faglia in cui si
scarica la tensione tra i due poli della totalità della rivelazione divina e
della particolarità della persona eletta a trasmetterne l'annuncio, non
stupisce che vi siano in essa movimenti sismici anche violenti e rovinosi.
Forse
– ma è solo un'ipotesi che azzardo – la terribile prova che stiamo
attraversando con la crisi dei carismi di cui sopra è un
salutare scossone che serve alla chiesa per purificare e rettificare la propria
consapevolezza di quel dono.
Questo mi
parrebbe un buon punto da cui meditare su tutta la dolorosa vicenda.
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