Il Ministro dell’istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, rispondendo a Milano a una domanda sul bullismo, ha proposto come esempio positivo il modo con cui il Preside di un Istituto tecnico di Gallarate ha trattato il caso di un ragazzo colpevole di aver preso a pugni una docente.
Il ragazzo è
stato punito con la sospensione di un anno. Il Preside ha affrontato
pubblicamente con i ragazzi il caso. Il Ministro ha elogiato il Preside quale
educatore, perché, diversamente da altri dirigenti e docenti, non ha
giustificato il comportamento del ragazzo, magari ricorrendo alle sue
motivazioni nascoste o alla condizione sociale: colpa del liberismo selvaggio
o, perché no, del mutamento climatico?
Ha poi
aggiunto: “…Noi dobbiamo ripristinare non soltanto la scuola dei diritti, ma
anche la scuola dei doveri. Quel ragazzo deve fare i lavori socialmente utili,
perché soltanto lavorando per la collettività, per la comunità scolastica,
umiliandosi anche… evviva l’umiliazione che è un fattore fondamentale nella
crescita e nella costruzione della personalità! Di fronte ai suoi compagni è
lui, lì, che si prende la responsabilità dei propri atti e fa lavori per la
collettività. Da lì nasce il riscatto. Da lì nasce la maturazione. Da lì nasce
la responsabilizzazione”.
Il lemma
“umiliazione” ha fatto scattare l’indignazione delle vedove – del Ministero –
in gramaglie, dal Centro fino alla Sinistra estrema. Carlo Calenda: “Ma questi
dove li hanno presi! Che vergogna!”. Si suppone che alluda ai Ministri.
Furfaro, deputato PD: “… ma Valditara ha mai letto un qualsivoglia studio di
psicologia e pedagogia? “. Luca Bizzarri, attore e comico, 1,6 mln di follower
sul social network: “… Un Ministro dell’Istruzione che parla dell’umiliazione
pubblica come strumento di crescita. La stigmatizzazione pubblica. Io sono
favorevole ai lavori socialmente utili, ma credo, sommessamente, che questo sia
fascismo”. Altri hanno rimproverato al Ministro di ignorare le neuroscienze e
forse anche i neuroni a specchio.Edward Hopper "Stanza d'albergo" (1931)
Ora, “umiliazione” è certamente termine metaforico inadeguato e poco formale tanto in un contesto giuridico quanto in quello relazionale-educativo. Ma l’ondata di reazioni che è venuta dal suo uso improprio è altamente istruttiva ed allarmante, perché dà la misura della malafede e dell’ignoranza, di cui soffrono parecchi politici, dirigenti scolastici, insegnanti, genitori, giornalisti, opinion leader e blogger…, su come si costruisca l’etica individuale e quella pubblica. O, detto in altro modo ancora: di quale irresponsabilità educativa, civile e politica essi siano colpevoli.
All’on.
Furfaro, psico-pedagogista di complemento, si dovrebbe chiedere se abbia mai
letto, lui, un libro di antropologia o semplicemente di storia. Perché
scoprirebbe che i comportamenti socialmente positivi, che noi eleviamo a
modelli e che, perciò, chiamiamo valori,
si affermano solo attraverso un lungo e spesso doloroso apprendistato sociale,
nel quale ciò che la famiglia, il clan, la tribù, la società civile
ritengono socialmente positivo viene premiato e ciò che ritengono negativo
viene sanzionato pubblicamente.
Persuasione e
coercizione si intrecciano, fatalmente. La punizione assume varie forme, tutte
pubbliche. Perché la pubblicità dell’”umiliazione” del colpevole – di violenza,
di furto, di omicidio… – serve a educare tutti, eventualmente anche il colpevole,
al rispetto dei valori e delle regole condivisi. Il colpevole ha ceduto
all’impulso? Tutti, lui compreso, devono sapere che sarà punito socialmente
cedere agli impulsi belluini. Aveva fame? Non perciò si giustifica il furto. Se
uno commette un reato, viene condannato.Edward Hopper "Morning sun" (1952)
La condanna consiste, in primo luogo,
nella stigmatizzazione pubblica della colpa oltre che, eventualmente, nella
privazione della libertà individuale. La condanna è un atto pubblico
pedagogico, attraverso il quale la società costringe il colpevole e tutti gli
altri, che non lo sono, ma che potrebbero imitarlo, a prendere atto che quel
comportamento è distruttivo dei rapporti sociali. Sì, è un’umiliazione. “Humiliare”: riportare un individuo alla terra,
all”humus” appunto.
La
coercizione/punizione/umiliazione è educativa? Certamente lo è per ogni
individuo.
Lo è anche
per il colpevole? La punizione è un incentivo a evitare di ripetere il gesto.
Può anche rigenerare la sua scala di valori, per cui l’umiliazione si trasformi
in occasione di redenzione e di metanoia individuale? Dipende da lui, in primo
luogo, ma anche dalle modalità di somministrazione della pena.
Se queste
sono le regole sociali, non si capisce perché non debbano valere anche
nell’istituzione scolastica, che è, insieme alla famiglia, uno dei luoghi nei
quali l’individuo introietta i valori sociali e si forma il carattere. La famiglia e la scuola sono le fonti
generative della società civile.
Non si comprende perché nella scuola e in generale
nell’educazione dei ragazzi e degli adolescenti debba valere la pretesa
dell’impunità, in forza della quale non si risponde pubblicamente e non si paga
pubblicamente il conto delle proprie azioni. Perché debba valere l’idea sottesa che
non ci si debba assumere delle responsabilità nello stare nel mondo e che non
ci sia un’autorità – che rappresenta la Realtà – ben oltre la nostra coscienza
soggettiva, cui si deve rispondere.
Agli
educatori più avvertiti non sfugge che gli adulti, in fuga dall’educare, stanno
producendo una generazione di ragazzi e di giovani che hanno paura del mondo,
che non reggono le frustrazioni che la realtà infligge a ciascun individuo in
tempi e modi diversi nel corso della sua vita.
Depressione e bullismo sono due virus,
che si moltiplicano in questo humus di irresponsabilità, di impunitismo, di
facilismo, di rapporto irrealistico con la realtà del mondo. Sì, la
punizione deve essere pubblica! O si pensa che l’ammissione della colpa e la
sua espiazione debbano avvenire nel complice segreto del confessionale o, come
oggi si dice, in regime di privacy?
È venuta
avanti una marea di battute sui “lavori
socialmente utili”, cui il Ministro ha proposto di destinare eventualmente
il ragazzo colpevole di bullismo. Le battute trasmettono malafede,
superficialità e diserzione educativa da parte del mondo adulto. C’è un altro
modo per educare all’assunzione di responsabilità, al riscatto e alla
ricostruzione del Sé, se non quello di accompagnare in un ambiente, in cui si
risponda a regole, a persone, a un’organizzazione collettiva? Non è questo,
d’altronde, anche il senso educativo dell’alternanza scuola/lavoro? Non è la
pratica il modo concreto di apprendere l’etica pubblica?
Edward Hopper, "I nottambuli" (1942) |
Resterebbe da interrogarsi sull’allegra
antropologia che parte della sinistra teorizza e pratica. Allan Bloom l’ha già
definita nel suo libro del 1987, intitolato “La chiusura della mente
americana”, “un nichilismo senza abisso”.
Un’idea della
storia umana senza giudizio finale – al Liceo romano Morgani hanno deciso di
non dare più i voti, ma daranno i giudizi di verità? – senza dramma, senza
dolore, senza fatica. Sant’Agostino
direbbe: “senza peccato originale”. Giacché, se fossimo esenti da
quello, non avremmo bisogno di autorità, di educazione, di responsabilità, di
pena, di espiazione.
Tutto
verrebbe facile come pare accadesse nel Paradiso terrestre. Peccato che lo
stiamo facendo credere anche ai nostri ragazzi. Ai quali stiamo così preparando
un futuro tutt’altro che paradisiaco. Quella del peccato originale ti pare una
fake news? Puoi sempre ripiegare sulla constatazione di una permanente
animalità della specie sapiens. Dovrebbe bastare.
GIOVANNI COMINELLI
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