Mons. Giampaolo Crepaldi |
L’8 giugno prossimo si terranno le elezioni del parlamento dell’Unione Europea. Ci sono molti motivi per pensare che questa volta saranno importanti, é d’accordo?
Certamente rimane il dubbio sull’affluenza alle urne, che in passato non è stata mai molto alta. Valutando però i problemi sul tappeto, credo che questa tornata elettorale abbia un’importanza senz’altro superiore ad altre del passato. L’Unione Europea, di recente, non ha dato una gran prova di sé. Molti avevano segnalato i gravi difetti del Green Deal europeo, ma non sono stati ascoltati. Le politiche di transizione climatica ed energetica sono state centralistiche, costose, inefficaci ed illusorie, suscitando reazioni di rigetto. Il recente voto del parlamento sull’aborto come diritto umano ha evidenziato il controllo del parlamento stesso da parte di una ideologia distruttiva e senza speranza. Le intromissioni delle istituzioni dell’Unione nelle elezioni politiche in Polonia e le forzature rispetto alle decisioni del governo dell’Ungheria, nazione che viene spesso trattata come “aliena” rispetto all’Unione, sono alcuni aspetti di una situazione di evidente crisi. A ciò si aggiunga un considerevole fallimento in politica estera.
Prevede cambiamenti di notevole portata nella composizione del parlamento europeo o piccoli ritocchi?
Di recente ci sono stati in alcuni Paesi europei esiti elettorali fortemente contrari a questa Unione Europea. Mi riferisco alle elezioni in alcuni lander tedeschi e soprattutto in Olanda. Su questa tendenza, qualche osservatore valuta addirittura uno spostamento di un centinaio di seggi nel prossimo parlamento europeo. Difficile però fare previsioni. Mi limito ad osservare solo che ci sarà probabilmente una polarizzazione della composizione del parlamento, segno che il futuro dell’Unione Europea non sarà un percorso facile, ma piuttosto combattuto. Questa polarizzazione riguarderà soprattutto questo aspetto: frenare o addirittura ridurre il trasferimento di sovranità degli Stati o, al contrario, accelerare l’unificazione?
Nei giorni scorsi Mario Draghi ha anticipato alcuni contenuti del Rapporto da lui stilato su incarico della Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Layen. Come li valuta?
Penso che Mario Draghi non parli solo a titolo personale, ma anche a nome di vari circoli di potere, finanziario, economico e politico, con cui è collegato. Il suo intervento va quindi valutato con attenzione. Mi sembra che si collochi nella prospettiva di un veloce e deciso rafforzamento dell’Unione con la prospettiva della nascita di uno Stato centrale, la creazione di un debito comune, un riarmo europeo e la prosecuzione nella transizione ambientalista e digitale. Egli ha parlato della necessità di una “svolta”, ma mi sembra che la sua proposta sia in continuità con le tendenze attuali, che egli vorrebbe radicalizzare e velocizzare andando verso un nuovo “sovranismo” europeo.
Cosa direbbe la Dottrina sociale della Chiesa a questo proposito?
Chi volesse rifarsi ai principi della Dottrina sociale della Chiesa dovrebbe valutare molto criticamente obiettivi simili. Il progetto annullerebbe le comunità naturali, dalla famiglia alle comunità locali fino alle nazioni, e creerebbe un super-Stato ancora più lontano da cittadini e comunità organiche di quanto siano oggi le istituzioni dell’Unione. Il proseguimento delle transizioni attuali in mano ad un simile Leviatano potrebbe creare un sistema centralizzato di controllo della popolazione con pericoli per la stessa libertà, tanto, e perfino eccessivamente, proposta dalle democrazie europee come il loro principale valore. Senza contare che il finanziamento delle transizioni green e digitale richiederebbe immense risorse e interventi invadenti il diritto alla proprietà privata. I temi che ora rimangono – almeno formalmente – a carico degli Stati diventerebbero di competenza centrale e, per fare un esempio, in campo educativo si potrebbe assistere ad una “pedagogia delle masse”, come alcuni esperti la chiamano, governata dal potere centrale. Una specie di appiattimento e di omologazione delle menti dei cittadini all’europeismo come ideologia.
Mi sembra di capire che lei è più favorevole all’altra linea, quella del raffreddamento dei processi unitari.
Credo che in questo momento sarebbe più opportuno un rallentamento dei processi unitari, una valutazione del percorso finora attuato, una riscoperta culturale di quanto è essenziale all’Europa e che finora l’unificazione dell’Unione Europea ha perduto o trascurato. C’è bisogno di fermare la corsa e di pensare di più.
Si riferisce anche alle radici cristiane?
Mi riferisco a tante cose, alle radici cristiane, alla famiglia, alla conservazione delle culture nazionali, alla dislocazione sussidiaria del potere politico, al governo delle migrazioni che l’Unione non è riuscita nemmeno ad impostare, al valore delle tradizioni, alle libertà gestite dal basso, all’autoorganizzazione delle comunità locali, alla conservazione di tante identità andate perdute senza che nessuno sappia dire perché, fino ad una più calibrata riflessione di tipo geo-strategico.
Quanto alle radici cristiane mi permetta di fare un paio di osservazioni. La cultura dell’Unione Europea è sostanzialmente atea e anticristiana, nascosta dietro il principio della libertà religiosa. Riconosciuto questo, però, bisogna anche dire che una rivalutazione del cristianesimo non potrà avvenire per mortivi “storici”, ossia solo perché esso fa parte del nostro passato. Non è un motivo sufficiente, perché chiunque potrà dire che quel passato è ormai passato. Dovrà fondarsi sulla “verità” della religione cristiana, ossia su una nuova consapevolezza che la vita politica europea ne ha bisogno per essere a sua volta vera.
Qui però si pone la responsabilità della Chiesa cattolica…
Certamente, perché è soprattutto suo il compito di mostrare la verità della religione cristiana, verità che fonda la ragione ultima delle sue pretese di valere in pubblico e non solo in privato. Devo dire che su questo punto oggi si notano non poche difficoltà. La Chiesa, anche di recente, ha sostenuto che la laicità è il luogo ideale dell’incontro, del dialogo e della pace. Ma se così è, la religione cristiana diventa una delle tante istanze etiche e la Chiesa una delle tante agenzie di formazione civica. Il principio della libertà di religione non deve confliggere con la pretesa della Chiesa cattolica di avere qualcosa di proprio e di unico da dire e da fare. Il motivo del ruolo storico, pubblico, sociale e politico della Chiesa cattolica non può essere solo il diritto alla libertà religiosa. Benedetto XVI aveva approfondito questo tema, e le sue osservazioni avevano suscitato grande interesse da parte anche del pensiero laico, ma ho l’impressione che non sia stato più continuato.
Secondo lei qual è la principale carenza nella visione della Chiesa cattolica circa l’Unione Europea?
Direi che è l’accoglienza del progetto europeo come un apriori indiscutibile, comunque valido in se stesso, al quale collaborare ma senza proposte forti, senza denunciare i principali errori. Non dimentichiamo che anche l’europeismo può essere una ideologia, quando si pone al di sopra di tutto.
In un recente documento in vista delle elezioni di giugno, per esempio, i
vescovi della Comece, la
Commissione degli episcopati europei delle nazioni dell’Unione, si sono
limitati a invitare alla partecipazione e a dire che il progetto europeista è
valido e va aiutato a svilupparsi. Mi sembra troppo poco. Noto anche
un’altra debolezza a proposito dei cosiddetti padri fondatori della Comunità
europea poi diventata Unione Europea. La fede cattolica dei tre padri fondatori
viene fin troppo esaltata, al punto da rendere cattolico tutto il processo che
ne è seguito, compreso la situazione di oggi. Non è corretto impostare le cose
secondo una linea forzata di continuità con un certo cattolicesimo delle
origini. Inoltre ciò può mettere in ombra che alle origini dell’Unione c’è
anche il Manifesto di Ventotene, di tenore ideologico molto diverso e che oggi
sembra vincente.
(a cura di Stefano Fontana)
30 APRILE 2024