C’è
chi lo presenta come la festa del solstizio, con l’inevitabile Babbo Natale e
gli immancabili sermoni sulla pace e la solidarietà: è l’oblio della tradizione
un’anticipazione di “Prediche corte, tagliatelle
lunghe. Spunti per l’anima” (208 pp., 13 euro), il volume edito da
Edizioni Studio Domenicano che contiene una selezione di brevi brani tratti da
discorsi, relazioni e omelie del cardinale Carlo Caffarra, scomparso lo scorso
settembre a 79 anni. 24 Dicembre 2017 ilfoglio
Fate il presepe
Il presepio è rappresentazione della nascita del Salvatore, e anche di come
fu accolto, o rifiutato. E’ quindi rappresentazione del primo incontro degli
uomini con Cristo, e in quel primo incontro nella storia subito si vide chi Lo
accoglieva e lo riconosceva come senso della vita, e Lo adorava orientando a
Lui la sua vita, e chi Lo rifiutava e anche Lo combatteva. Le semplici figure
dei presepi da sempre annunciano la presenza di Cristo e mettono in guardia
contro il sempre ricorrente rischio di non accoglierlo. Ma fare il presepio è
già una dichiarazione e un annuncio: far posto a Gesù Bambino nei luoghi dove
quotidianamente si vive vuol dire che si intende far posto a Lui nella vita, e
che si intende portargli i doni delle nostre opere.
Presepio Chiesa di St. Joseph IL CAIRO |
Oblio della tradizione
Immaginiamo che in una scuola si voglia celebrare il Natale. Può essere che
ci sia qualche insegnante nelle scuole che… per rispetto a qualche bambino
musulmano presente in aula parli e presenti il Natale come la festa del
solstizio, con l’inevitabile presenza di Babbo Natale, e gli immancabili
sermoni sulla pace e la solidarietà. Si trasforma cioè una narrazione storica
in un “mito” che offre lo spunto per esortazioni moralistiche. Si compie in
realtà un’operazione ideologica, che viene imposta al bambino, sradicandolo
dalla tradizione in cui vive. […] L’oblio della tradizione o la sua
trascuratezza ci fa ripartire dal niente, costringendoci a costruzioni
ideologiche dettate dal momento.
Il cristianesimo è incontrare Gesù
Vogliamo vedere Gesù (Gv 12,21). Il cristianesimo [...] prima di essere una
dottrina da apprendere e una regola da osservare, è l’avvenimento di un
incontro: l’incontro della nostra persona colla persona di Cristo. E’ lasciare
che la sua presenza occupi sempre più la nostra intelligenza, la nostra
coscienza, la nostra libertà, fino al punto che possiamo dire con san Paolo:
per me vivere è Cristo (Fil 1,21). E dove finalmente potete vedere, incontrare
Gesù? Nella Chiesa: “E’ in essa e per mezzo di essa che Gesù continua a
rendersi visibile oggi e a farsi incontrare dagli uomini” (Messaggio di
Giovanni Paolo II, 5,3). E la Chiesa si rende concretamente presente vicino a
voi, davanti a voi, nella vostra parrocchia, nei movimenti ed associazioni da
essa riconosciuti. Perché nella Chiesa e per mezzo della Chiesa voi potete
incontrare Gesù? Perché nella Chiesa voi potete sperimentare realmente la sua
forza rigeneratrice della vostra umanità mediante il sacramento della
Confessione. Perché voi potete entrare in una pienezza indicibile di comunione
con Cristo mediante l’Eucaristia. E’ l’Eucaristia il luogo in cui voi potete
soprattutto incontrare Cristo. E da questo incontro eucaristico voi ricevete la
capacità di amare, cioè di donare voi stessi. E’ per questo che solo
nell’incontro eucaristico con Cristo voi potete risolvere pienamente il
problema, l’enigma della vita. L’uomo infatti “rimane per se stesso un essere
incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato
l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa
proprio, se non vi partecipa vivamente” (Lett. Enc. Redemptor hominis 10,1, EE 8/28). E’ precisamente
nell’incontro eucaristico con Cristo che tu ti incontri con l’amore, lo fai
tuo, vi partecipi vivamente: l’amore di Cristo; l’amore con cui Cristo ha
amato. E’ in questo che voi, carissimi giovani, ritrovate la grandezza, la
dignità propria della vostra persona: diventate capaci di amare come Cristo ha
amato.
Messa di Natale a Shangai |
Due esperienze per capire cosa significa seguire Cristo
Agostino dovette superare due enormi difficoltà (assai attuali!): la
difficoltà di una visione materialista; la difficoltà di una visione fatalista
Prima esperienza: l’arrivo del primo figlio a una coppia sposata. Che cosa
succede quando ad una coppia nasce il primo bambino? E’ sostanzialmente l’ingresso
e l’instaurarsi di una nuova presenza dentro la loro vita. E’ arrivata una
nuova persona! Di conseguenza la vita dei due sposi non può più essere come
prima: ormai devono “fare i conti” con lui. Abitudini che forse duravano da
anni dovranno essere cambiate. Il lavoro acquista un nuovo senso: lavorano
soprattutto per lui, per assicurare il suo futuro. Potremmo dire che la loro
giornata viene vissuta e la loro vita interpretata in larga misura alla luce
della presenza del bambino. Seconda esperienza: un giovane si innamora di una
ragazza o viceversa. Che cosa succede nella vita del giovane/della giovane?
Ancora una volta: una persona entra con inaspettata potenza nella vita. C’è
come un “urto”: i latini parlavano di “passio”, di passione. E’ un avvenimento
che accade e che ti colpisce: ne sei “preso”. Ed in modo tale che tutte le
energie – intelligenza e libertà – ne sono coinvolte, perché la persona
intuisce che le si apre davanti una nuova possibilità di esistenza. E’ una
presenza carica di attrattiva che la spinge a una risposta. Queste due
esperienze così umane ci possono aiutare a capire cosa significa seguire
Cristo.
Natale a Surabaya Indonesia |
Incontrare Cristo non è una questione principalmente morale
Qualcuno potrebbe pensare: seguire Cristo significa vivere come Lui ci ha
insegnato a vivere. Significa cambiare la propria vita in senso morale. E
pensiamo alla vita immorale e sregolata di una persona che decide di… rientrare
nell’ordine della legge morale. Pensare la sequela di Cristo in questi termini
non è sbagliato. Anzi, come vedremo, questo modo di pensarla ne coglie un
aspetto imprescindibile. Ma non è questo il nucleo centrale. Per convincervene
andate a leggere con attenzione due pagine bibliche: Lc 19,1-10, l’incontro di
Gesù con Zaccheo; e Fil 3,7-14. Voi costatate un fatto un po’ singolare. E’
vero che Zaccheo cambia la sua vita dal punto di vista morale: decide non solo
di non rubare più, ma restituisce il mal tolto con una misura superiore a quella
richiesta dalla legge. Ma se guardiamo alla storia di Paolo, le cose non stanno
proprio in questi termini. Egli, prima dell’avvenimento decisivo (quello
appunto che egli descrive in Fil 3,7-14), non teneva – a differenza di Zaccheo
– condotte moralmente riprovevoli. Anzi, egli dice di se stesso che era
irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della legge
(Fil 3,6b). Dunque: si può essere malfattori e ladri, come Zaccheo, e non
essere ancora alla sequela di Cristo, e questo è abbastanza facile da capire.
Si può essere persone oneste e molto giuste, come Paolo, e non essere ancora
alla sequela di Cristo, e questo è abbastanza difficile da capire. E non è
neppure sempre vero che i secondi siano più vicini al Vangelo dei primi. Gesù
una volta disse a chi era o si riteneva giusto: I pubblicani e le prostitute vi
precederanno nel Regno di Dio [Mt 21,31]. Partire dalla considerazione morale
dell’esistenza non è la partenza migliore per capire la sequela di Cristo. Ed
allora che cosa significa seguire Cristo?
Incontrare Cristo non significa cambiare il modo di interpretare il reale
Qualcuno a questa domanda potrebbe essere tentato di rispondere: cambiare
il proprio modo di pensare, di valutare le cose, cioè, e di interpretare la
realtà. Ancora una volta, devo dire che sicuramente non esiste vera sequela
senza questo cambiamento. Ma ancora una volta non è questo il nucleo centrale.
Abbiamo anche al riguardo un esempio nella storia della Chiesa. La conversione
di Agostino, come è noto a tutti, fu lunga ed assai faticosa. Egli dovette
superare due enormi difficoltà (assai attuali!): la difficoltà di una visione
materialista; la difficoltà di una visione fatalista. Egli pensava che
esistessero solo realtà materiali; egli pensava, da manicheo quale era, che
l’uomo quando agiva male non fosse libero. Egli superò questi due formidabili
errori soprattutto attraverso la lettura di libri neo-platonici. Fu la sua
conversione? Non proprio. Essa può accadere quando incontra Ambrogio che,
scrive egli stesso, lo “accolse come un padre e gradì il mio pellegrinaggio
proprio come un vescovo” (Confessioni V, 13,23). Ed allora che cosa significa
seguire Cristo? Che cosa succede a Zaccheo di così diverso dalla sua vita
ordinaria? Incontrò Cristo che chiese di entrare in casa sua. Che cosa è
successo a Paolo di così straordinario che cominciò da quel momento a
considerare una perdita tutto ciò che fino a quel momento poteva essere per lui
un guadagno? Abbiamo due testi che in maniera molto suggestiva ce lo dicono. Il
primo dice: E Dio che disse: rifulga la luce dalle tenebre, rifulse nei nostri
cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul
volto di Cristo (2 Cor 4,6). L’altro testo dice: Ma quando colui che mi scelse
fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di
rivelare a me suo Figlio perché lo annunciassi in mezzo ai pagani… (Gal
1,15-16). Ha avuto un incontro con Cristo nel quale egli, Paolo, ha visto la
Presenza: la presenza stessa di Dio, colla gloria del suo amore. Il profeta (Is
9,1) aveva preannunciato: Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande
luce: su coloro che abitavano in terra tenebrosa, una luce rifulse. Nella vita
di Paolo questa parola si è compiuta: una luce si è accesa nella sua esistenza
perché ha incontrato Cristo; ha visto in Lui la presenza stessa di Dio che si
prende cura dell’uomo.
Natale a Vilnius, Lituania |
Incontro che coinvolge le radici della mia esistenza
Il cristianesimo prima di essere una dottrina da apprendere e una regola da
osservare, è sempre l'avvenimento di un incontro
Per capire meglio che cosa significa qui la parola “incontro”, è necessario
tener presente che quando esso accade veramente, sono le radici stesse della
nostra esistenza ad essere coinvolte. E quali sono le radici della nostra vita?
Che cosa nutre il nostro quotidiano esistere? Che cosa ci fa lavorare, ci fa
studiare, ci fa prendere moglie/marito, ci fa desiderare e pensare? Come ha
visto bene Agostino, è il desiderio di beatitudine, di pienezza di essere. Le
nostre scelte sono sempre in vista di un bene particolare; ma alla fine
ciascuna di esse si inscrive e si radica nel desiderio di un bene che sia tale
da dare piena soddisfazione alla nostra fame e sete di beatitudine, al nostro
sconfinato desiderio di verità, di bontà, di bellezza. Solo una cultura disumana
e superficiale come in larga misura è la nostra poteva tentare di estenuare
nell’uomo questo suo desiderio, insegnandogli che è possibile ben navigare
anche se si naviga sempre a vista senza avere nessun porto a cui dirigersi; che
è possibile ben camminare anche senza sapere dove andare.
L’incontro con Cristo pesca in questa profondità dell’essere: Cristo è
“sentito” come la risposta vera e totale al proprio desiderio illimitato di
beatitudine: “Mio Signore e mio tutto”, pregava san Francesco. Zaccheo ha
capito che non nel denaro, ottenuto con tutti i mezzi, era la risposta al suo
desiderio, ma la risposta era Lui, lo stare a tavola con Lui. Paolo ha capito
che la glorificazione di Dio non consisteva in primo luogo nello sforzo morale
dell’uomo, ma che tutta la sua felicità ormai era nel conoscere Lui,
nell’essere con Lui. Pietro ha capito che non sarebbe più riuscito ad andare da
nessun’altra parte, poiché sapeva che solo Lui aveva parole di vita eterna.
L’incontro con Cristo è un fatto che ha tutti i connotati propri dei fatti
che accadono in questo mondo: in un tempo preciso ed in un luogo determinato;
mentre Zaccheo è su una pianta, mentre Andrea e Pietro stavano pescando, mentre
una donna samaritana va ad attingere acqua al pozzo, e così via. Ma nello
stesso tempo è un fatto che è imprevedibile [Zaccheo mai si sarebbe
aspettato!], incalcolabile [proprio nel momento in cui Paolo andava ad
imprigionare i cristiani!], non programmato [la samaritana faceva ciò tutti i
giorni], ma così corrispondente alle attese più profonde della persona da farle
esclamare: “Tardi ti ho amato, o Bellezza tanto nuova e tanto antica!”.