In compagnia dei lupi (e degli orsi e dei leoni...)
di Robi Ronza
04-08-2015 lanuovabq
Per protesta contro la proliferazione dei lupi lo scorso 21 luglio circa
1600 pecore sono state condotte dai loro pastori a occupare il centro di Gap,
una città delle Alpi francesi quel giorno sede di tappa del Tour de France.
Negli ultimi dodici mesi il dilagare di questi carnivori è costato in Francia
la perdita di circa 9 mila ovini, tra animali sbranati e animali in fuga poi
precipitati in dirupi.
Per evitare l’interruzione del Tour lo stesso ministro
francese dell’Ambiente, Ségolène Royal, si è recata a Gap dove si è impegnata con i
pastori a riconsiderare la questione. In giugno in Trentino un orso aveva
ferito seriamente nei boschi alle porte di Trento un uomo che stava allenandosi alla corsa in montagna.
Sono notizie che in Italia i media più diffusi -- estremamente docili, non si
sa perché, alla pressione dell’ambientalismo
estremista – hanno silenziato o distorto. Tuttavia, all’ombra della loro
censura e disinformazione, i grandi carnivori non cessano di dilagare sulle
catene montuose e nelle campagne meno abitate dell’Europa occidentale creando
crescenti difficoltà alla vita di chi vi abita e vi lavora e allungando ombre
anche sul futuro del turismo di montagna e di campagna. Agli abitanti delle
grandi aree urbane la questione può sembrare pittoresca, ma in effetti non lo è
affatto.
La proliferazione di questi animali (lupi, orsi, anche
linci) è la conseguenza incontrollata di iniziative che vennero prese negli
anni ’70 del secolo appena trascorso quando li si riteneva a rischio di
estinzione. Nel 1979 venne perciò firmata a Berna una Convenzione
internazionale per la Conservazione della Vita selvatica e degli Habitat
naturali cui nel tempo aderirono 44 Stati fra cui l’Italia. La Convenzione
sancì tra l’altro la protezione assoluta di questi carnivori senza tener conto
dell’esito che un impegno così indiscriminato avrebbe avuto nel lungo periodo.
La conseguenza è che oggi nell’Europa occidentale a rischio di estinzione non
sono più i lupi e gli orsi bensì i montanari e le loro famiglie. E viene
compromessa la possibilità del ritorno a una maggiore presenza umana sulle
terre alte, più che mai indispensabile per evitare l’intasamento delle pianure
in un Paese come il nostro che, avendo più di 200 abitanti per chilometro
quadro, è montuoso e collinare per il 72% del proprio territorio.
Nella fase di crisi di civiltà che stiamo
attraversando in Europa, la comparsa sulla scena dell’ambientalismo
estremista e dell’animalismo rende oggi particolarmente difficile la correzione
di questi errori.
Una delle tante conseguenze nefaste
dell’ateismo pratico di massa è infatti la perdita della consapevolezza della
diversità radicale tra uomo e animali. Per chi censura l’esistenza dell’anima e nega la vita
eterna, gli animali sono tutti quanti degli uomini prossimi venturi, che in
attesa della loro maturità l’uomo già fatto deve trattare come dei fratelli
minori. Tra le varie conseguenze di
questa follia c’è fra l’altro l’idea che nell’Europa occidentale – colpevole di
essere troppo abitata dagli uomini – occorre fare di nuovo posto ai grandi
carnivori restituendo loro… il maltolto, ossia le catene montuose e parte delle
campagne. Queste aree dovrebbero perciò venire appositamente spopolate e
inselvatichite. Nel nostro Paese il luogo di maggior forza di tale dissennato
progetto è il Piemonte dove si sta
lavorando a un piano di riorganizzazione dei parchi e delle riserve naturali,
portato avanti sulla testa delle popolazioni delle terre alte, che mira
chiaramente in tale direzione.
Sia in Piemonte che altrove il grimaldello di tale
piano è la pretesa dell’“educazione alla prossimità” tra uomo e grandi
carnivori: un progetto che trova consensi in uno schieramento di ambientalisti da salotto che si estende
in modo sorprendente da un lato all’altro della ribalta politica. Frequentatore
di campi da sci ma per il resto nato e sempre vissuto a Roma (dove l’unico
grande carnivoro che si può incontrare è la Lupa Capitolina ma solo sullo
stemma della città) anche l’ex-ministro di Berlusconi Franco Frattini che è
sceso in campo in difesa dell’impunità degli orsi del Trentino. A sostegno di
questa sua tesi ha additato ad esempio l’Alaska dove la prossimità tra i 40
mila orsi bruni e i circa 735 mila abitanti (umani) sarebbe a suo avviso
pacificamente assicurata. Fatto sta che gli abitanti dell’Alaska sono 0,5 per
chilometro quadro e quelli del Trentino sono invece 84. Proporre al Trentino
come modello l’Alaska, che ha una densità demografica quattro volte inferiore a
quella della Mongolia (2 abitanti per chilometro quadro), è segno di
incompetenza o di qualcosa di peggio? Lasciamo al lettore la risposta.
Frattanto, questa volta alla scala planetaria, è anche scoppiato il caso del leone
che un turista cacciatore americano ha abbattuto nello Zimbabwe senza
accorgersi che si trattava di un esemplare (nient’affatto unico, diversamente
da quanto si è scritto) che veniva monitorato da studiosi dell’università di
Oxford. E’ un incidente, ma non il regicidio di cui si è parlato da un capo
all’altro della terra additando il turista all’esecrazione di tutto il mondo,
ed esponendolo così anche al rischio di attentati per mano di qualche ultras
dell’animalismo.
Il contesto è radicalmente diverso, e il paragone con gli orsi del
Trentino e i lupi del Piemonte non è certo immediato. Al di là di ogni differenza in ultima analisi siamo però di fronte alla
medesima idolatria della fiera selvaggia: ossia neanche al paganesimo ma
addirittura al totemismo. Più indietro di così non si poteva arrivare.
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