domenica 28 gennaio 2018

LEONARDO LUGARESI ESISTE ANCORA UN POPOLO? TESTO DEL SECONDO INCONTRO DEL "PERCORSO" 29/11/2017

ESISTE ANCORA UN POPOLO?


«Il popolo, che si riconosce in un ethos e in una cultura propria, si attende dalla buona politica l difesa e lo sviluppo armonico di questo patrimonio e delle sue migliori potenzialità» (papa Francesco).          –   Cesena, 29 novembre 2017.

Il tema che mi è stato affidato è molto difficile e complesso. Provo a impostarlo, se non a svolgerlo, chiarendo innanzitutto il significato delle parole che trovate nel sottotitolo: popolo, ethos e cultura. Chiarire e approfondire il significato delle parole è fondamentale. Buona parte degli errori che facciamo nel pensare e nel comunicare dipendono proprio dalla confusione e dagli equivoci sul senso delle parole. E oggi la confusione è al massimo.

1. Popolo come unità di tutti (unitotalità).

Partiamo dall'etimologia della parola popolo. Deriva ovviamente dal latino populus che a sua volta potrebbe secondo alcuni (G.Devoto) risalire a una parola etrusca, *Poplu, col significato di “schiera armata”, mentre secondo altri deriverebbe da una radice indoeuropea *pal «che esprime il concetto di riunire, mettere insieme», In greco abbiamo ad esempio πλῆθος = folla. In latino il collegamento può essere con plenus. In tedesco abbiamo, con l'aspirazione della consonante labiale p in f, la parola voll  = pieno (inglese full) ma abbiamo anche Volk = popolo. Non sono in grado di pronunciarmi sull'attendibilità di questa etimologia, ma essa è molto suggestiva perché ci consente di cogliere un primo aspetto fondamentale dell'idea di popolo: quella di un insieme che comprende tutti, una totalità che non esclude niente e nessuno. Rousseau: «ciò che non è popolo è una entità così modesta che non val la pena di tenerne conto». Bismarck: «al popolo apparteniamo tutti; anch'io ho i diritti del popolo, del popolo fa parte anche sua maestà l'imperatore, noi tutti siamo il popolo (wir sind alle Volk, und die Regierungen mit)».
            Perché è così importante questa sottolineatura? Perché l'aspirazione alla totalità, cioè ad una unità che comprenda tutti (tutti gli uomini, ma in un senso più ampio, tutte le cose, tutti i “pezzi” della realtà) è un bisogno fondamentale del cuore umano. Questo ci fa capire come il concetto di popolo sia imprescindibile non solo sul piano sociale, ma per la persona stessa. Persona e popolo sono infatti due termini correlati: il popolo è fatto di persone, ma la persona non può esistere senza il popolo, perché non può senza un popolo realizzarsi nella propria esigenza di totalità.
            Noi credenti però sappiamo che l'unitotalità è una proprietà divina. L'impronta teologica dell'idea di popolo, anche se resta sullo sfondo, del tutto implicita, e addirittura apparentemente negata, è qualcosa di cui dobbiamo tenere conto. Essa, tra l'altro, ci aiuta a capire perché quella di popolo può, più facilmente di altre nozioni, caricarsi di un valore quasi religioso e diventare un idolo. Conosciamo nella storia diversi esempi di idolatria del popolo.
            Affinché non si pensi che tutto questo è astratto, vediamone un risvolto giuridico. Quando il giudice emette una sentenza, esordisce con la formula «Nel nome del popolo italiano». Perché? Perché l'art. 1 comma 2 Cost. recita che «La sovranità appartiene al popolo».  Ma questo che vuol dire? Vuol dire che quell'atto, che se ci pensiamo bene dovrebbe sembrarci “scandaloso” (un uomo decide della vita di un altro uomo), è invece un atto di giustizia perché si compie “nel nome del popolo”, cioè nel nome di tutti, nessuno escluso, compreso anche l'imputato. Se non fosse così quell'atto sarebbe di una parte contro un altra: apparterrebbe cioè all'ordine della politica e della guerra (vendetta), non all'ordine della giustizia.

venerdì 26 gennaio 2018

TE DEUM LAUDAMUS PERCHÉ OGGI NON POSSIAMO ESSERE CLERICALI

Alfredo Mantovano


Perché ci vuoi uomini di preghiera, ma anche di azione responsabile.
Consapevoli che non ci sono altri che recitano la parte che ci hai dato

Te Deum laudamus per l’irrilevanza politica di quel che rimane del popolo cattolico italiano.
E per la difficoltà che esso ha di trovare guide e di dare testimonianza nel mondo. Non avendo nulla del progressista, rendo grazie a Dio non in ossequio a un pauperismo di risulta, all’insegna del finalmente siamo riusciti a eliminare i condizionamenti confessionali dalla vita pubblica.

Foto Ansa
È insegnamento della dottrina sociale della Chiesa, confermato dalla realtà, che le leggi influenzano i comportamenti dei singoli e del corpo sociale; norme come quelle approvate nella legislatura appena conclusa, che sovvertono le basi della comunità familiare, della relazione educativa, dell’aiuto ai più deboli, della tutela del concepito, dell’ammalato, dell’anziano, indeboliscono i fondamenti della vita civile.

La legge cosiddetta sulle DAT, approvata in extremis da un parlamento protagonista della più pesante e irresponsabile aggressione alla vita e alla famiglia (divorzio breve, divorzio facile, droga libera, matrimonio same sex, fecondazione eterologa, e infine eutanasia), conclude un ciclo iniziato 40 anni fa: nel maggio 1978 camera e senato vararono l’aborto su richiesta, cioè la possibilità di uccidere un essere umano perché troppo giovane; pochi giorni prima del 2018 hanno varato l’eutanasia su richiesta, cioè la possibilità di uccidere un essere umano perché troppo anziano, o troppo malato, o troppo in condizioni di disagio, o troppo di fastidio. In una nazione che nell’arco di pochi anni ha visto abbattersi il numero delle nascite, accentuarsi il numero dei morti e capovolgersi la percentuale fra giovani e anziani.

Dov’è il mondo ecclesiale italiano, il laicato come i pastori? L’aggressione giunge a compimento perché esso non le resiste in modo significativo. Anzi, le offre perfino qualche sponda, voluta o strumentalizzata. Le poche reazioni, se pur meritevoli, sono state in larga parte tardive, fra loro scollegate, di scarsa incisività.
Non è andata così in tutti gli ultimi 40 anni: c’è stato un tempo di testimonianza pubblica incisiva e fruttuosa. Non solo sul piano dell’interdizione: più volte in un passato meno recente si era tentato di far passare ciò che è stato introdotto nella legislatura che si è chiusa, ma lo si era bloccato con una attiva ed efficace vigilanza, esito delle scelte di pastori prudenti e coraggiosi. Che giocavano pure all’attacco: la legge 40, pubblicata nel febbraio 2004, pose ragionevoli argini alla fecondazione artificiale, riconoscendo – per la prima volta nell’ordinamento – il concepito quale soggetto di diritti. Quella legge è stata poi stravolta dalla giurisprudenza, ma la sua approvazione ha significato tradurre in norme una sana antropologia, in assenza di un unico riferimento partitico, come era la Dc prima del 1992; il che rende ancora più importante il lavoro di raccordo che fu promosso dai pastori dell’epoca, permettendo di conseguire certe mete.

Si poteva fare di meglio? Certamente. Si è dedicata maggiore attenzione a vita, famiglia e libertà religiosa invece che a lavoro, povertà e marginalità? Può darsi. Ma il confronto con quel che oggi passa (si fa per dire) il convento fa impressione: l’accelerazione impressa in una sola legislatura ha cancellato resistenze di decenni, senza alcun incremento di benessere o decremento di miseria e di povertà.

I capi fuggirono, rimasero i popoli
Che cosa è accaduto in poco più d’un decennio da affievolire a tal punto il peso sociale e politico dei cattolici italiani? Da forza non maggioritaria ma egemone su temi fondanti, aggregante rispetto a sensibilità non confessionali, ascoltata e tutt’altro che elitaria – alla legge 40 è seguita nel 2005 la vittoria referendaria – a frangia marginale, nemmeno chiaramente riconoscibile.
È un quesito cui rispondere senza automatismi del tipo “da quando c’è papa Francesco…”: che, più che un equivoco, è un alibi per la propria inerzia. L’ultima modalità di presenza pubblica dei cattolici italiani, col coinvolgimento formale della realtà ecclesiale, è stato il Family day del 2007, sei anni prima dell’avvio dell’attuale Pontificato (i Family day del 2015 e del 2016 hanno visto i pastori formalmente estranei, se non ostili). L’abbassamento di profilo è iniziato da almeno dieci anni, nonostante il prezioso magistero di papa Benedetto sul rapporto tra fede, cultura e politica, pur nella distinzione fra religione, legge naturale e legge dello Stato.

E allora, Te Deum laudamus perché siamo ridotti così? Vi è una espressione cara all’attuale Pontefice: «Non esistono i vescovi-pilota». Che cosa vuol dire? Che per le questioni sociali e politiche la responsabilità all’interno della Chiesa è tutta dei laici. Ancora di più se le guide latitano. Non mancano sul punto gli insegnamenti: abbondano fra i documenti del Concilio Vaticano II. Non mancano sul punto i precedenti: quando le armate di Bonaparte si allungarono verso Est e verso Sud per esportare la Rivoluzione, i capi fuggirono. Rimasero i popoli: che non si arresero all’imposizione di un regime che calpestava quel che costituiva l’essenza della loro vita quotidiana. In Tirolo la popolazione costrinse una persona che fino a quel momento aveva fatto l’oste – Hofer di nome e di fatto – a condurre la rivolta. Rischiavano certamente più di noi: Hofer ci rimise la testa, tradito e abbandonato. Andò più o meno alla stessa maniera nelle altre zone del territorio nazionale, dai Viva Maria della Toscana alla Santa Fede nel Regno di Napoli. E quando, tre quarti di secolo or sono, verso l’epilogo di una guerra rovinosa che aveva ridotto in macerie le nostre città, il re dell’epoca se la diede a gambe, lasciando esercito e nazione senza un comando, sono state ancora le popolazioni italiane a prendere in mano il proprio destino; completando l’opera a guerra conclusa con la ricostruzione, nonostante i lutti e le divisioni.
Le epoche sono profondamente diverse, ma il dato comune allora come oggi è che viene il momento in cui o te la vedi senza attendere ordini e permessi, o con la tua inerzia accetti la corresponsabilità della rovina.

Il magistero vero, non di Repubblica
Te Deum laudamus perché è questa la sfida che, col Tuo aiuto, ci chiami ad affrontare. Sapere che non ci sono altri che assumono le responsabilità che toccano a noi. E che anzi tra coloro da cui attendiamo sostegno qualcuno scompare sul più bello, o addirittura fa l’occhiolino al nemico. All’inizio non comprendiamo, come don Camillo, nella Biblia pauperum guareschiana: andiamo a lamentarcene davanti al Crocifisso, e Lui, con le braccia aperte e con le mani forate, ci ricorda senza rimprovero: «E che dovrei dire io?».

Te Deum laudamus perché, nel tempo e nelle difficoltà nelle quali ci fai vivere, ci poni nella necessità di non essere clericali. Di affiancare la fedeltà alla Chiesa e al suo magistero – quello vero, non quello filtrato da Repubblica – con la virile consapevolezza che non ci sono altri che recitano la parte che ci hai dato.
Di amare i pastori, essere loro devoti e pregare per loro pur quando si fanno perdere di vista o piantano cartelli sbagliati: ma se ciò avviene nel terreno che ci compete come laici è a noi che spetta.
Fermarsi in attesa di veder comparire il cartello grande, chiaro e lucido fa perdere quel tempo che ci hai donato come un talento, per essere commerciato e non occultato.
PRESE
Te Deum laudamus perché ci vuoi uomini; di fiduciosa preghiera, ma anche di azione responsabile, in un momento di così accentuata irrilevanza, e quindi di sacrificio. Il nostro, non quello degli altri.


Tratto da TEMPI 25 gennaio 2018

giovedì 25 gennaio 2018

IL GENIO DI PEGUY


“Il modernismo consiste nel non credere in se stessi per non ferire l'avversario che a sua volta non crede”.

.. Io non odio nulla quanto il modernismo.
E non amo nulla quanto la libertà. (…)
Parliamoci chiaro.
Il modernismo è, il modernismo consiste 
nel non credere a ciò in cui si crede. 

La libertà consiste nel credere a ciò in cui si crede e nell'ammettere, (nell'esigere, in fondo) 
che anche il nostro vicino creda a ciò in cui crede.

Il modernismo consiste nel non credere in se stessi
per non ferire l'avversario che a sua volta non crede.
È un sistema di rinuncia reciproca. 

Ma la libertà consiste nel credere.
E nell'ammettere, nel credere, che l'avversario creda. 

Il modernismo è un sistema di compiacenza. 
La libertà è un sistema di deferenza.

Il modernismo è un sistema di cortesia. 
La libertà è un sistema di rispetto.

Forse non dovrei dirlo, ma in fondo
il modernismo è fondato sulla vigliaccheria.


(Charles Peguy, Il denaro in Cahiers de la Quinzaine, 1913)

mercoledì 24 gennaio 2018

DONALD TRUMP : "DIFENDIAMO SEMPRE IL DIRITTO ALLA VITA"

TESTO INTEGRALE DEL DISCORSO PER LA VITA
DEL PRESIDENTE DONALD TRUMP: "

 19 GENNAIO 2018 WASHINGTON, DC

Quello che segue è il testo integrale del discorso del presidente Donald Trump alla Marcia per la vita.
È il primo presidente a intervenire in diretta ai partecipanti pro-vita.

Abbiamo decine di migliaia di persone che ci guardano in fondo alla strada, decine di migliaia. Quindi, mi congratulo con voi, che avete scelto una bellissima giornata, e non si poteva avere una giornata più bella. Voglio ringraziare il nostro Vice Presidente Mike Pence per quella meravigliosa introduzione. Voglio anche ringraziare te e Karen per essere dei veri campioni per la vita. Grazie, e grazie a Karen.

Oggi sono onorato e davvero orgoglioso di essere il primo presidente a stare con voi qui alla Casa Bianca per affrontare la 45 marcia per la vita, che è davvero molto speciale. Oggi decine di migliaia di famiglie, studenti e patrioti e di grandi cittadini si riuniscono qui al Campidoglio. Venite da molti ambienti e molti luoghi, ma venite tutti per una bella causa, per costruire una società in cui la vita è celebrata, protetta e amata.
La marcia per la vita è un movimento nato per amore: ami le tue famiglie; tu ami i tuoi vicini; tu ami la nostra nazione; e tu ami ogni bambino nato e non nato, perché credi che ogni vita sia sacra, che ogni bambino sia un dono prezioso di Dio.

Sappiamo che la vita è il più grande miracolo di tutti. Lo vediamo negli occhi di ogni nuova madre che culla quel meraviglioso, innocente e glorioso neonato tra le sue braccia amorevoli. Voglio ringraziare ogni persona qui oggi e in tutto il nostro paese che lavora con un cuore grande e devozione instancabile per assicurarsi che i genitori abbiano il sostegno premuroso di cui hanno bisogno per scegliere la vita.
Grazie a voi, decine di migliaia di americani sono nati e hanno raggiunto la  loro piena potenzialità di Dio, grazie a voi. Siete testimoni vivente della Marcia di quest'anno per il tema della vita, e quel tema è "L'amore salva la vita".

Come tutti sapete, Roe contro Wade  (la legge del 1973 che ha legalizzato l’aborto) è stata una delle leggi  più permissive del mondo. Ad esempio, negli Stati Uniti, è uno dei soli sette paesi a consentire gli aborti elettivi a lungo termine insieme alla Cina, la Corea del Nord e altri. In questo momento, in un certo numero di Stati, le leggi consentono a un bambino di abortire dal grembo di sua madre nel nono mese.

È sbagliato. Deve cambiare.

Gli americani sono sempre più a favore della vita.  Infatti, solo il 12% degli americani sostiene l'aborto su richiesta in qualsiasi momento.
Sotto la mia amministrazione, difenderemo sempre il primo vero diritto nella Dichiarazione di indipendenza, e questo è il "diritto alla vita".
Domani segnerà esattamente un anno da quando ho prestato giuramento. E dirò che il nostro paese sta andando davvero bene. La nostra economia è forse la migliore che sia mai stata. Guardate i numeri del lavoro, le aziende che tornano nel nostro paese, guardate il mercato azionario ai massimi storici, la disoccupazione ai minimi degli ultimi 17 anni, la disoccupazione per i lavoratori africani al livello più basso nella storia del nostro paese, la disoccupazione per gli ispanici a un record storico basso, la disoccupazione femminile, pensate a questo, a un minimo da 18 anni.
Siamo davvero orgogliosi di quello che stiamo facendo.

E durante la mia prima settimana in carica, ho ripristinato una politica messa in atto dal Pres. Ronald Ragan, la Mexico-city policy (che vieta di finanziare con fondi federali le Ong che promuovono all’estero politiche di pianificazione familiare).
Ho fortemente appoggiato la proposta di legge contro gli aborti tardivi della Camera dei Rappresentanti, che porrebbe fine a questi aborti a livello nazionale. E invito il Senato ad approvare questa importante legge e mandarla alla mia scrivania per la firma.
Nel National Day of Prayer, ho firmato un ordine esecutivo per proteggere la libertà religiosa. [Sono] molto orgoglioso di questo. Oggi, sto annunciando che abbiamo appena pubblicato una nuova proposta per proteggere i diritti di coscienza e le libertà religiose di medici, infermieri e altre professioni mediche. 
Ho anche semplicemente ribaltato la politica della precedente amministrazione che vietava di tagliare i fondi pubblici del programma Medicaid (programma federale che copre le spese mediche alle famiglie meno abbienti) destinate a Planned Parenthood

Stiamo proteggendo la santità della vita e della famiglia come fondamento della nostra società. Ma questo movimento può avere successo solo con il cuore, l'anima e la preghiera della gente.

IL NUOVO PERBENISMO OSCURANTISTA

 Pierluigi Battista
Un’ondata censoria contro le opere di autori come Polanski, Balthus, Céline, Woody Allen
 (Corriere della sera, 21 gennaio)

Un’ondata neo-oscurantista rischia di travolgere il buon senso e la cultura, agitando lo stendardo del Bene e del Giusto. Si affaccia l’ipotesi di non far uscire A Rainy Day in New York di Woody Allen per via dell’accusa rivolta al regista, che peraltro un tribunale americano ha già giudicato infondata, di aver violentato la figlia minorenne Dylan Farrow. Il lato più brutto di questa ipotesi è che si possa ritenerla verosimile: cioè il mondo sta veramente discutendo se sia il caso di far uscire un film di Woody Allen, non è una fake news, è davvero la spia di un clima tremendo di censura e di intimidazione.
BALTHUS (opera che promuove la pedofilia)

Dovrebbe essere normale stabilire che un conto sono le opere dell’arte, della letteratura e del cinema, e un altro sono le eventuali (eventuali, meglio ripetere) malefatte commesse da chi ne è artefice. Invece non lo è più e si parla tranquillamente di cancellare l’arte per colpire retroattivamente l’artista. Non è uno scherzo: nei mesi scorsi un nutrito gruppo di dimostranti ha protestato rumorosamente all’inaugurazione della retrospettiva dedicata a Roman Polanski dalla Cinémathèque Française. Ovvero: secondo i manifestanti nessuno potrà più vedere capolavori come Cul de sac o Il pianista perché il regista è colpevole di uno stupro. Non si chiede di punire un colpevole, ma di annichilire i suoi film. E si considera questa richiesta legittima e ragionevole: ecco gli effetti dell’ondata neo-oscurantista. A quando la rivalutazione del rogo con cui i censori dell’epoca vollero annientare Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci? Le motivazioni cambierebbero, sarebbero più «progressiste», ma non cambierebbe il finale: la censura.

E del resto nelle università americane serpeggia la tentazione, qualche volta addirittura soddisfatta da comitati adibiti al rogo simbolico delle opere incriminate, di mettere al bando il Tito Andronico di William Shakespeare e le Metamorfosi di Ovidio perché conterrebbero situazioni di violenza sessuale che potrebbero «offendere» la sensibilità di studenti e studentesse che hanno subito molestie. I più zelanti non hanno risparmiato il linciaggio postumo del Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald perché sarebbe un romanzo saturo di cattive azioni. Nel North Carolina è partito l’appello per togliere dalle librerie ogni traccia di Lolita di Vladimir Nabokov, a tutela dei minori naturalmente. E le case editrici si sono affrettate a depurare i testi di Mark Twain perché contenevano la parola «negro».

Dovrebbe essere l’articolo uno di una visione liberale che considera la libera espressione della cultura la proibizione di modificare a proprio piacimento testi e immagini di opere che vanno tutelate nella loro integrità. E invece è passata come una stravagante bizzarria, e non come il sintomo di una torva mentalità oscurantista e censoria, la decisione del Maggio Musicale Fiorentino, appoggiata sventuratamente dal sindaco di Firenze Dario Nardella, di manomettere il finale della Carmen di Georges Bizet per non favorire gli impulsi femminicidi del pubblico. E già si sentono i primi mormorii censori all’indirizzo della serie tv Gomorra , perché veicolerebbe cattivi messaggi.

Qualcuno si è portato avanti. A Londra hanno censurato alcuni nudi femminili di Egon Schiele, l’artista che era già stato condannato a Vienna, un secolo prima, per oscenità. Anche in questo caso è cambiata la motivazione (ora si parla in difesa della dignità delle donne), ma non cambia la persecuzione nei confronti di un’opera d’arte che si vorrebbe far sparire. Un comitato di intellettuali (gli intellettuali sono sempre in prima fila quando si invoca la censura delle opere altrui, come è dimostrato dagli stuoli di scrittori, artisti, pensatori attratti dai roghi di Hitler e di Stalin) ha chiesto che venisse nascosto in cantina un dipinto di Balthus perché titillava pericolosi impulsi pedofili.
 In Francia, sull’onda delle proteste che hanno costretto l’editore Gallimard a ritirare il suo progetto di pubblicare i testi antisemiti di Louis-Ferdinand Céline, tra cui Bagatelle per un massacro , si è arrivati ad invocare persino il ritiro del commercio di un capolavoro della letteratura come Viaggio al termine della notte .

Stabilire una connessione tra comportamenti considerati disdicevoli di un artista e le sue opere, per poi chiedere censura e bavaglio, è uno dei sintomi dell’ondata neo-oscurantista che ci sta sommergendo. Recentemente un giornalista del «Washington Post», consultando note e diari che lo stesso Woody Allen aveva messo a disposizione dei ricercatori, ha stabilito che il regista di Manhattan è colpevole di qualcosa che assomiglia allo «psicoreato» delle distopie novecentesche: il desiderio, l’attrazione per le donne molto più giovani. Cancellare l’opera omnia di Woody Allen potrebbe saziare la smania censoria degli inquisitori? Forse no, potrebbero utilmente mettere fuori legge le opere di Pablo Picasso, che le donne non è che le trattasse bene, o di Pier Paolo Pasolini con i suoi diseducativi «ragazzi di vita». Speriamo di no, ma con questo clima oscurantista, mai dire mai.


martedì 23 gennaio 2018

EUROPA: LA FINE DELLE ILLUSIONI.


NONO RAPPORTO DELL’OSSERVATORIO CARDINALE VAN THUÂN
Per il processo di unificazione europea le illusioni sono finite. E’ questo il messaggio centrale del Nono Rapporto sulla Dottrina sociale della Chiesa nel mondo dell’Osservatorio Cardinale Van Thuân di Trieste uscito, come i precedenti, nelle edizioni Cantagalli di Siena, e avente per titolo: “Europa: la fine delle illusioni”. Lo afferma con chiarezza l’arcivescovo Giampaolo Crepaldi nella Introduzione al Rapporto: «Non abbiamo timore ad affermare che il progetto europeo è in gravissima crisi e che solo un radicale ripensamento di metodi e soprattutto di contenuti potrà – con la Provvidenza – cambiare una situazione che si sta dimostrando molto pericolosa per tutti». 

Gianfranco Battisti, dell’università di Trieste, nel saggio scritto per il Rapporto, parla di un continente allo sbando: «L’osservatore esterno che guardi allo stato dell’Unione nell’estate 2017 ne trae un quadro sconfortante:
  • prostrata da una crisi economica dalla quale non si vede l’uscita, nonostante le rassicurazioni provenienti da organismi tanto prestigiosi quanto incapaci di prevedere il crollo della finanza globale nel 2017;
  • stretta da presso da guerre guerreggiate che ardono lungo tutti i suoi confini;
  • terrorizzata da flussi immigratori massicci – attuali e futuri – quali non si vedevano dai tempi delle invasioni barbariche;
  • in rotta con partner strategici quali USA e Russia; divisa al suo interno sulle modalità di gestire ciascuna di queste emergenze».

Stefano Fontana, nel secondo dei tre saggi centrali del Rapporto, solleva lo sguardo a periodi più lunghi. Secondo Carl Schmitt ed Ernst Nolte l’Europa è sempre stata teatro di guerra civile, fin dalla Rivoluzione francese o forse perfino dalla Riforma protestante. Anche quella tra Nazismo e Bolscevismo lo è stata.
Il nocciolo è che in Europa la guerra civile endemica è cominciata con la nascita dello Stato ideologico, che assume il principio della “presunzione di colpevolezza” del nemico, sia esso l’ebreo per il Nazismo o il borghese per il Comunismo. La domanda quindi è questa: i trattati di Roma negli anni Cinquanta volevano  liberare il futuro dell’Europa dagli Stati ideologici e dalla guerra civile. L’Unione europea c’è riuscita? Oppure si sta trasformando in un nuovo apparato ideologico? La risposta del Rapporto è, purtroppo, affermativa: sta diventando un nuovo apparato ideologico.

Alfredo Mantovano mostra bene l’origine di questo apparato ideologico. A fondamento dell’Unione Europea non ci sono solo alcuni principi della Dottrina sociale della Chiesa, ma anche il Manifesto di Ventotene, scritto durante l’esilio da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Dopo la Brexit, il 22 agosto 2016, Hollande, Merkel e Renzi si erano recati sull’isola per confermare l’importanza di quel Manifesto per l’Unione Europea. Esso però afferma cose piuttosto inquietanti:
  • dice che quello europeo deve essere un progetto rivoluzionario e socialista,
  • che deve essere gestito dall’alto da parte di un gruppo politico di avanguardia perché i popoli non sono pronti, 
  • sostiene quindi l’ideale giacobino di una élite che conosce il bene del popolo anche contro il popolo e che non ha bisogno di mandato popolare per governare e guidare dato che rappresenta “le esigenze profonde della società”.
  • Si dice spesso che per ridare vigore al progetto europeo bisogna tornare alle origini, ma le origini sono anche il giacobinismo ideologico del Manifesto di Ventotene.

Nella Sintesi introduttiva del Rapporto, firmata, oltre che dall’Osservatorio Cardinale Van Thuân, da cinque Centri di Ricerca internazionali operanti a Madrid, Breslavia, Perù, Argentina, Ecuador, compreso il Centro Studi Rosario Livatino di Roma, si sostiene che

·         l’Unione Europea è spesso un carrozzone farraginoso e politicamente improduttivo nel quale un grande potere viene giocato dai funzionari tecnici e dalle lobbies.
·         Il Parlamento non legifera e non può nemmeno proporre leggi,
·         il Consiglio dei ministri si articola in 10 modalità di riunione, quando i 27 Paesi (prossimamente saranno 30) si riuniscono, ognuno ha due minuti a disposizione per parlare,
·          il governo è in mano alla Commissione i cui componenti però non sono eletti.

Gli aspetti più inquietanti descritti nella Sintesi sono però quelli ideologici.
  • Il progetto Erasmus assomiglia molto ad una rieducazione giovanile di massa.
  • Le Corti di giustizia europee sono vittime di un accentuato positivismo giuridico e sposano in pieno la causa dei “nuovi diritti”.
  • Le invasioni di campo nelle tematiche etiche e familiari di competenza degli Stati da parte delle istituzioni europee sono all’ordine del giorno.
  • Emerge una corporazione di funzionari europei che si alimenta per cooptazione al fuori di ogni controllo politico e popolare.
  • Viene portata avanti sistematicamente una cultura relativista e laicista con la sistematica estromissione della religione dagli spazi pubblici sostituita con un indifferentismo religioso diffuso  o con la prevalenza della visione francese della laicità.
  • Le identità popolari e nazionali ne risentono e temono di venire centrifugate in un universalismo europeo apparentemente neutro ma in realtà qualificato in senso tecnocratico ed eticamente, oltre che religiosamente, relativista.   

Venuto meno lo schema concettuale dell’impero, l’Unione Europea ha assunto la logica centralistica e assolutistica dello Stato moderno che nemmeno l’assunzione del principio di sussidiarietà nel trattato di Maastricht ha saputo correggere.
Anche l’idea degli Stati Uniti d’Europa, che torna alla ribalta in questo momento in Italia in vista delle elezioni politiche, sfugge a questa logica.
L’Unione Europea si è dimostrata contro l’Europa e, paradossalmente, un aiuto all’Europa verrà da chi oggi critica costruttivamente l’Unione, dai Paesi che rivendicano la propria identità di Nazione e da coloro che troppo frettolosamente vengono accusati di populismo.
Stefano Fontana

lunedì 22 gennaio 2018

UN MINISTRO PER LA SOLITUDINE PER UNA SOCIETÀ IN FRANTUMI

 18 GEN 2018

Non poteva che essere inglese il Ministro per la Solitudine, nominato ieri dalla premier Theresa May. E' il primo del genere nel mondo, e non è detto che sarà l'ultimo. Suona tanto “Harry Potter” e forse anche per questo è stato letto più come bizzarrìa malinconica che per quello che effettivamente è: la certificazione del fallimento totale della società britannica, avamposto del nostro occidente.

Hanno subito cercato di buttarla in politica, e si sono resi subito ridicoli: quelli del partito del Labour (sinistra), hanno accusato i conservatori della May di aver contribuito alla nuova emergenza sociale della solitudine chiudendo biblioteche e centri sociali (sic!). Se così fosse, chissà quanta solitudine fino al secolo scorso, nelle campagne, nelle comunità montane, nei villaggi di pescatori, dove viveva la gran parte della gente, completamente analfabeta, e i centri sociali non li avevano ancora inventati!
Ma nella patria della pecora Dolly e dei medici e giudici che hanno fatto morire Charlie Gard non poteva che andare a finire così, e bisognerà pur dirlo a chiare lettere. Se limite e dipendenza sono visti come ostacolo alla realizzazione di sé, e non sono riconosciuti come le condizioni della nostra vita, le relazioni umane sono le prime a farne spese, a scapito dell’illusione che effettivamente ci si possa autodeterminare, cioè si possa effettivamente decidere autonomamente in tutto e per tutto della nostra esistenza.
Ci si illude che si possano cancellare limite e dipendenza, e che questo elimini la fatica del vivere. E la felicità, anziché essere la difficile maturazione della persona, si confonde con il piacere momentaneo ed effimero, che invece, per definizione, non può che durar poco.
Vivere in due è faticoso per tutti, nel tempo, e quindi si rinuncia a sposarsi e le convivenze si spengono alle prime difficoltà. Avere figli non è più l’esito naturale di una relazione d’amore, ma una scelta “ponderata” che mette sempre più paura, perché poi non si può più disporre “liberamente” della propria vita: molto banalmente, con i bambini non puoi più fare la vita di prima.
E non si venga qua a blaterare di problemi economici o di leggi inadeguate: è di questi giorni la notizia del crollo della natalità in Francia, paese da sempre indicato come modello per le politiche familiari (e da sempre chi scrive ha contestato questa ammirazione: in Europa nessun paese ha un tasso di natalità che supera quello di sostituzione, il che significa che qualcuno si estinguerà prima e qualcun altro dopo, ma il nostro continente sta morendo tutto quanto, senza eccezioni).
A maggior ragione gli anziani sono un problema, aggravato dal fatto che i bambini sono faticosi ma cresceranno, e poi fanno istintivamente tenerezza, ma la vecchiaia invece mette paura, perché mostra a tutti come inevitabilmente si scivola verso la dipendenza più totale, aggravata dal fatto che “non si riconosce più”, “non è più la persona di prima”; oltre che la forma fisica, sono le capacità cognitive a crollare, e questo terrorizza. E’ l’Alzheimer la temuta peste del nuovo mondo, e stavolta non ci sono untori da cercare. E allora quando guardi un vecchio temi di vedere te stesso, in futuro, e pensi che in quelle condizioni non ci vuoi proprio arrivare, e che devi essere tu a decidere quando farla finita. Anche perché non puoi contare sul fatto che qualcuno ti aiuti e resti al tuo fianco: di chi ti puoi fidare? Dell’ultimo “partner” avuto in ordine di tempo? Dell’unico figlio (su cui un genitore non vuole pesare), o di quello che non hai mai voluto? Dei parenti che non hai, perché con la denatalità sparisce anche tutta la rete di protezione fatta da cugini, zii e prozie varie? Del medico di famiglia, a cui hai lasciato disposizioni scritte dal notaio proprio per essere sicuro che le rispetti senza fare storie?
Volendo negare il limite e la dipendenza si uccidono le relazioni umane: questo è il punto. Una situazione che sta diventando diffusa nel nostro occidente secolarizzato, ben rappresentata di recente anche da un documentario di Erik Gandini, “La teoria svedese dell’amore”, nel quale si descrivono le coordinate di riferimento della società svedese:  “Tutti i rapporti umani autentici si devono basare sulla sostanziale indipendenza delle persone. Se una donna dipende dal suo uomo, come facciamo a sapere che quelle due persone vivono volontariamente il loro rapporto? Non staranno insieme perché dipendono l’uno dall’altro o per esigenze economiche?”. In Svezia anziché un Ministero dedicato c’è una più pragmatica agenzia statale dotata di “squadra di investigatori” per rintracciare i familiari di chi muore da solo, e magari viene scoperto dopo mesi o anni, perché non c’è nessuno che lo cerca.
Chissà se al nuovo Ministro inglese l’idea piacerà.

sabato 20 gennaio 2018

TE DEUM LAUDAMUS PER CHI CREDE NELLA POLITICA DELL’IMPOSSIBILE


 MASSIMO GANDOLFINI

(…)      Ora l’anno è giunto alla fine e anche la XVII legislatura è finalmente arrivata al traguardo. Si affaccia un anno nuovo, solare e politico, e mentre sul primo abbiamo poco da dire, sul secondo abbiamo il dovere di fare tanto. Prima di chiudere, il Te Deum ci costringe a uscire dalle lamentazioni, a smettere di leccarci le ferite o piangere su ciò che si poteva fare e non si è fatto, per guardare a quel tanto o poco che di vero Bene c’è stato e che magari abbiamo collaborato a rendere possibile.
 
Foto Ansa
Cittadinanza attiva e militante

Personalmente sono certo che non troverò mai parole adatte e sufficienti per ringraziare la Divina Provvidenza che ha reso possibile due “stupendi” Family Day e la nascita – da questi e grazie a questi – di un grande movimento interno alla società civile, fatto di famiglie, uomini e donne di ogni ceto sociale, di cultura e di religioni diverse, di ogni età, di elettori di partiti differenti che hanno aperto gli occhi e hanno preso coscienza che la distruzione della famiglia e del tessuto dell’umano in cui viviamo ogni giorno sta portando la nostra società, le nostre vite, le vite dei nostri figli e nipoti verso un baratro da cui non si può trarre altro che male.
Dissoluzione dei rapporti parentali, indifferentismo sessuale, orientamento di genere a piacere, diritto al suicidio, legalizzazione delle droghe, denatalità, aborti legali – chirurgici e chimici – partita doppia di compravendita di bimbi, non sono leggi civili. Soprattutto, non sono “diritti”, nella misura in cui un diritto nasce per tutelare un bene! Azioni di fatto malvagie non assurgono alla categoria di bene solo per il fatto che uno Stato le legalizza. Semmai diventano un male accessibile e legalizzato che, radicandosi nel costume, si mimetizza, si normalizza, diventa quotidianità, e contagia intere generazioni.

Il popolo dei Family Day ha capito tutto questo e ha deciso di far sentire la sua voce: cittadinanza attiva e militante, che ha risposto all’appello alzandosi in piedi, come auspicava san Giovanni Paolo, in difesa della vita e della famiglia. Come non essere grati per tutto questo! Come non sentire rinascere un moto di speranza che i brutti passaggi appena elencati sembravano aver soffocato?

Dopo la caduta del Muro

È chiaro che il lavoro che ci attende è enorme. Non vogliamo fare un nuovo partito. Vogliamo assumerci la sfida – difficile, difficilissima, enorme – di “contagiare” la politica dei partiti con la nostra “politica dei princìpi”. Portare nostri uomini e donne, leali e onesti, nelle istituzioni perché promuovano e sostengano politiche concrete – culturali ed economiche – a vantaggio della vita, dal concepimento alla morte naturale, in contrasto con il gelo demografico e le derive omicidiarie legalizzate, della famiglia, papà mamma e figli, del diritto alla libertà educativa dei genitori.

Il lavoro, come detto, è grande e il tempo è davvero poco. Le elezioni che daranno all’Italia un nuovo parlamento e un nuovo governo sono alle porte. Stiamo lavorando con tutti i partiti che assumono nel proprio programma queste istanze e candidano nostri rappresentanti nelle loro liste. A lavoro compiuto – come da quasi due anni stiamo promettendo – indicheremo al popolo del Family Day partiti, liste e candidati che in qualche misura ci rappresentano, avendo possibilità concrete di giungere al governo del paese, senza dispersioni di voti che fanno solo il gioco del nichilismo pragmatico del M5S o dell’ideologismo senza valori di Pd e compagnia a sinistra.

All’indomani della caduta del muro di Berlino, una mano ignota scrisse alcune parole in cui credo fermamente e che ritengo consone al caso nostro: «Gli innocenti non sapevano che era impossibile. Per questo lo fecero».
Te Deum laudamus, te Dominum confitemur. Grazie anche a tutti coloro che hanno risposto al nostro appello e che continuano a sostenerci, dandoci conforto, fiducia, coraggio.
Buon anno nuovo.

18 gennaio 2018

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TRUMP CELEBRA LA LIBERTÀ RELIGIOSA


 “Nessun americano – che sia una suora, un infermiere, un pasticcere o un imprenditore – dovrebbe essere costretto a scegliere tra i princìpi della sua fede e l’ubbidienza alla legge”. Sono le parole del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, nell'istituzione della giornata commemorativa della libertà religiosa il 16 di gennaio.


Il fatto è sicuramente significativo per due ragioni: la prima è che per otto anni l’amministrazione Obama ha varato leggi contrarie al credo di parte della popolazione recando sofferenza e alimentato la paura di fronte a coloro che sono stati multati, discriminati o licenziati per essersi rifiutati di disobbedire alla propria coscienza (basti pensare cosa hanno patito le Little sister of poor, la Hobby Lobby o le decine di fioristi, panettieri e fotografi a causa della legge). Anni in cui cattolici, protestanti e persone di buona volontà hanno cercato di resistere ad una delle amministrazioni democratiche più radicali della storia, rischiando di vedersi definitivamente privati di ogni libertà da una vittoria della sinistra di Hillary Clinton.

Come aveva promesso in campagna elettorale, Trump ha cercato di arginare la deriva. E non solo lo ha fatto con una velocità e una costanza inaspettate ma ha cercato anche di ingaggiare una battaglia teorica e legislativa d'attacco, abolendo alcune leggi contrarie alla libertà di pensiero approvate da Obama. Infatti, ha continuato il presidente, chi non ha “riconosciuto l’importanza della libertà religiosa, minacciando conseguenze fiscali per alcune forme di espressione religiosa” ha obbligato “le persone a rispettare delle leggi che violano le loro convinzioni religiose (…) perciò subito dopo il mio insediamento, ho fatto fronte a queste problematiche tramite un ordine esecutivo necessario a garantire che gli americani riescano ad obbedire alle loro coscienze senza interferenze ingiuste da parte del governo”. Motivo per cui “il Dipartimento di Giustizia ha dato delle direttive alle agenzie federali sull’adeguamento alle leggi protettive della libertà religiosa”.

Ma perché la libertà religiosa è così fondamentale? Secondo il presidente americano, “i nostri padri pellegrini, cercando rifugio dalla persecuzione religiosa, credevano nell’eterna verità per cui la libertà non è un dono elargito dal governo, ma un diritto sacro elargito da Dio Onnipotente”. Dunque, “la nostra Costituzione e le nostre leggi garantiscono agli americani il diritto non solo a credere a ciò in cui credono, ma di professare liberamente la loro religione”. Anche per questo, l’America continuerà a condannare e a “combattere l’estremismo, il terrorismo e la violenza contro i credenti, compreso il genocidio attuato dallo Stato islamico in Iraq e in Siria contro gli yazidi, i cristiani e i musulmani sciiti. Non ci stancheremo di continuare nel nostro impegno a monitorare la persecuzione religiosa e ad attuare politiche che promuovano la libertà religiosa”.

In poche parole il presidente degli Stati Uniti ha sancito il primato del diritto naturale, della società e quindi della persona rispetto allo Stato, chiarendo che solo tutelando il suo diritto primario della libertà religiosa si può pensare ad un governo a servizio dei cittadini e non viceversa. Senza un tale baluardo la persona non ha infatti difese, come anche la Chiesa ha sempre sostenuto. Fa ancora pensare, immaginando a cosa sarebbe accaduto ai credenti nel caso in cui le elezioni presidenziali si fossero concluse con la Clinton alla Casa Bianca, che nonostante ciò tanti cattolici avevano seri dubbi sulla scelta fra Trump e la Clinton.

Forse anche perché la mentalità mondana è così pervasiva che molti di loro non comprendono più quello che Trump ha invece deciso di predicare senza sosta, ossia che esiste qualcosa di non negoziabile, qualcosa che non si può eliminare senza pesanti conseguenze su tutto l’impianto sociale.

Per cui, ha concluso il presidente, invitando “tutti gli americani a commemorare questa giornata con eventi e attività" e senza vergognarsi delle proprie radici cristiane: “Proclamo il 16 gennaio 2018 come Giornata della libertà religiosa (…) nell’anno duemiladiciotto di nostro Signore, duecentoquarantaduesimo dell’indipendenza degli Stati Uniti d’America”.

Da lanuovabussola 18/1/2018