| 3 Agosto 2015
Care amiche, cari amici,
poiché ho avvertito tra noi molta incertezza circa il tema delle unioni civili, sento il bisogno di proporvi la mia opinione nella speranza di poter alimentare una ulteriore riflessione collettiva.
Noi siamo una comunità
di persone che hanno partecipato ad una esperienza politica ventennale nel
corso della quale le giuste intuizioni si sono mescolate con errori e rinunce.
Eppure un merito fondamentale possiamo dire di avere condiviso. Nella stagione
in cui le ideologie sconfitte dalla storia hanno cercato di sopravvivere
organizzando una cronaca faziosa, abbiamo contrapposto ad esse, nei fatti forse
più che nella consapevole elaborazione, un nuovo umanesimo politico riuscendo
talora ad esprimere perfino una sorta di egemonia culturale.
Voglio dire che abbiamo
saputo rifiutare gli astratti luoghi comuni delle élite cosmopolite, assunti
dalla sinistra italiana con la fine del marxismo, riproponendo il concreto
senso comune del nostro popolo.
Lo abbiamo fatto
difendendo le rappresentanze politiche e sociali, nei loro pregi e difetti, da
ogni tentativo di sostituirle con il "governo dei migliori" e con la
solitudine degli individui nel rapporto con lo Stato.
Contestando il
giustizialismo interessato e fazioso di chi si copriva dietro l'inumano
principio "fiat iustitia, pereat mundus".
Difendendo la proprietà
delle "cose" che nella buona eccezione italiana sono state e sono le
"case", quale radice delle nostre famiglie nel luogo dei padri.
Garantendo la
sopravvivenza del capitalismo popolare di fronte a chi ci voleva concentrati
nei pur necessari grandi interessi organizzati.
Affermando quella antropologia
positiva che vuole l'uomo orientato alla socialità e non "lupo" verso
i suoi simili, perciò degno di spazi di autonomia responsabile e di funzioni
sussidiarie.
Difendendo la vita, dal
concepimento alla morte naturale, quale premessa logica della nostra fiducia
nella vitalità umana.
Di tutto ciò siamo stati così fieri da voler salvaguardare con una dolorosa rottura i buoni principi e i buoni comportamenti del centrodestra italiano quando ci è parso che nel suo declino potessero essere rinnegati o contraddetti. Non voglio quindi pensare che ora la nostra fragilità politica in una fase certamente difficile ci conduca a svendere proprio quel patrimonio di meriti che con la nostra scelta abbiamo inteso mantenere operosamente vivo.
E in particolare, sono
certo avvertiamo tutti la necessità di conservare, innanzitutto tra noi, quel
dialogo tra credenti e non credenti che si realizza nel nome dell'uomo e che si
fonda sul comune vissuto, sul rifiuto quindi di ogni astrazione.
La laicità è autonomia
della funzione pubblica che a sua volta però si esprime riconoscendo le verità
rivelate dalla esperienza tramandata dai padri e non rifiutandole a priori nel
nome di quella indifferenza che taluno vorrebbe ideologia o religione di Stato.
Fu grazie a ciò che ci unimmo nel Consiglio dei ministri su Eluana Englaro, legittimamente incerti ma consapevoli delle nostre responsabilità che risolvemmo sulla base del laicissimo principio di precauzione.
E la stessa legge sulla
procreazione assistita, confermata dal popolo con il mancato quorum del
referendum ma smembrata dalla Consulta, ci trovò concordi nel ritenere che la
procreazione non dovesse separarsi dagli elementi riproduttivi di una relazione
affettiva nel nome del primario interesse dei figli.
Così come ora possiamo
convenire che tale separazione non può arrivare al punto da realizzarsi
attraverso l'affitto dell'utero di una donna così bisognosa da accettare un
commercio tanto innaturale. L'adozione (o l'affido) del figlio
"biologico" non può essere la legittimazione di questa pratica che
dovremo anzi prevenire e contrastare con una legislazione ad hoc.
Più in generale, possiamo riconoscere insieme che il diritto dei minori a crescere nella diversità genitoriale precede il pur comprensibile desiderio degli adulti. La querelle sul matrimonio o su una unione disegnata in termini tali da conseguirlo per via giurisprudenziale ha senso in quanto logicamente e giuridicamente ne costituisce la pre-condizione.
Come abbiamo più volte
ricordato, sarebbe facile un accordo parlamentare unanime sui diritti (ed
eventualmente i doveri) dei conviventi come dispongono i nostri disegni di
legge. Ma si vuole qualcosa di più e d'altro che non possiamo che classificare
come ideologico. È la riproposizione, dopo i disastri del '900, della
ricorrente ambizione a creare l'"uomo nuovo" che nasce
indipendentemente dalla coppia genitoriale, che viene educato a superare la
propria condizione naturale di maschio o femmina per cercare quella, anche
mutevole, soggettivamente percepita imponendola all'anagrafe pubblica, che
stabilisce legami labili e agevolmente reversibili, che muore pubblicamente
assistito quando lo desidera.
Mi si dirà: ma così ora fan tutti in occidente. Vero! È stata altrove una deriva lenta e continua, prodottasi nella distrazione dei più, che gli esclusi, tra i quali noi, possono ora comprendere nella sua interezza e rifiutarla mentre in quei Paesi il dibattito sull'uomo si riapre. Possiamo peraltro stupirci del declino demografico dei Paesi di vecchio benessere? Abbiamo dimenticato il tentativo di sostituire la vitalità reale alimentata da giovani generazioni numerose e dinamiche con la vitalità virtuale della finanza creativa? Non c'è sviluppo sostenibile che si realizzi mentre l'uomo si annichilisce perdendo il senso della vita, quella continuità della specie che solo le famiglie naturali aperte alla procreazione possono garantire.
Care amiche, cari amici, ho dedicato la mia lunga vita politica a tante battaglie di cui ora avverto il significato relativo di fronte al valore assoluto dell'uomo così pericolosamente messo in discussione. Per questo mi sento di dirvi che la battaglia odierna per la difesa del nostro millenario modello antropologico è tutt'altro che clericale. Offenderemmo una visione adulta della laicità se non la riconoscessimo come laicamente umanitaria.
La posta in gioco siamo
noi stessi, i nostri figli, il loro futuro.
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