mercoledì 3 novembre 2021

REFERENDUM PER LA CANNABIS LEGALE, UN CASO ESEMPLARE DI “FRODE DA ETICHETTA”

Non riguarda solo la cannabis e non la rende legale. Tutte le bugie dell’ennesima campagna per sdoganare la canapa “leggera” (anche questo si fa per dire)

ALFREDO MANTOVANO

Distribuzione della Cannabis a Torino

I promotori lo chiamano “referendum cannabis legale”: ma la prima e la terza parte del quesito riguardano ogni tipo di droga, mentre la seconda, limitata alle droghe cosiddette leggere, fra cui la cannabis, in realtà non la rende “legale”. Provo a motivare perché ci si trova di fronte a un caso esemplare di frode da etichetta.

Parto dal quesito referendario. «Volete voi che sia abrogato (il testo unico sulla droga) limitatamente alle seguenti parti: articolo 73, comma 1, limitatamente all’inciso “coltiva”; articolo 73, comma 4, limitatamente alle parole “la reclusione da due a 6 anni e”; articolo 75, limitatamente alle parole “a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni;”?».

Che cosa accadrebbe se il referendum fosse ammesso e prevalessero i sì?

LECITA QUALUNQUE COLTIVAZIONE

Libera coltivazione di ogni droga. Con la prima parte del quesito verrebbe abrogata la punizione della coltivazione di qualsiasi tipo di stupefacente, non soltanto della cannabis e dei suoi derivati: si pensi all’oppio, alla coca o ai funghi allucinogeni. Da quando esiste una normativa di prevenzione e di contrasto della droga, il divieto di coltivazione rappresenta una “difesa anticipata”; e la legge n. 242/2016 disciplina la coltivazione della canapa non certo allo scopo di ricavarne sostanza stupefacente, tanto che esclude la liceità della cessione: quindi non è evocabile in materia, come sancito da una sentenza del 2019 delle sezioni unite della Cassazione.

Le stesse sezioni unite, con una successiva pronuncia del 2020, non del tutto in linea col precedente, hanno ritenuto lecite, limitatamente alla cannabis, «le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore».

NON NASCONDETEVI DIETRO AI MALATI

L’approvazione del referendum avrebbe l’effetto di rendere lecita qualsiasi attività di coltivazione, non soltanto in forma domestica, poiché l’abrogazione tranchant del «coltiva» prescinde dall’estensione: l’evidente maggiore remuneratività derivante dal dedicare un appezzamento di terreno alle piante di cannabis invece che al basilico o ai pomodori trasformerà agricoltori spinti dall’esclusivo intento di profitto in emuli dei talebani, con possibilità di spaziare all’oppio e alla coca.

Ci si risparmi il richiamo pietistico ai pazienti che ricaverebbero sollievo da oppiacei o cannabinoidi e che invece ne sono impediti da sadici divieti: chi, medico o paziente, ha pratica di terapia del dolore riceve o somministra stupefacenti come ad esempio la morfina, ma sotto stretto controllo e per dosi rigorosamente commisurate all’entità della sofferenza. La terapia del dolore non è un irresponsabile fai-da-te: richiamarla in questa prospettiva è dannoso per il malato e sfiduciante verso i medici a ciò abilitati.

DALLA GALERA ALLA MULTA

No reclusione per lo spaccio. La seconda parte del quesito abroga la sanzione detentiva per le attività di produzione e commercio degli stupefacenti ordinariamente qualificati “leggeri”: residuerebbe esclusivamente la multa, il che è sufficiente a non rendere formalmente “legali” le relative condotte.

A proposito della “leggerezza” è ben noto che la percentuale di principio attivo della cannabis, cioè la sostanza che provoca l’effetto drogante, il cosiddetto Thc (acronimo di delta9-tetraidrocannabinolo), non oltrepassa in natura il 2,5 per cento, potendo causare alterazioni dell’equilibrio fisiopsichico già sotto l’1 per cento; altrettanto noto è quanto sia fiorente, anche online, il mercato di semi di piante da cui provengono sostanze stupefacenti, e insieme con esso il mercato di strumenti per incrementarne l’effetto. Grazie a fornetti in libera vendita la percentuale di Thc può essere incrementata fino al 10 per cento, al 20 per cento e più: la media dei derivati della cannabis oggi sottoposti a sequestro dalla polizia giudiziaria, e quindi a perizia giudiziaria tossicologica, è di circa il 17 per cento, con punte del 60 per cento: che cosa c’è di “leggero” in uno spinello contenente un principio attivo 10 o 20 volte superiore rispetto all’infiorescenza naturale?

L’intervento abrogativo non conoscerebbe limiti di quantità, di percentuale di principio attivo, di età dell’acquirente. Lo spacciatore potrebbe cedere a un minore un chilogrammo di spinelli col 30 per cento di Thc, ed essere condannato, se gli va tutto male, al pagamento di una somma la cui soglia minima è 5.164 euro: nel calcolo costi/benefici è un rischio che si può affrontare.

VITTIME SULL’ASFALTO

Patente mantenuta a chi usa droga. Con l’ultima parte del quesito verrebbe abrogata la sanzione amministrativa che colpisce, unitamente ad altre, la condotta di chi «per farne uso personale» importa, riceve, detiene, eccetera sostanze stupefacenti di qualsiasi tipo (quindi non soltanto cannabis e derivati, ma cocaina, eroina, “pasticche”…), cioè la sospensione della patente di guida o il divieto di conseguirla fino a tre anni.

È vero che il referendum non incide sull’articolo 187 del Codice della strada, che sanziona chi viene colto in stato di alterazione dopo aver assunto stupefacenti, ma anche la norma che intende eliminare realizza una “difesa anticipata”. Chi detiene o riceve droga va incontro a sanzioni amministrative, come questa, invece che a sanzioni penali, proprio perché – sulla base di indici spesso di larga applicazione – viene presunto che il quantitativo in suo possesso sia destinato a uso personale.

Se tale è la destinazione, è arduo escludere che chi fa uso di droga poi si astenga dal mettersi alla guida di un veicolo finché l’effetto non sia svanito: anche perché non ha piena contezza di quando l’effetto scompaia realmente.

Con le percentuali di Thc in circolazione, l’effetto drogante della “leggera” cannabis può protrarsi per più giorni, e magari manifestarsi proprio quando serve avere il massimo della padronanza di sé, per esempio in una situazione di stress mentre si conduce una vettura o una motocicletta.

L’approvazione del quesito di fatto ridurrebbe la portata di figure di reato introdotte con enfasi in anni recenti, come l’omicidio stradale, oltre che lasciare ancora più vittime sull’asfalto.

Foto ANSA

tratto da TEMPI

 

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