“La nostra presenza è una missione,
e non ci arrendiamo. Amiamo di più, perdoniamo di più, testimoniamo di più”.
Frate francescano e siriano di origini, padre Ibrahbim Alsabagh è da un anno il
parroco di Aleppo.
Intervenuto al Meeting di Rimini dopo un viaggio durato due
giorni, racconta cosa significa vivere in Siria tra Al Qaeda e l’Isis, ogni
giorno sotto le bombe, ogni ora in pericolo di vita.
Padre Ibrahim, come è possibile che non prevalga il lamento davanti a una
situazione così drammatica?
Percepisco la sofferenza quotidianamente, perché siamo umani, ma
personalmente la sofferenza più difficile da sopportare è vedere soffrire i
figli che il Signore mi ha affidato. Ma non possiamo fermarci lì. Ad Aleppo
riusciamo a cogliere i segni della presenza fisica del Signore, che a volte -
forse quando c’è troppa prosperità - non riusciamo a percepire. Anche il buon
ladrone aveva percepito i segni del Signore, proprio mentre stava soffrendo
sulla croce. E così è per noi. Con gli occhi della fede e della speranza possiamo
davvero scorgere la presenza di Cristo dentro la guerra.
Cosa possiamo imparare noi cristiani d’occidente dalla vostra
testimonianza?
Quello che dobbiamo imparare tutti è vivere con maggiore radicalità la
nostra fede. Noi ogni giorno siamo chiamati a questa sfida, a essere più
attaccati al Signore. Siamo chiamati a un abbandono fiducioso e totale nelle
Sue mani, perché siamo diventati poveri e impotenti, ma Lui potrà darci la
vittoria e arricchirci con le Sue grazie e i bisogni quotidiani. E’ questo che
ci dà fiducia e gioia. Perché anche in Siria si impara la gioia dell’essere
cristiani. Ad esempio, riusciamo ad apprezzare di più il valore dell’acqua.
Quanto più ne sentiamo la mancanza e tanto più siamo contenti per ogni goccia
che cade in terra. Ogni volta che bevo un bicchiere di acqua ringrazio di cuore
il Signore per questo prezioso dono di sorella acqua. Si apprezza l’acqua ma
anche il verde, il dono dei fratelli, il dono della comunione, il pane (anche
se è secco). Dobbiamo vivere la radicalità della fede. Andare alla messa ogni
giorno, celebrare e vivere sinceramente il perdono dei peccati, e la preghiera.
E’ una cosa che vale per tutti, non solo per noi.
La sua testimonianza, assieme a quella dei suoi parrocchiani, sta cambiando
il contesto in cui vive?
Vorrei raccontare un fatto che è accaduto proprio qualche giorno fa. Per la
mancanza d’acqua tutti hanno fatto una fila di parecchie ore per prenderne un
po’ dai punti di distribuzione che avevamo collocato. Erano tutti così sereni,
sorridenti e pazienti che suscitavano la meraviglia a tutte le persone che
passavano di lì, anche ai musulmani. Uno mi si è avvicinato e mi ha detto: non
so cosa c’è di grande, ma io giro in tutta la città e vedo da dove attingono
tutti, si picchiano, si spingono a vicenda, quasi si ammazzano tra di loro. Ma
una pace profonda e una gioia come ho visto qui non l’ho mai vista da nessuna
parte. Musulmani e cristiani che stanno assieme in fila per prendere l’acqua.
E’ un ambiente di pace dentro tutta questa sofferenza, il sorriso non manca mai
dalle loro facce. Forse non riusciamo a parlare molto di Cristo in questo
contesto, ma con questi gesti minimi riusciamo in realtà a dire molto a tanti
cuori che ascoltano e cercano qualcosa di davvero grande.
“Verrà un giorno in cui chi vi ucciderà crederà di rendere culto a
Dio”. Così ha detto Gesù 2000 anni fa. Secondo lei è arrivato quel giorno?
E’ arrivato, ma noi preghiamo ogni giorno per chi ci uccide. Offriamo la
messa per la loro conversione. Siamo sicuri che - se queste persone un giorno
si convertiranno - diventeranno più cristiani di noi stessi. Il Signore usa le
nostre preghiere e le nostre sofferenze anche per loro, e prima o poi ci darà
un grande dono della fede. Ma questo processo è già iniziato! Tanti che
chiedono di battezzare i loro figli, o altri che bussano al convento e vogliono
sapere di più di Gesù. Noi forse non riusciamo a cogliere quanto è grande
il merito della nostra sofferenza, ma siamo certi che edifica il mondo e salva
tante anime. Prima – mi confidava un vescovo - pensavamo che era
più opportuno tacere sulle differenze per comprare la pace, oggi sembra che il
Signore non abbia accettato questo nostro modo di agire e adesso ci costringe a
parlare di Cristo e annunciarlo a tutti. Quello che accade ad Aleppo è incredibile!
Quanti nuovi aderenti! Quanti ricercatori, e quanti assetati che si vergognano
della violenza che vedono. E quando si accorgono dell’ideale cristiano, o
vedono la vita dei cristiani e la bellezza del volto di Cristo, non possono non
aderire spontaneamente per abbracciare questa fede.
Oggi qual è il suo desiderio?
Oggi è il dono della pace. Di svegliarmi un giorno e vedere che la guerra è
finita e pensare alla ricostruzione. Lo chiedo ogni giorno, ogni istante della
mia vita.
di Andrea Avveduto28-08-2015
lanuovabussola
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