A CHE PUNTO SIAMO
Il conflitto pro o contro la benedizione
delle coppie omosessuali sta fornendo all’opinione pubblica un’immagine della
Chiesa del tutto appiattita su quella altrettanto conflittuale della società
secolare.
Ci sono i vescovi tedeschi e belgi che
l’approvano e la praticano. C’è qualche cardinale, come Gerhard Müller, anche
lui tedesco, che per questo li bolla come eretici e vuole che siano sottoposti
a processo canonico. C’è un altro cardinale, Jean-Claude Hollerich,
lussemburghese e gesuita, che invece preme per un ancor più generale
“cambiamento di paradigma” nella prassi e nella dottrina della Chiesa in
materia di sessualità. C’è la Santa Sede che vieta la benedizione delle coppie,
e la vieta con l’”assenso” scritto del papa.dal Corriere della Sera
Ma c’è Francesco che questo assenso se
lo rimangia subito dopo, promuove Hollerich a numero uno del sinodo mondiale in
corso e lo ringrazia per il gran lavoro che fa, ma anche si dice scontento del
sinodo tedesco perché troppo “guidato da un’élite” invece che dal buon popolo.
E comunque lascia che i vescovi novatori facciano ciò che vogliono, come ha
raccontato entusiasta uno di loro, il belga Johan Bonny, ai colleghi del sinodo
di Germania: che cioè il papa in persona, incontrando i vescovi del Belgio in
visita “ad limina”, li ha incoraggiati ad andare avanti con le loro
benedizioni.
Sta di fatto che in questo confuso
rumore di battaglia svaniscono le ragioni vere e profonde, antropologiche e
bibliche, a sostegno della visione cristiana della sessualità. Al punto che chi
ci prova a esporre tali ragioni con competenza e pacatezza sembra dire qualcosa
di mai detto, di straordinario, di finalmente nuovo e rivelatore, lo si
condivida o no.
È
un po’ ciò che si prova leggendo la “Lettera pastorale sulla sessualità umana”
che i vescovi della Scandinavia hanno fatto circolare oggi tra i loro fedeli,
in questa quinta domenica di Quaresima.
A firmare questa inusuale lettera
pastorale sono i vescovi della Scandinavia, cioè di Svezia, Norvegia,
Danimarca, Islanda, Finlandia, tra i quali un cardinale. Sono a capo di
comunità cattoliche numericamente esili. Ma l’alta qualità dei loro interventi
è stato un elemento di sorpresa, ad esempio, nella recente assise che ha
riunito a Praga le rappresentanze di tutti gli episcopati d’Europa. Lì i
vescovi scandinavi non erano certo al traino dei loro spericolati colleghi di
Germania o del Belgio. E il loro voto è stato decisivo anche nella successiva
nomina del nuovo presidente della Commissione degli episcopati dell’Unione
Europea, dove al posto di Hollerich è stato eletto il molto più moderato
Mariano Crociata.
Ecco dunque la lettera dei vescovi di
Scandinavia.
Conferentia
episcopalis Scandiae
LETTERA PASTORALE SULLA SESSUALITÀ UMANA
Quinta
domenica di Quaresima 2023
Cari fratelli
e sorelle,
I quaranta giorni di Quaresima sono un richiamo ai quaranta giorni in cui Cristo digiunò nel deserto. Ma non solo. Nella storia della salvezza, i tempi di quaranta giorni segnano varie tappe nell’opera della redenzione portata avanti da Dio e che continua ancor oggi. Un primo intervento ebbe luogo ai giorni di Noè. Avendo visto la rovina operata dall’uomo (Genesi 6,5), il Signore sottopose la terra a un battesimo purificatorio. “Cadde la pioggia sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti” (Genesi 7,12). Da qui un nuovo inizio.
Quando Noè e
i suoi parenti tornarono in un mondo ripulito dall’acqua, Dio fece il suo primo
patto con “ogni carne”. Promise che mai più il diluvio avrebbe distrutto la
terra. Agli uomini chiese giustizia: onorare Dio, costruire la pace, essere
fecondi. Siamo chiamati a vivere beati sulla terra, a trovare gioia gli uni
negli altri. Il nostro potenziale è meraviglioso finché ricordiamo chi siamo:
“perché a immagine di Dio, Egli ha fatto l’uomo” (Genesi 9,6). Siamo chiamati a
dare compimento a questa immagine attraverso le scelte di vita che facciamo. Per
ratificare la sua alleanza, Dio pose un segno nel cielo: “Il mio arco pongo
sulle nubi ed esso sarà il segno dell’alleanza tra me e la terra. Quando
apparirà l’arco sulle nubi, io lo guarderò per ricordare l’alleanza eterna tra
Dio e ogni essere che vive in ogni carne che è sulla terra” (Genesi 9,13, 16).
Il segno
dell’alleanza, l’arcobaleno, oggi è rivendicato come simbolo di un movimento
allo stesso tempo politico e culturale. Riconosciamo quanto c’è di nobile nelle
aspirazioni di questo movimento. Le condividiamo nella misura in cui parlano
della dignità di tutti gli esseri umani e del loro desiderio di visibilità. La
Chiesa condanna ogni ingiusta discriminazione, qualunque sia, anche quella che
si fonda sul genere o sull’orientamento sessuale. Dissentiamo da esso,
tuttavia, quando il movimento propone una visione della natura umana che astrae
dall’integrità incarnata della persona, come se il sesso fosse qualcosa di
accidentale. E ci opponiamo quando tale visione viene imposta ai bambini come
una verità provata e non un’ipotesi ardita, e imposta ai minori come un pesante
carico di autodeterminazione al quale non sono preparati. È curioso: la nostra
società tanto preoccupata per il corpo, di fatto lo prende alla leggera,
rifiutando di vedere il corpo come segno di identità, e supponendo di
conseguenza che l’unica individualità sia quella prodotta dall’autopercezione
soggettiva, costruendo noi stessi a nostra immagine.
Quando
professiamo che Dio ci ha fatti a sua immagine, questa non si riferisce solo
all’anima. Appartiene misteriosamente anche al corpo. Per noi cristiani il
corpo è legato intrinsecamente alla personalità. Noi crediamo alla risurrezione
del corpo. Naturalmente, “saremo tutti trasformati” (1 Corinzi 15,51). Cosa
sarà il nostro corpo nell’eternità è difficile immaginarlo. Crediamo
nell’affermazione biblica, fondata sulla tradizione, che l’unità di mente,
anima e corpo durerà per sempre. Nell’eternità saremo riconoscibili per quello
che già ora siamo, però gli aspetti conflittuali che ancora impediscono lo
sviluppo armonioso del nostro vero sé saranno stati risolti.
“Per grazia
di Dio sono quello che sono” (1 Corinzi 15,10). San Paolo ha dovuto lottare con
se stesso per fare in fede questa affermazione. Così, abbastanza spesso, anche
noi. Siamo consapevoli di tutto ciò che non siamo; ci concentriamo sui doni che
non abbiamo ricevuto, sull’affetto o sull’affermazione che manca nella nostra
vita. Queste cose ci rattristano. Vogliamo rimediare. A volte è ragionevole.
Spesso è inutile. Il cammino dell’accettazione di noi stessi passa attraverso
il nostro impegno con ciò che è reale. La realtà della nostra vita abbraccia le
nostre contraddizioni e ferite. La Bibbia e le vite dei santi mostrano che le
nostre ferite possono, per grazia, diventare fonti di guarigione per noi stessi
e per gli altri.
L’immagine di
Dio nella natura umana si manifesta nella complementarità del maschile e del
femminile. L’uomo e la donna sono creati l’uno per l’altra: il comandamento di
essere fecondi dipende da questa reciprocità, santificata nell’unione nuziale.
Nella Scrittura, il matrimonio dell’uomo e della donna diventa immagine della
comunione di Dio con l’umanità, che sarà perfetta nelle nozze dell’Agnello alla
fine della storia (Apocalisse 19,6). Non significa che tale unione, per noi,
sia facile o indolore. Ad alcuni sembra un’opzione impossibile. Ad un livello
interiore, l’integrazione di caratteristiche maschili e femminili può essere
ardua. La Chiesa lo riconosce. Desidera abbracciare e consolare tutti coloro
che vivono con difficoltà questa problematica.
Come vostri
vescovi vogliamo sottolineare che siamo qui per tutti, per accompagnare tutti.
Il desiderio di amore e la ricerca di un’integrazione sessuale tocca
intimamente gli esseri umani. Sotto questo aspetto siamo vulnerabili. Ci vuole
pazienza nel cammino verso l’integrazione, e gioia per ogni passo ulteriore.
C’è già, per esempio, un enorme salto di qualità nel passare dalla promiscuità
alla fedeltà, indipendentemente dal fatto che la relazione stabile corrisponda
pienamente o meno all’ordine oggettivo di un’unione nuziale sacramentalmente
benedetta. Ogni ricerca di integrazione è degna di rispetto, merita
incoraggiamento. La crescita in saggezza e virtù ha uno sviluppo organico.
Avviene gradualmente. Allo stesso tempo la crescita, per dare buoni risultati
(o per essere feconda), deve procedere verso una meta. La nostra missione e il
nostro compito di vescovi è indicare il cammino pacificante e vivificante dei
comandamenti di Cristo, stretto all’inizio, ma che si dilata man mano che
avanziamo. Mancheremmo nei vostri confronti se offrissimo di meno. Non siamo
stati ordinati per predicare nostre piccole nozioni.
Nell’ospitale
fraternità della Chiesa c’è posto per tutti. La Chiesa, dice un antico testo, è
“la misericordia di Dio che scende sugli uomini” (dal midrash siriaco del IV
secolo “La Caverna dei Tesori”). Questa misericordia non esclude nessuno, ma
stabilisce un alto ideale. L’ideale è enunciato nei comandamenti, che ci
aiutano a crescere rispetto a concezioni di sé troppo anguste. Siamo chiamati a
diventare donne e uomini nuovi. In tutti noi ci sono elementi caotici che vanno
messi in ordine. La comunione sacramentale presuppone un consenso coerentemente
vissuto alle condizioni poste dall’alleanza sigillata nel sangue di Cristo. Può
accadere che le circostanze rendano impossibile a un cattolico ricevere i
sacramenti per un certo periodo. Non è per questo che cessa di essere membro
della Chiesa. L’esperienza d’esilio interiore abbracciato nella fede può
portare a un più profondo senso di appartenenza. Nelle Scritture gli esili
spesso ci rivelano questo. Ognuno di noi ha un esodo da fare, ma non camminiamo
soli.
Il segno
della prima alleanza di Dio ci circonda anche nei momenti di prova. Ci chiama a
cercare il senso della nostra esistenza, non tanto nei frammenti di luce
dell’arcobaleno, ma nella fonte divina dello spettro pieno e meraviglioso che è
di Dio e che ci chiama ad essere simili a Dio. Come discepoli di Cristo,
immagine di Dio (Colossesi 1,15), non possiamo ridurre il segno dell’arcobaleno
a qualcosa di meno del patto vivificante tra il Creatore e la creazione. Dio ci
ha conferito “beni grandissimi e preziosi che erano stati promessi, perché
diventassimo per loro mezzo partecipi della natura divina” (2 Pietro 1,4).
L’immagine di Dio impressa nel nostro essere richiama la santificazione in
Cristo. Qualsiasi considerazione del desiderio umano che ponga l’asticella più
in basso di questo è inadeguato da un punto di vista cristiano.
Ora, le
nozioni di ciò che significa essere umano, e quindi essere sessuato sono in
divenire. Ciò che oggi è dato per scontato domani può essere rifiutato.
Chiunque scommette molto su teorie passeggere rischia di essere assai
mortificato. Abbiamo bisogno di radici profonde. Cerchiamo allora di
appropriarci dei principi fondamentali dell’antropologia cristiana, mentre ci
avviciniamo con amicizia, con rispetto, a coloro che si sentono estranei ad
essi. Lo dobbiamo al Signore, a noi stessi e al nostro mondo, per rendere conto
di ciò in cui crediamo e del perché crediamo che sia vero.
Molti sono
perplessi sull’insegnamento cristiano tradizionale sulla sessualità. A questi
offriamo un’amichevole parola di consiglio. Innanzitutto: cercate di
familiarizzare con la chiamata e la promessa di Cristo, di conoscerlo meglio
attraverso le Scritture e nella preghiera, attraverso la liturgia e lo studio
di tutto l’insegnamento della Chiesa, non solo attraverso frammenti presi qua e
là. Partecipate alla vita della Chiesa. Così si amplierà l’orizzonte delle domande
dalle quali siete partiti, e anche la vostra mente e il vostro cuore. In
secondo luogo, consideriamo i limiti di un discorso puramente laico sulla
sessualità. Ha bisogno di essere arricchito. Abbiamo bisogno di termini
adeguati per parlare di queste cose importanti. Avremo un contributo prezioso
da offrire se recupereremo la natura sacramentale della sessualità nel disegno
di Dio, la bellezza della castità cristiana e la gioia dell’amicizia, che
mostra quale grande intimità liberatrice si può trovare anche nelle relazioni
non sessuali.
Il punto
dell’insegnamento della Chiesa non è quello di ridurre l’amore, ma di
realizzarlo. Alla fine del prologo, il Catechismo della Chiesa Cattolica del
1992 ripete un passo del Catechismo Romano del 1566: “Tutta la sostanza della
dottrina e dell’insegnamento deve essere orientata alla carità che non avrà mai
fine. Infatti sia che si espongano le verità della fede o i motivi della
speranza o i doveri dell’attività morale, sempre e in tutto va dato rilievo
all’amore di nostro Signore. Così da far comprendere che ogni esercizio di
perfetta virtù cristiana non può scaturire se non dall’amore, come nell’ amore
ha d’altronde il suo ultimo fine” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 25;
cfr. Catechismo Romano, Prefazione 10; cfr. 1 Corinzi 13,8).
Da questo
amore è stato fatto il mondo, e ha preso forma la nostra natura. Questo amore
si è reso manifesto nell’esemplarità di Cristo, nel suo insegnamento, nella sua
passione salvifica e nella sua morte. L’amore ha trionfato nella sua gloriosa
risurrezione, che celebreremo con gioia durante i cinquanta giorni della
Pasqua. La nostra comunità cattolica, dalle molte sfaccettature e dai tanti
colori, possa testimoniare questo amore nella verità.
Czeslaw
Kozon, Copenaghen, presidente
Anders Cardinale Arborelius, Stoccolma
Peter Bürcher, Reykjavik
Bernt Eidsvig, Oslo
Berislav Grgic, Tromso
Marco Pasinato, Helsinki
David Tencer, Reykjavik
Erik Varden, Trondheim, monaco trappista
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