Alfredo
Mantovano
Perché ci vuoi uomini di preghiera, ma anche di azione responsabile.
Consapevoli che non ci sono altri che recitano la parte che ci hai dato
Te Deum
laudamus per l’irrilevanza politica di quel che rimane del popolo cattolico
italiano.
E per la
difficoltà che esso ha di trovare guide e di dare testimonianza nel mondo. Non
avendo nulla del progressista, rendo grazie a Dio non in ossequio a un
pauperismo di risulta, all’insegna del finalmente siamo riusciti a eliminare i
condizionamenti confessionali dalla vita pubblica.
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Foto Ansa |
È insegnamento della dottrina sociale
della Chiesa, confermato dalla realtà, che le leggi influenzano i comportamenti
dei singoli e del corpo sociale; norme come quelle approvate nella legislatura
appena conclusa, che sovvertono le basi della comunità familiare, della
relazione educativa, dell’aiuto ai più deboli, della tutela del concepito,
dell’ammalato, dell’anziano, indeboliscono i fondamenti della vita civile.
La legge
cosiddetta sulle DAT, approvata in
extremis da un parlamento protagonista
della più pesante e irresponsabile aggressione alla vita e alla famiglia
(divorzio breve, divorzio facile, droga libera, matrimonio same sex, fecondazione
eterologa, e infine eutanasia), conclude un ciclo iniziato 40 anni fa: nel
maggio 1978 camera e senato vararono l’aborto su richiesta, cioè la possibilità
di uccidere un essere umano perché troppo giovane; pochi giorni prima del 2018
hanno varato l’eutanasia su richiesta,
cioè la possibilità di uccidere un essere umano perché troppo anziano, o troppo
malato, o troppo in condizioni di disagio, o troppo di fastidio. In una nazione
che nell’arco di pochi anni ha visto abbattersi il numero delle nascite, accentuarsi
il numero dei morti e capovolgersi la percentuale fra giovani e anziani.
Dov’è il mondo ecclesiale italiano, il
laicato come i pastori? L’aggressione giunge a compimento perché esso non le resiste in modo
significativo. Anzi, le offre perfino qualche sponda, voluta o
strumentalizzata. Le poche reazioni, se pur meritevoli, sono state in larga
parte tardive, fra loro scollegate, di scarsa incisività.
Non è andata così in tutti gli ultimi 40
anni: c’è stato un tempo di testimonianza pubblica incisiva e fruttuosa. Non solo sul piano
dell’interdizione: più volte in un passato meno recente si era tentato di far
passare ciò che è stato introdotto nella legislatura che si è chiusa, ma lo si
era bloccato con una attiva ed efficace vigilanza, esito delle scelte di pastori prudenti e coraggiosi. Che
giocavano pure all’attacco: la legge 40, pubblicata nel febbraio 2004, pose
ragionevoli argini alla fecondazione artificiale, riconoscendo – per la prima
volta nell’ordinamento – il concepito quale soggetto di diritti. Quella legge è
stata poi stravolta dalla giurisprudenza, ma la sua approvazione ha significato
tradurre in norme una sana antropologia, in assenza di un unico riferimento
partitico, come era la Dc prima del 1992; il che rende ancora più importante il
lavoro di raccordo che fu promosso dai pastori dell’epoca, permettendo di
conseguire certe mete.
Si poteva fare di meglio? Certamente. Si è dedicata
maggiore attenzione a vita, famiglia e libertà religiosa invece che a lavoro,
povertà e marginalità? Può darsi. Ma il confronto con quel che oggi passa (si
fa per dire) il convento fa impressione: l’accelerazione
impressa in una sola legislatura ha cancellato resistenze di decenni, senza
alcun incremento di benessere o decremento di miseria e di povertà.
I capi
fuggirono, rimasero i popoli
Che cosa è accaduto in poco più d’un decennio da affievolire a tal punto il
peso sociale e politico dei cattolici italiani? Da forza non maggioritaria ma
egemone su temi fondanti, aggregante rispetto a sensibilità non confessionali,
ascoltata e tutt’altro che elitaria – alla legge 40 è seguita nel 2005 la
vittoria referendaria – a frangia marginale, nemmeno chiaramente riconoscibile.
È un quesito
cui rispondere senza automatismi del tipo “da quando c’è papa Francesco…”: che,
più che un equivoco, è un alibi per la propria inerzia. L’ultima modalità di
presenza pubblica dei cattolici italiani, col coinvolgimento formale della
realtà ecclesiale, è stato il Family day del 2007, sei anni prima dell’avvio
dell’attuale Pontificato (i Family day del 2015 e del 2016 hanno visto i
pastori formalmente estranei, se non ostili). L’abbassamento di profilo è iniziato da almeno dieci anni, nonostante
il prezioso magistero di papa Benedetto sul rapporto tra fede, cultura e
politica, pur nella distinzione fra religione, legge naturale e legge dello
Stato.
E allora, Te Deum laudamus perché siamo
ridotti così? Vi è una espressione cara all’attuale Pontefice: «Non esistono i
vescovi-pilota». Che cosa vuol dire? Che per le questioni sociali e politiche
la responsabilità all’interno della Chiesa è tutta dei laici. Ancora di più se
le guide latitano. Non mancano sul punto gli insegnamenti: abbondano fra i
documenti del Concilio Vaticano II. Non mancano sul punto i precedenti: quando
le armate di Bonaparte si allungarono verso Est e verso Sud per esportare la
Rivoluzione, i capi fuggirono. Rimasero i popoli: che non si arresero
all’imposizione di un regime che calpestava quel che costituiva l’essenza della
loro vita quotidiana. In Tirolo la popolazione costrinse una persona che fino a
quel momento aveva fatto l’oste – Hofer di nome e di fatto – a condurre la
rivolta. Rischiavano certamente più di noi: Hofer ci rimise la testa, tradito e
abbandonato. Andò più o meno alla stessa maniera nelle altre zone del
territorio nazionale, dai Viva Maria della Toscana alla Santa Fede nel Regno di
Napoli. E quando, tre quarti di secolo or sono, verso l’epilogo di una guerra
rovinosa che aveva ridotto in macerie le nostre città, il re dell’epoca se la
diede a gambe, lasciando esercito e nazione senza un comando, sono state ancora
le popolazioni italiane a prendere in mano il proprio destino; completando
l’opera a guerra conclusa con la ricostruzione, nonostante i lutti e le
divisioni.
Le epoche sono profondamente diverse, ma
il dato comune allora come oggi è che viene il momento in cui o te la vedi
senza attendere ordini e permessi, o con la tua inerzia accetti la
corresponsabilità della rovina.
Il magistero
vero, non di Repubblica
Te Deum laudamus perché è questa la sfida che, col Tuo aiuto, ci chiami ad
affrontare. Sapere che non ci sono altri
che assumono le responsabilità che toccano a noi. E che anzi tra coloro da cui attendiamo sostegno qualcuno scompare sul
più bello, o addirittura fa l’occhiolino al nemico. All’inizio non
comprendiamo, come don Camillo, nella Biblia pauperum guareschiana: andiamo a
lamentarcene davanti al Crocifisso, e Lui, con le braccia aperte e con le mani
forate, ci ricorda senza rimprovero: «E che dovrei dire io?».
Te Deum laudamus perché, nel tempo e nelle difficoltà nelle quali ci fai vivere, ci poni
nella necessità di non essere clericali. Di affiancare la fedeltà alla
Chiesa e al suo magistero – quello vero, non quello filtrato da Repubblica –
con la virile consapevolezza che non ci sono altri che recitano la parte che ci
hai dato.
Di amare i
pastori, essere loro devoti e pregare per loro pur quando si fanno perdere di
vista o piantano cartelli sbagliati: ma se ciò avviene nel terreno che ci
compete come laici è a noi che spetta.
Fermarsi in
attesa di veder comparire il cartello grande, chiaro e lucido fa perdere quel
tempo che ci hai donato come un talento, per essere commerciato e non
occultato.
PRESE
Te Deum laudamus perché ci vuoi uomini;
di fiduciosa preghiera, ma anche di azione responsabile, in un momento di così
accentuata irrilevanza, e quindi di sacrificio. Il nostro, non quello degli
altri.
Tratto
da TEMPI 25 gennaio 2018