Tratto da : "Svolta per l’Europa? Riflessione sulla crisi del nostro tempo". Relazione tenuta all’Università di Ratisbona, 28 gennaio 1991. Oggi in : La vera Europa, ed Cantagalli, p.148)
Che cosa dunque deve fare la Chiesa o le Chiese nel
contesto attuale?
Risponderei:
esse dovrebbero in primo luogo essere una buona volta veramente se stesse. Non è loro lecito lasciarsi degradare a puro
strumento di moralizzazione della società, come desidererebbe lo Stato
liberale; e ancor meno volersi legittimare in virtù dell’utilità delle loro
iniziative di carattere sociale.
Quanto più una Chiesa concentra la propria attenzione
soltanto su ciò che, in proposito, dovrebbe essere per così dire un suo
“specifico contributo”, tanto più essa fallirà anche in questo.Ratzinger al centro nei giorno
della ordinazione sacerdotale
Ne è un indice significativo il fatto che nella
Chiesa, oggi, quanto più essa si
concepisce soprattutto come istituzione che promuove il progresso sociale,
tanto più si inaridiscono in essa le vocazioni al servizio del prossimo:quelle
forme di servizio ai vecchi, agli ammalati, ai bambini, che godevano invece di
così buona salute, quando lo sguardo era ancora essenzialmente rivolto a Dio.
Il richiamo di Cristo - «Cercate prima il regno di Dio
e la sua giustizia, tutto il resto vi sarà donato in sovrappiù» (Mt 6,33) - si
dimostra vero qui per così dire in modo semplicemente empirico.
Con l’acutezza di sguardo di chi osserva da lontano,
Adorno e Horkheimer hanno stigmatizzato il tentativo di alcuni teologi di
sottrarsi furtivamente a ciò che rappresenta il cuore della fede, il tentativo
cioè di considerare la Trinità, l’aldilà e i racconti della Bibbia come
qualcosa di innocuo, respingendoli nella dimensione puramente simbolica. Quando i teologi - affermano Adorno e
Horkheimer - mettono fra parentesi il dogma, i loro discorsi perdono del tutto
la loro validità; essi si piegano a quella “paura della verità”, in cui
l’appiattimento spirituale del presente affonda le proprie radici.
No, in questo modo non si può “salvare” la Chiesa.
Essa invece deve innanzitutto e con risolutezza fare quanto è suo proprio;
adempiere il compito, in cui si fonda la sua identità: far conoscere Dio e
proclamare il suo regno. Proprio così e solo così si crea quello spazio
spirituale, nel quale il momento morale può esistenzialmente tornare a
rifiorire, ben oltre l’ambito dei soli credenti.
(…)
Lungo la storia del genere umano Agostino vedeva
fronteggiarsi due specie di amore: l’amore di sé spinto fino al disprezzo di
Dio, e l’amore di Diospinto fino al disprezzo di sé.
Oggi potremmo forse formulare lo stesso tema e dire
che la Storia reca in sé il sigillo del
contrasto tra l’amore e l’incapacità di amare: quella devastazione dei
cuori, che ha luogo là dove l’uomo non è capace di riconoscere come valore e
come realtà effettiva altro che i valori materiali.
La capacità
di amare – cioè la capacità di attendere con pazienza ciò di cui non si può
disporre né pretendere, e di lasciarsi colmare dal suo dono –viene soffocata da quelle soddisfazioni veloci ed effimere,
in cui io non sono posto in relazione con alcuno, ma neanche devo uscire da me
stesso, e perciò neppure entrare più profondamente in me stesso.
Questa distruzione della capacità di amare partorisce
una noia mortale (*), genera un vero e proprio avvelenamento dell’uomo. Dovesse
essa imporsi nella situazione presente, verrebbero allora annientati l’uomo e
con lui anche il mondo stesso.
In questo dramma non possiamo no opporci all’onnipotenza
della quantità dei piaceri per schierarci nelle fila del vero amore. Ecco la
decisione che quest’ora esige da noi
(*) in Momo, di M. Ende, Mastro Hora, il padrone del tempo, parla di una strana malattia: “All’inizio non ci si fa ancora molto caso: un giorno non si ha più alcuna voglia di fare alcunché. Nulla interessa più, ci si annoia … si diventa del tutto indifferenti e tristi … Non c’è più collera né entusiasmo. Non si può più gioire né rattristarsi …. Allora s’è fatto freddo dappertutto, e non si può più voler bene a niente e a nessuno … Si chiama tedio mortale, questa malattia”
(Joseph Ratzinger, La vera Europa, p.148)
Svolta per l’Europa? Riflessione sulla
crisi del nostro tempo
Relazione tenuta all’Università di
Ratisbona, 28 gennaio 1991
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