«Le dimissioni di don Julián Carrón dalla carica di Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, comunicate ai relativi componenti attraverso una lettera colma di significati, rimandi ed emozioni, presentano una dignità ecclesiale che trascende le contingenze eventualmente coinvolte.
Sicché non possono essere ridotte alla stregua di una scelta personale e strategica, quasi a trattarsi del “gesto di un uomo amareggiato” e determinato a lanciare “una sfida a chi l’ha spinto a farlo”; nemmeno possono essere degradate all’intenzione del sacerdote di “togliere alibi ai suoi critici interni, spogliarsi di ogni potere e liberare così la scelta della nuova guida dalla sua tutela”, come invece ha sostenuto Antonio Polito sul Corsera martedì.
Piuttosto, esse trovano fondamento in più decisive ragioni di ordine teologico e canonico, che la lettera lascia trasparire e che occorre cogliere nella loro radicale essenzialità, pena la relativa incomprensione e vanificazione.
Scopo dichiarato delle dimissioni è stato
quello di favorire la libertà delle prossime fasi della vita della Fraternità,
così da sollecitare la conseguente responsabilità di ciascuno. Dopo avere
evidenziato la necessità che “il cambiamento della guida a cui siamo chiamati
dal Santo Padre […] si svolga con la libertà che tale processo richiede”, don
Carrón ne ha precisato il fine: “[portare] ciascuno ad assumersi in prima
persona la responsabilità del carisma”. Si tratta di parole per nulla scontate,
che dimostrano una maturata comprensione e condivisione di quanto chiesto da
Papa Francesco.
All’origine
vi è la questione della natura del carisma di Comunione e Liberazione: se da intendere come esclusivamente personale
e, dunque, come direttamente ed esclusivamente trasmissibile dal fondatore al
successore alla stregua del mantello dato da Elia a Eliseo, riprendendo
l’esemplificazione ironicamente stigmatizzata dal Vescovo di Roma nel corso
dell’incontro con i movimenti ecclesiali dello scorso 16 settembre 2021 (“[…]
un caso che mi sembra strano, come «lo spirito del fondatore è disceso su di
me». Sembra una profezia di Isaia! «Lo ha dato a me! Io devo andare avanti sola
o solo perché il fondatore mi ha dato il suo mantello, come Elia a Eliseo. E
voi, sì, fate le votazioni, ma sono io il comando». E questo succede! Non sto
parlando di fantasie. Questo succede oggi nella Chiesa”); ovvero, al contrario,
se da considerare come comunitario, in
quanto donato per opera dello Spirito Santo non a singoli individui, bensì a
una “pluralità sincronica e diacronica d’individui per l’utilità della Chiesa”,
come ha chiarito Padre Ghirlanda in una conversazione con i Memores Domini;
oppure, meglio ancora, in quanto donato a una compagnia costituita da “persone,
o momenti di persone”, secondo l’espressione usata da don Giussani e cara a
tanti: “in ogni compagnia vocazionale ci sono sempre persone, o momenti di
persone, da guardare”.
Il contenuto della lettera di dimissioni non
lascia adito a dubbi. Il rinvio di don Carrón all’assunzione in prima persona
della responsabilità del carisma non è fine a sé stesso; né tantomeno la
perseguita libertà delle prossime fasi della vita della Fraternità serve a
scimmiottare le prescrizioni delle istituzioni democratiche.
Il
carisma di Comunione e Liberazione non è personale, ma comunitario.
Per il suo tramite tanti fedeli (magari prima
estranei alla vita della Chiesa) sono stati toccati dallo Spirito Santo,
afferrati nell’esperienza che ne è stata suscitata e che ora è affidata alla
loro responsabilità. Tutti sono parimenti e drammaticamente responsabili dello
stesso strumento (carisma), che per grazia e senza merito ha afferrato ciascuno
attraendone la libertà. Basta questa consapevolezza per vivere con libertà e
responsabilità i prossimi passi della Fraternità. Commentando la propria
conversione, Giovanni Testori scriveva della novità esistenziale percepita:
“Figlio ero. Di cos’altro avevo bisogno?”.
Le dimissioni di don Carrón rilanciano ciascuno
nella consapevolezza della figliolanza dalla Chiesa per il tramite del carisma
di Comunione e Liberazione. Ora sarà sempre più necessario comprendere la
grazia della storia che ricomincia; sarà
opportuno non “discutere”, ma “riflettere” sulle implicazioni delle
responsabilità chieste a ciascuno. Come aveva spiegato Padre Ghirlanda ai
Memores domini: “la discussione parte dalla contrapposizione delle idee,
quindi, in genere dalla scarsa disposizione all’ascolto dell’altro. Il che non
costruisce niente. La
riflessione, invece, parte innanzitutto da un atteggiamento di preghiera,
quindi di ascolto dello Spirito che crea la comunione tra i membri del gruppo
che si riunisce, ponendolo sempre nel contesto ecclesiale in cui si trova.
Nell’ascolto dello Spirito si è nella disposizione dell’ascolto dell’altro
facente parte del gruppo e della Chiesa di cui si è parte viva e al cui
servizio ci si pone. Solo questo è costruttivo”.
Occorre andare avanti nell’umiltà e nella
consapevolezza che è il Signore che fa la Chiesa e che la partecipazione di
ciascuno alla Sua opera (la responsabilità di cui ha scritto don Carrón)
consisterà anzitutto nella grata letizia del cuore. Il resto – riprendendo
Mounier – accadrà “quasi per distrazione”».
VINCENZO TONDI DELLA MURA
Ordinario di diritto costituzionale
Tratto da IL FOGLIO 19/11/2021
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