di Gianfranco Amato
04-08-2015 la nuova bq
Commissione Giustizia del Senato, 30 luglio 2015, primo pomeriggio.
L’insolazione che rischiano i turisti dell’Urbe a causa delle temperature
torride pare aver colpito la maggioranza degli onorevoli senatori riuniti in Commissione,
nonostante il refrigerio loro offerto dagli efficienti impianti di
condizionamento d’aria. Va in scena, infatti, un teatrino surreale dall’epilogo
davvero inquietante.
L’ottimo senatore Lucio Malan
presenta un ordine del giorno nel quale si legge, tra l’altro, che «il Senato impegna il Governo a non violare
i due diritti fondamentali riconosciuti, garantiti e tutelati dalla
Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo: la libertà di manifestare,
isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, i propri valori
religiosi nell’educazione, e il diritto di priorità dei genitori nella scelta
di educazione da impartire ai propri figli (artt. 18 e 26); a garantire e
tutelare il diritto dei genitori ad educare i propri figli».
Palazzo Madama |
Parrebbe un’affermazione quasi lapalissiana in un sistema istituzionale che
si autodefinisce democratico. Chi
oserebbe mai mettere in dubbio la sacra Dichiarazione Universale dei diritti
dell’Uomo? E invece no! Nel bislacco mondo sublunare delle istituzioni italiane
c’è chi ha osato, eccome. Non soltanto la senatrice Cirinnà, ma molti onorevoli
componenti della Commissione strepitano
come vestali scandalizzate alla proposta del povero Malan, accusato di aver
messo in dubbio l’onore del governo. Sì, perché, con una motivazione pelosa
e ipocrita, i senatori sconcertati contestano l’ordine del giorno in quanto,
così come formulato, esso avrebbe potuto insinuare il dubbio che lo stesso
governo avesse intenzione di violare i diritti fondamentali dell’uomo. Il buon
senso popolare definisce questo atteggiamento “coda di paglia”.
Interviene, con la saggezza che gli è consueta, il presidente della
Commissione Francesco Nitto Palma, il quale tenta di riportare i senatori alla ragione attraverso la
proposta di una modifica a quella parte dell’ordine del giorno oggetto di
scandalo. Lo stesso presidente suggerisce, infatti, di riformulare
ulteriormente il testo dell'ordine del giorno, prevedendo che il governo sia
chiamato ad impegnarsi nel «continuare a garantire e a rafforzare» la tutela dei
diritti fondamentali riconosciuti ed affermati dalla Dichiarazione universale
dei diritti dell'uomo, nonché eliminando il riferimento testuale ai richiamati
articoli 18 e 26.
A questo punto, i senatori contestatari sono costretti a gettare la
maschera, dimostrando che il problema non era tanto la formulazione
del documento, quanto il contenuto di merito dello stesso. Così, quei componenti della Commissione
Giustizia non hanno mostrato alcun ritegno nel votare contro o nell’astenersi,
che – com’è noto – al Senato equivale al voto contrario. L’ordine del
giorno, quindi, è stato clamorosamente bocciato con otto voti a favore (Fi,
Ncd, Lega, senatore Orellana del Gruppo Misto) e dodici fra astenuti (M5S e
alcuni Pd) e contrari del Partito Democratico (Cirinnà, Del Giudice, Lumia). I
resoconti dei lavori della Commissione Giustizia del Senato consegneranno alla
storia questa vergogna.
Resterà scritto a peritura memoria che un’istituzione “democratica” ha
deciso di bocciare un ordine del giorno di questo tenore: «Il Senato
impegna il Governo a continuare e a rafforzare la tutela dei due diritti
fondamentali riconosciuti, garantiti e tutelati dalla dichiarazione universale
dei diritti dell'uomo: la libertà di manifestare isolatamente o in comune, sia
in pubblico che in privato, i propri valori religiosi nell'educazione, e il
diritto di priorità dei genitori della scelta di educazione da impartire ai
propri figli; a garantire e tutelare il diritto dei genitori ad educare i
propri figli».
Si potrebbe sdrammatizzare la vicenda rievocando il classico “pasticcio
all’italiana”, e imputare tutto alla dabbenaggine, alla superficialità, al pressapochismo dei senatori,
giustificandoli col fatto di non essersi resi conto, di non aver compreso
appieno la portata del documento sul quale hanno espresso voto contrario.
Noi temiamo, invece, che quel voto nasca da una lucida e deliberata
volontà, e rappresenti l’inquietante prodromo
della deriva totalitaria che si sta profilando all’orizzonte del nostro
Paese, il segno premonitore di quella dittatura del pensiero unico» che papa
Francesco continua coraggiosamente a denunciare. Cupi presagi di un
totalitarismo alle porte.
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